Il Dittamonado
di Fazio degli Uberti
LIBRO TERZO
CAPITOLO III
Poi che ’n Trevigi fummo stati alquanto,
in vèr Basciano prendemmo la strada,
lassando Feltro e Civita da canto.
Io ero stato giá per la contrada,
e visto Cenna, Concordia e Bellona, 5
con ogni fiume che di lá si guada.
E però dissi a la scorta mia bona:
"Non ci bisogna andar per quella via;
andiam di qua, ché piú dritto ci sprona".
Vidi Romano, onde la tirannia 10
discese giá, secondo ch’io intesi,
e rinnovò per tutta Lombardia.
Passato Cittadella, la via presi
diritto a la cittá che ’l Carro regge
e che l’ha retta piú anni e piú mesi. 15
Con gran giustizia, con ragione e legge
la tien Francesco e molto si tien bona
ch’Abano e Montericco la vaghegge.
Colui, che quivi prima si ragiona
che l’abitasse, si fu Antenore 20
e ’l corpo suo per certo il testimona.
Quivi vid’io de’ gran destrieri il fiore
e quivi udio che Tito Livio nacque,
che de’ fatti roman fu vero autore.
Solin ne rise e io, tanto mi piacque 25
veder nel dí del sol por l’oste a Bacco
con gran campane a cerchio e schifar l’acque:
qual era scimia o leo, qual porco istracco:
per che d’Ovidio mi sovenne, come
trasforma l’uomo in cervo e quando in bracco. 30
Da Pado o dal padule prese il nome,
che presso n’è assai, questa cittade:
Brenta la cerchia e chiude come un pome.
Noi ci partimmo di quelle contrade
per Cimbria veder, che ’l Bacchiglione 35
bagna d’intorno e per mezzo le strade.
La maggior novitá, che lá si pone,
si è vedere il covol di Chiostoggia,
lá dove il vin si conserva e ripone.
Quivi son donne d’ogni vaga foggia; 40
quivi sta Venus, che le punge e venera;
quivi son prati, fonti e verdi poggia.
In quella parte lo paron s’ingenera,
la cui carne è di cotale natura,
che qual par bo e qual fagian, sí è tenera. 45
Le penne sue han di paon figura;
combatte per amore e come ’l cieco
prender si lascia, tanto a esso ha cura.
Similemente a la mente ti reco
che lá trovai l’uccello francolino 50
e provai quant’è buono a viver seco.
Dal Cane, ingenerato dal Mastino,
questa cittá si guida e si governa,
secondo ch’io intesi nel cammino.
Indi passammo a la cittá di Berna 55
a cui Brenno diè ’l nome; molto è grande;
e qui fa ’l Can la state e qui s’inverna.
Giú di vèr Trento l’Adige si spande,
che vien per la cittá bello a vedere
e Campo marzio abbraccia e le sue lande. 60
Nuovo mi fu, di ch’io presi piacere,
trovar, nel sol del Cancro, in su le some
vendere il ghiaccio a chi ne volse avere.
Vidi l’Arena, ch’è in forma come
a Roma il Culiseo, benché quivi
Diatrico ne porta fama e nome.
Vidi Peschiera e ’l suo bel lago e i rivi,
che sopra ogni altro d’Italia si loda
per lo bel sito e i carpion che son ivi.
Lettor, com’io lo scrivo e tu l’annoda: 70
la Marca di Trevigi il nome lassa
lá dove Alpone bagna le sue proda.
E nota che in Liguria qui si passa
ne’ Campi lapidari, ove li dii
superbia de’ Giganti giá fen cassa. 75
Noi fummo a la cittá che, se tu spii,
Manto n’ha il pregio e Vergilio l’onora,
chiusa dal Po, dal Mencio e da piú rii.
Quivi il corpo di Longino dimora
in Santo Andrea e con gran riverenza 80
si fa la festa sua e vi si adora.
L’onore, la grandezza e la potenza
de la cittade tien quel da Gonzaga:
tre fratei sono ed una coscienza.
Molto è la terra grande, bella e vaga, 85
e ’l porto suo, in tempo di pace,
l’entrata ha buona di quel che si paga.
Per quel cammin, che piú dritto si face,
passato il Chiese, ci traemmo a Brescia,
ch’a piè del monte quasi tutta giace. 90
Arditi sono e come vuol riescia;
dicon che portano in Gada la fede,
poi par ch’ogni signore a lor rincrescia.
Lo suo principio, per quel che si crede,
sí come di Verona, ancor fu Brenno 95
e ’l nome ch’ella ha or cotal li diede.
Passati il Serio, la Lama e il Brenno,
trovammo il Bergamasco in su la costa,
che grosso parla ed è sottil del senno.
La lor cittá, però ch’è si ben posta 100
in forte poggio, porta pregio e fama
ch’alcuna volta da Melan s’arrosta.
Cosí venuti noi sopra una lama,
divenni tale, quando vidi l’Oglio,
qual par colui ch’a sé la morte chiama. 105
O Federico mio, qui dir non voglio
quanto le ripe e ’l fondo maledissi
e quanta fu l’angoscia e ’l mio cordoglio.
Apresso i passi in quella terra fissi,
che sdegna in fine a morte ogni lebbroso: 110
Bascian n’ha il nome e io cosí lo scrissi.
Indi partimmo senza piú riposo;
Lambro passammo per trovar Melano;
ma non ci fu, per lo cammino, ascoso
veder Cassano, Moncia e Marignano. 115
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