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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)
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I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)
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La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)
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Messaggi del 15/01/2015
Post n°1060 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo di Fazio degli Uberti LIBRO QUARTO CAPITOLO XXV "Come udit’hai, due figliuoli ebbe Rollo: Guglielmo Lunga-spada e poi Riccardo, del qual tu sai, com’io, sino al merollo. Ardito e destro quanto un leopardo e bel del corpo Guglielmo diviso, 5 sollicito, che al far mai non fu tardo. Di gran battaglie fece; al fine ucciso fu dal conte di Fiandra e nel suo loco Riccardo suo figliuol da’ suoi fu miso. Dopo costui, infiammato del foco de lo Spirito Santo, seguí il figlio, che giusto visse e ben tra ’l troppo e ’l poco. Al padre in forma e nome l’assomiglio. Apresso di costui, rimase reda Ruberto, franco e di alto consiglio. 15 Seguita ora ch’a dir ti proceda come Guglielmo, nato di Ruberto, del regno d’Inghilterra si correda. Forte e grande si vide per certo, largo, cortese e grazioso a Dio, 20 maestro in guerra e di consiglio esperto. Di Normandia con gran gente partio in contro Araldo e, lui ucciso, prese lo regno tutto e tenne a suo disio. Qui cambiò signoria questo paese 25 e sappi ch’ogni re, che poi son stati, che da costui il suo principio prese. E perché meno al tempo ch’era guati, dico dal dí che nacque il nostro Amore da mille settanta anni eran passati. 30 Vivendo Arrigo quarto imperadore, piú battaglie e piú fece costui e di tutte acquistò pro e onore. Guglielmo Ruffo seguio dopo lui, grande e forte e bello de le membra, 35 superbo, avaro e micidial d’altrui. Al padre molto del corpo rassembra; ma di costumi li fu piú contraro ch’al foco l’acqua, quando sono insembra. Tanto ben ebbe, che in arme fu chiaro; 40 molte battaglie fece a solo a solo, che tutte al suo onor si terminaro. Ma se fu reo, al fin n’ebbe gran duolo: ché, sendo al bosco e seguitando un cervo ed avendo smarrito ogni suo stuolo, 45 ferito a ’nganno fu da un suo servo d’una saetta e quivi cadde in terra la carne fredda e incordato ogni nervo. Arrigo primo apresso il regno afferra; suo fratel fu, ma il padre somiglia 50 ch’a Dio fu buono e giusto in pace e in guerra. Stefano poi apresso il regno piglia con molta guerra; tanto di lui dico che franco fu e ben se ne pispiglia. Seguio dietro da lui un altro Arrico, 55 lo qual, dopo la guerra in Francia fatta, passò il mare col primo Federico. Fu poi Riccardo; apresso la baratta grave del mar, fu preso ne la Magna, tornando dal Sepolcro a la sua schiatta. 60 Costui fu morto; ma sí se ne lagna Giovanni suo fratel, che la vendetta ne fece tal, ch’ancor par che sen piagna. In far bei doni e in guerra si diletta questo Giovanni, poi che fu signore, 65 ora cacciando e or fuggendo in fretta. Bello del corpo e misero del core Arrigo suo figliuolo venne apresso, del qual parlare a me pare un dolore. Tanto ben ne puo’ dire, e io ’l confesso, 70 che di lui nacque il buono Adoardo, del cui valore al mondo è fama adesso. Costui è quel che non ebbe riguardo de gli assassin del Veglio e che li prese e che pagò il buffon, se fu bugiardo. 75 Costui è quel che oltra mare offese Melechdaer piú volte e che acquista per la fede cristiana gran paese. Come un gigante fu del corpo e in vista, grande e fiero e d’animo sí forte, 80 che per avversitá mai non s’attrista. Gran tempo regna e, dopo la sua morte, prese il quinto Adoardo la corona, che con l’avolo suo fu d’una sorte: dico, per quello ch’ancor si ragiona, 85 che fu cattivo e di vile intelletto né mai consiglio volse da persona. Odi gran cuor: che di coprire un tetto di paglia, intendi, si diceva mastro e qui talor ponea il suo diletto. 90 A ’nganno prese il conte di Lancastro: quel che ne fece qui ti lascio a dire; ma in fin non li lasciò villa né castro. Cosí di grado in grado puoi udire che giunto sono ad Adoardo sesto, 95 che ora vive largo e pien d’ardire. Dico per tutto ’l giro è manifesto ch’egli è il miglior cristian, ch’uom sappia al mondo. Ora t’ho detto, come m’hai richiesto, la schiatta di Guglielmo in fine al fondo". 100 |
Post n°1059 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1058 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
'A maggnata |
Post n°1057 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo "A ciò che ’l mio parlar piú ti diletti, farò la tema mia maggiore un poco, venendo digradando a quel che aspetti. Cosí, com’hai udito, con gran foco ne l’arsion di Troia, e prima ancora, possedeano i giganti questo loco. Bruto, nel tempo a punto ch’io dico ora, con piú Troiani in quest’isola venne, che cacciò quelli e per signor dimora. La sua prosapia lungamente tenne lo regno poi, ma troppo avrei a dire s’io dovessi contar ciò che n’avenne. E però tu che leggi, s’hai desire di ciò sapere, guarda l’alta storia di Bruto, perché quivi il puoi udire. Lungamente regnaro in molta gloria; alfin ne fun signor que’ di Sansogna, secondo che per molti n’è memoria. Qui non ti conto il danno e la vergogna che l’isola in quel tempo sofferse, però ch’ad altro intender mi bisogna. Ma tanto ti vo’ dir: che strutte e sperse vi fun le genti e il regno partito in molte parti, in genti diverse. E Alis, ne gli anni ch’io ti addito, in Cantuaria prese a far suo regno: bel fu del corpo, cortese e ardito. Apresso di costui, Celin disegno, poi Edelberto, largo e temperato, cortese, franco e di nobile ingegno. In questo tempo, Agustin fu mandato qui per Ambruogio a predicar la fede, per le cui man costui fu battizato. Propio ne gli anni che ’l mio dir procede, quel di Scozia, d’Irlanda e Nordanibri, 35 convertîr tutti e l’isola si crede. Ma perché molto son confusi i libri di tanti re, quanti v’erano allora, convien che da tal tema mi dilibri. Eran dal dí, che la Rosa s’infiora 40 de la Luce del ciel, da quattrocento anni passati e piú sessanta ancora, quando Uter Pendragon con l’argomento del profeta Merlino signor fu di tutta l’isola a suo piacimento. 45 Seguitò poi il suo figliuolo Artú, lo qual fu franco, largo e temperato quanto alcun altro nel suo tempo o piú. Tanto da’ suoi fu temuto e amato, che lungamente dopo la sua morte, 50 che dovesse tornare fu aspettato. Senza reda rimase la sua corte; ma non che ’l regno fosse senza re, ché assai ve n’era d’una e d’altra sorte. D’un’altra schiatta ancor gran fama è, 55 la qual fu prima e poi che Ludovico lo ’mperio e Francia tenesse per sé. Amondo fu di questi ch’io ti dico ed Edelfredo tenne il regno apresso, che del quinto Leon si fece amico. 60 Filosofia amò quanto se stesso; Boezio spuose e fece alcun volume; buon fu per pace e fiero in arme adesso. Forte, clemente e con bel costume Adoardo seguio e, dopo lui, 65 Atelstano, che fece a Scozia lume. Amondo fu di dietro da costui; apresso Edredo e di poi Eduino, che tolto li fu il regno per altrui. Segue un altro Adoardo, il cui destino 70 tal fu che la noverca sua con fraude morir lo fece e tolsegli il domino. Ma non creda colui, che regna e gaude per uccidere altrui, che Dio nol paghe con simili percosse o con piú caude. 75 Non dico piú; ma per le mortai piaghe, ch’Etelredo li fe’, lo regno prese: di che le genti funno triste e smaghe. Morto costui, il dominio discese al terzo Adoardo, nel quale si pensa 80 che spirito profetico s’accese. Costui, istando realmente a mensa, dov’eran molti d’una e d’altra guisa, tenea la mente a imaginar sospensa. E ne lo imaginar si mosse a risa; 85 poi, dimandato perch’ello ridea, a’ suoi secreti la cagion divisa: – Risi, però che in su quel punto vedea in Celio monte i sette dormienti, che’n sul sinistro ciascun si volgea –. 90 Cercato poi del ver, funno contenti. Piú cose fece e disse, ch’a ridire a Dio son belle e divote a le genti. Dopo costui, che santo si può dire, rimase Araldo a governar lo regno; 95 ma poco il tenne, come potrai udire, se pon l’orecchie a quel ch’a dir ti vegno". |
Post n°1056 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1055 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo Albione prima nominar si crede; Anglia, apresso, da una donzella, 5 ch’Angla si disse, il nome procede. Tanto è l’isola grande, ricca e bella, che vince l’altre che in Europa sono, come fa il sole ciascun’altra stella. Di molti e grandi ovili largo dono 10 la natura v’ha fatto e piú ancora che sicuri da lupi star vi pono. De la gagata pietra ancor s’onora: di che Solino la natura propia quivi mi disse e come s’incolora. 15 Perle vi sono ancora in larga copia; le genti vi son bianche e con bei volti, sí come neri e sozzi in Etiopia. Chiare fontane e caldi bagni molti trovammo nel paese e gran pianure 20 e diversi animali in boschi sciolti. Frutte diverse e larghe pasture, belle castella e ricche cittadi adorne di palagi e d’alte mure, nobili fiumi e grandi, senza guadi, 25 carne, biada, e pesce assai si trova; giustizia è forte per quelle contradi. Non la vidi, ma tanto mi fu nova cosa a udire, e poi sí vi s’avera, che di notarla, com l’udio, mi giova: 30 che fra piú altre un’isoletta v’era, dove con coda la gente vi nasce corta, quale ha un cervo o simil fera. Vero è che, prima ch’escan de le fasce propie, le madri, senza alcun dimoro, 35 passano altrove e fuggon quelle ambasce. Non vi diei fè, ma fama è tra costoro ch’arbor vi sono di tal maraviglia, che fanno uccelli: e questo è il frutto loro. Quaranta volte ottanta il giro piglia 40 quindici volte cinque, senza fallo: e ’l giro suo è de le nostre miglia. Quivi si truova di ciascun metallo; quivi divota a Dio vidi la gente, forti, costanti e schifi a ciascun fallo. 45 Maraviglia non pare, a chi pon mente, se prodezza, larghezza e leggiadria vi fun, come si dice, anticamente. Tamelide, Norgales, Organia, Listenois, Norbellanda e Strangorre 50 volsi veder con la mia compagnia. Noi fummo a Londres e vidi la torre dove Genevra il suo onor difese, e ’l fiume di Tamis, che presso corre. E vidi il bel castel, cha forza prese 55 con li tre scudi il franco Lancialotto l’anno secondo ch’a prodezza intese. Vidi guasto e disfatto Camelotto e fui lá dove l’una e l’altra nacque quella di Corbenic e di Scalotto. 60 Vidi il castello dove Erec giacque con la sua Nida e ’l petron di Merlino, che per amor d’altrui veder mi piacque. Vidi la landa e la fonte del pino, lá dove il cavaliere al nero scudo 65 con pianto e riso guardava il cammino: io dico quando il nano acerbo e crudo, dinanzi a gli occhi di messer Galvano, battendo il menò via con grande studo. Vidi la valle che acquistò Tristano, 70 quando ’l gigante uccise a lo schermire, traendo di pregion qual v’era strano. E vidi i campi, ove fu il gran martire in Salibier, quando rimase il mondo vôto d’onor, di piacere e d’ardire. 75 Cosí cercando quell’isola a tondo, vidi e udio contar piú cose e piue leggiadre e belle a dir, che qui nascondo. Io mi volsi a Solino e dissi: "Tue, se ti rammenti bene, a dir lasciasti 80 del buon Guglielmo e de le rede sue". Ed ello a me: "Figliuol, ben ricordasti, ché ’l tempo è ora; e cosí dèi far sempre: coglier lo frutto a tempo, ché nol guasti: ché ’l fare e ’l dire hanno punti e tempre 85 che, chi prender li sa, fan così frutto, come ’l seme che buona terra assempre". Cosí quivi rispuose al mio costrutto. Apresso incominciò per questa guisa, per disbramare il mio disio del tutto, 90 come ’l seguente capitol divisa. |
Inviato da: cassetta2
il 12/08/2024 alle 08:41
Inviato da: amistad.siempre
il 11/08/2024 alle 23:52
Inviato da: Vince198
il 25/12/2023 alle 09:06
Inviato da: amistad.siempre
il 20/06/2023 alle 10:50
Inviato da: patriziaorlacchio
il 26/04/2023 alle 15:50