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Messaggi del 05/02/2015

Pô èsse (l'emozzioni)

Post n°1197 pubblicato il 05 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Pô èsse (l'emozzioni)

Pô èsse a vvorte tanta l'importanza,
de li momenti che sse' 'mozzionato
-e specie si sei troppo scojonato-,
che quarche vvorta te viè 'r mar de panza.

'O stommico lo senti che se bblocca,
'n boccone nu' rieschi a 'ngurgità,
nimmanco te viè vvoja de magnà.
Te chiedi a cche te servirà la bbocca.

Succede si l'amore più nun c'è
o cciài paura che starà a ffinì.
È allora, ne la mente, che tte viè

d'accarezzà 'n penziero tra le dita:
tu ppenzi che tte lascerai morì,
armeno pôi riescì a ttenette 'n vita.

Valerio Sampieri
5 febbraio 2015

 
 
 

Meo Patacca 01-6

Post n°1196 pubblicato il 05 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Non v'esca dunque no dalla memoria,
Che semo d'una razza assai manesca,
Ch'in altri rifilà sempr'hebbe grolia,
O in fa' chalche sgherrata romanesca:
Annamo dunque tutti, e con baldoria
A sbuscià delli turchi la ventresca;
Quali semo in realtà, tali siam cresi
Sangue trojano, e Romanen Diocèsi.

Dieci voi sete, e tutti de monà
Non si po' dir plus ultras non si po';
Vel dico in faccia, perch'è verità,
E però qua nostrisci vi menò.
Hora sentite quel, che stia da fa',
E dica ogn'un di sì, nisciun di no:
Vi propongo un'impresa, ch'in mia fè'
Non c'è la più magnifica, non c'è.

Un mangoso di sgherri, ma ghinaldi '
Di quei, che stesi n'han più d'uno al sole,
Che non voltano faccia, e stanno saldi
Ritrovi ogn'un di voi prima, che puole;
Menateli da me, ma caldi caldi,
E ci vogliono fatti, e non parole;
Spero ricapezzarne io ducent'altri
De i più forzuti, ammazzatori, e scaltri.

Voglio che siano in tutti cinquecento
Di cacafoco armati, e dorindana,
Di stortino, di fionna, e mi contento
Ch'habbiano al fianco ancora una catana.
Ci stia qui el taffio pe' sostentamento,
E tutti uniti poi, la caravana
Faremo sotto VIENNA e preso el posto,
Là verremo co' i Turchi a un tiritosto.

Dì Serenella, che saioccolate,
Prima dell'addropa' l'arme da foco,
Fischia' faremo in aria, e che scappate
Hanno da fa' quei guitti dal su' loco:
Ci dian de barba allor con le sciablate
Lontano un miglio. Così a poco a poco
Pe' grolia nostra, bigna dillo bigna,
A quanti spezzaremo allor la tigna.

Saremo pochi è ver, ma pezzi d'homini
Armati più di cor, che di corazza,
Nisciuno ci sarà, che ci predomini,
Perchè foiosi assai semo di razza;
Là pe' sgherri famosi ogn'un ce nomini,
Mentre annamo a difenne una gran piazza,
Tutti pe' capitani io già ve stampo,
E voi fate poi me Mastro de Campo.

Di voi, lo sò, che molti mi diranno,
Che famo cose da spropositati,
Perchè i Turchi pentì poi ci faranno,
D'esser in campo a stuzzicarli andati:
Risponno, che ci sono, e ci saranno,
Contro quei cani là bravi soldati,
Per aiutarci, e si vedrà, chi sballa,
Se 'sta gente guerriera a noi fa spalla.

Su via, coraggio, a che si sta più a bada?
Annamo uniti annamo a dà soccorzo
All'augusta Città, prima che cada.
Troppo è ciafèo, chi più ritarda el corzo;
In busca de' compagni ohmai si vada".
Ma intanto gli rompette el su' discorzo
La turba, ch'in star zitta assai pativa:
"Evviva, disse, MEO PATACCA, evviva".

Sino alle stelle di PATACCA el nome
Con impeti di voce ogn'uno sbalza;
Ecco in punta di piedi, e giusto come
Chi vuò esser visto, un di coloro s'alza:
Checco se ciama, ma pe' suprannome,
Perchè li cogni d'oro ha in te la calza,
E in tel vestì sa sverzellà con gala,
È da tutti ciamato Checco Sciala.

Si fa largo costui, s'accosta, e dice:
"O d'eroi romaneschi unico vanto,
Per voi sarà 'sto secolo felice,
Per voi, noi felicissimi altr'e tanto;
A voi m'inchino, e a me, se non disdice
Un mio pensier dirò". Ma MEO frattanto
Sede su la colonna, perch'è stracco,
E si fa da una presa di tabacco.

Seguita Checco a dir: "L'impresa è granne,
E di voi degna, o gran PATACCA, è vero;
Ma in tun viaggio sì longo, e in quelle banne
Dove nisciun manco ci stima un zero,
Ditemi in cortesia chi di vivanne
Vorrà provede uno squadrone intiero?
Nisciuno da sgranà ci darà a uffo,
E pe' crompallo poi ce vuò lo sbruffo.

Non c'è tra noi, pe' dilla in confidenza,
Perchè assai ben ce conoscemo tutti,
Altro ch'un poco di compariscenza,
Del resto in te la berta stamo asciutti;
Ed a marcia senza monete, senza
Provedimento, a mendica ridutti,
Ci stimano sicuro tutti quanti',
Schiuma de furbi, e razza de birbanti".

Più dir volea, ma l'azzittò la voce
Del famoso Chiappin, che co' 'na spinta
Si fece innanzi, e gridò poi feroce:
"Dunque sarà la virtù nostra estinta?
Da qual disgrazia o da qual caso atroce
Di noi la saputaggine fu vinta?
Chi non havrà in tel viaggio arte, e possanza
D'abbuscà tanto, de potè fà panza?

Si dia mano all'industrie. Io col mio ingegno
Hor, passanno un villaggio, hor un paese,
Con le gabbale mie sempre m'impegno
Di far a me con altri due le spese.
Riuscirà pe' certo el mi' disegno,
Che le pastocchie mie saranno crese;
Saprò, acciò pozza el vivere abbuscarmi,
Indovino, et Astrologo spacciarmi".

"Io, - soggiunse Favaccia, - mi diletto
Di maneggià le carte e i bussolotti,
E di fa' travedè, se mi ci metto
L'homini astuti ancor, non che i merlotti;
Fo' in te le piazze circoli, e scommetto.
Che per un ciarlatano de i più dotti
So' preso, e allor al popolo ordinario,
Venno lo strutto per elettuario".

 
 
 

Della Casa 14: sonetti

Post n°1195 pubblicato il 05 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

LE RIME EXTRAVAGANTI

LXV

Né l'alba mai, poi che 'l suo strazio rio
vien Progne, ombrose valli, a pianger vosco,
quando 'l ciel fosse in sul mattin men fosco,
di braccia al vecchio suo sì bionda uscìo;

né 'n riva di corrente e largo rio
chiome spiegò d'april tenero bosco
sì vaghe, come il sol ch'io sol conosco
sparger tra voi le sue talor vid'io.

E or le tronca empio destino acerbo,
e 'mpoverisce Amor del suo tesoro:
a noi sì cara vista invidia e toglie.

Deh chi 'l mio nodo rompe e me non scioglie?
Avess'io parte almen di quel dolce oro,
per mitigar il duol che nel cor serbo.

Le Rime secondo la stampa del 1558


LXVI

Struggi la terra tua gentile e pia,
o di vero valor spogliata schiera,
e 'n soggiogar te stessa onore spera,
sì come servitute in pregio sia;

e di sì mansueta ch'eri pria
barbara fatta sovr'ogni altra e fera,
cura che 'l latin nome abbassi e pèra,
e 'n tesoro cercar virtute oblia.

Tu incontro a chi t'affida armata fendi
col tuo nemico il mar, quando la turba
de gli animosi figli Eolo disserra;

tu quei che più ragion torce e conturba
segni, e 'l tuo sangue a prezzo e l'altrui vendi,
crudele: ahi non è questo a Dio far guerra?

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 60 (pag. 31)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 330

Note:
Questo e il seguente, sono tra i sonetti attribuiti al Casa dubbiamente. Hanno però del suo colorito; potrebbero essere lavoro giovanile e dimenticato. Altri se ne potevano aggiungere; ma per saggio possono bastare questi due.
(Carrer, cit., pag. 314)

Note:
1. Struggi la terra tua dolce natia,
2. o di vera virtù spogliata schiera:
8. obblia.
9. E 'ncontro
12. Segui chi più
13. Or il tuo sangue a prezzo, or l'altri vendi,
14. crudele. Or non è questo a Dio far guerra?
(versione data da Rubbi, Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787)



LXVII

Forse però che respirar ne lice
dopo tanti anni, or questo e or quell'angue
così ne punge, o pur del nostro sangue
non è vermiglia ancora ogni pendice?

Terra più ch'altra pria lieta e felice
fatt'è per dura mano ignuda, esangue:
deh perch'in noi virtute e valor langue,
e rinverde avarizia ogni radice?

Ch'ancor potrebbe, asciutto il sangue sparso
e sereni i begli occhi or di duol colmi,
frenar le genti Italia a l'antico uso;

ned io l'Ibero o più Cesare accuso
che 'l loro aspro vicin, ma piango, e duolmi
rotto vedere il mio bel nido e arso.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 61 (pag. 31)


LXVIII
Deh avess'io così spedito stile
come ho pronto, madonna, ogni desio,
ché il vostro dolce affetto onesto e pio
conto fôra per me com'è gentile:

e sì devria, poi che d'amaro e vile
dolce rendete e caro il viver mio
voi sola; ma che più, lasso, poss'io
se a gir tant'alto è il mio dir pigro umile?

Per me pregaste voi l'angel mio santo
che, se grave peccato ho in me concetto,
raggio di sua pietà mi vegli e lustre:

ed ella il feo, né più benigno effetto
vide uom giamai, né stato have in sé tanto
alcun quant'io vi debbo, anima illustre.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 331


LXIX
Se ben pungendo ognior vipere ardenti
e venenose serpi al cor mi stanno,
e scopro de' bei lumi il chiaro inganno
con questi miei, a la sua luce intenti,

non fia però giamai ch'io mi sgomenti
di soffrir questo incarco e questo affanno,
ch'è soave il martir, utile il danno,
gli occhi fian sempre di languir contenti.

Lasso, ché di tal laccio Amor mi strinse
ch'a snodarlo convien che si discioglia
lo stame, con cui 'l ciel quest'alma avvinse:

e benché un timor rio sempre m'indoglia,
un timor che la speme un tempo vinse,
conven ch'io segua l'ostinata voglia.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 332


LXX

Dopo sì lungo error, dopo le tante
sì gravi offese, ond'ognor hai sofferto
l'antico fallo e l'empio mio demerto,
con la pietà de le tue luci sante

mira, Padre celeste, omai con quante
lacrime a te devoto mi converto,
e spira al viver mio breve e incerto
grazia, ch'al buon camin volga le piante.

Mostra gli affanni, il sangue e i sudor sparsi
(or volgon gli anni) e l'aspro tuo dolore
a' miei pensieri, ad altro oggetto avvezzi;

raffredda, Signor mio, quel foco ond'arsi
col mondo e consumai la vita e l'ore,
tu che contrito cor giamai non sprezzi.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 334

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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