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Messaggi del 17/02/2015

Il Dittamondo (6-12)

Post n°1204 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SESTO

CAPITOLO XII

"Giovane, forte, bel, sicuro e destro
era David, al tempo che guardava
le bestie sue e che vivea campestro. 

Gigante fu Golia, lo quale stava 
acerbo e fiero a modo d’un villano 5 
sopra l’oste di Saul e minacciava. 
Giunto David con la frombola in mano 
nel campo, proveduto su e giú, 
vide il gigante ch’era sconcio e strano. 
Subitamente, che non vi fu piú, 10 
si combatteo in quella forma propia 
con lui, che Orlando fe’ con Ferragú, 
lo qual, secondo che, Turpin fa copia, 
per tema stava con le pietre al monte, 
fuggendo per non darli di sé copia. 15 
David ferí Golia ne la fronte 
da lungi, con la frombola, sí forte, 
che ruppe l’osso e feceli una fonte, 
cosí seguendo, con le braccia accorte, 
d’un’altra pietra in quel loco stesso; 
poi, con la terza, li diede la morte. 
Per questo e per piú cose venne adesso 
in tanta grazia di Saul, che a sposa 
Micol li diede, sua figliola, apresso. 
In questo modo da poi non riposa 25 
che, Amaleche sopra Besor fiume 
vincendo, tolse ai suoi ciascuna cosa. 
E sí come ora s’usa per costume 
cantar gli onor de’ gran signor, cosí 
s’usava allora e metteasi in volume. 30 
Per che cantare in quel tempo s’udí 
che Saul mille ne sconfisse e prese 
e diece milia n’ha vinto Daví. 
Tanta invidia per questo s’accese 
nel cuore di Saul, che, come ho detto, 35 
piú volte e piú a la sua morte intese. 
Qui passo come David venne al letto 
dove Saul dormia e l’arme tolse, 
chiamando, poi, per trarlo di sospetto. 
Qui passo a dire come il giunse e colse 40 
in monte Engaddi in una spelonca 
e come volontier la pace volse. 
Qui puoi vedere sí come Dio tronca 
la voglia di colui, c’ha mala fè: 
Saul, cacciando, cadde ne la conca. 45 
Morto costui e David fatto re, 
mandò suoi messi a confortare Anon, 
ai quai mezza la barba rader fe’. 
Di Bersabea nacque Salamon 
dopo li tre peccati; ma non dico 50 
quel mal che per Tamar fe’ Ansalon. 
Né qui di ricordarti m’affatico 
come fe’ guerra al padre né il consiglio 
d’Achitofel, ch’i’ biasmo e maledico. 
Né qui di farti chiaro non m’impiglio 55 
come Ansalon fu morto e chi l’uccise, 
quando a la treccia il ramo dié di piglio. 
Per li peccati che David commise, 
Iddio li volse dar la penetenza 
e, de’ tre, l’un partito a prender mise: 60 
fame sett’anni o che desse potenza 
tre mesi a’ suoi nemici aver vittoria 
sopra di lui o tre dí pistolenza. 
Usanza è de’ signor, quanto han piú gloria, 
che piú accecan gli occhi de la mente 65 
e men curan di Dio o fan memoria. 
E però spesso, se tu pon ben mente, 
per modi assai e diversi ne paga, 
né lassa al fine di punir niente. 
Li tre dí prese: e non fu gente smaga 70 
per morbo mai o per rompere in mare, 
come ’l suo popol crudelmente piaga. 
Io non ti posso per ordin contare 
le sue grandi opre; ma poi che il lin venne 
a Cloto meno e a Lachesi il filare, 75 
l’officio suo del tutto far convenne 
ad Atropos; ma giá era sí sene, 
che ’n bianco trasformate avea le penne. 
Quaranta anni regnò; ma or convene 
dir del figliuolo Salamon, lo quale 80 
tenne poi il regno e governollo bene. 
Io non ti dico se fe’ bene o male 
far morire Adonias, che a sposa chiese 
Abisag, ch’era suo fratel carnale. 
Costui Ioab, poi che ’l regno prese, 85 
condusse a morte; ma qui non t’indizio 
il dove né il perché, tanto l’offese. 
Bello è a sapere a’ signori il giudizio 
che fece del fanciul, tra quelle due 
ch’eran dormite dentro a uno ospizio, 90 
Savio quanto alcun altro, o ancor piue, 
pognam che da la legge sua disvia 
e che lussurioso troppo fue. 
Per lo gran senno, che di lui s’udia, 
Saba reina di lontana parte 95 
venne a lui con ricca compagnia. 
Costui, come si legge in molte carte, 
sacrificava, onde Dio l’ebbe in ira, 
fanum Chamos, Moloch e dea Astarte. 
Mille femine truova, chi ben mira, 100 
ch’avea tra spose e concubine; dico 
regnato avea, quando a morte spira,
anni quaranta ed era assai antico".
 
 
 

Il Dittamondo (6-11)

Post n°1203 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SESTO

CAPITOLO XI


"Amram discese del tribú Levi, 
che ’ngenerò Aron e Moisè: 
non so se udito l’hai mai piú che qui. 
Moisè fu legisto e con gran fè; 
la lingua non avea bene spedita: 5 
ma qui non dico la cagion perchè. 
Uomo giá fatto e veggendo far lita 
tra due, quello d’Egitto tosto uccise, 
che tôr volea al suo Giudeo la vita. 
Per tema, del paese si divise 10 
e, giunto al pozzo, dove stava Ietro, 
Sefora vide, in cui l’amor suo mise. 
Presela a sposa e, ritornato a dietro, 
quello che Dio li disse qui non dico, 
ché fun verba di marmo e non di vetro. 15 
Per non dir troppo ancor non m’affatico 
con quante pistolenze Dio percosse, 
col re, l’Egitto in quel tempo antico. 
Parve al popolo suo che troppo fosse 
Moisè sopra il monte, perché un toro 20 
fe’ d’or, col quale a idolar si mosse. 
Tornato e visto il peccato loro, 
le tavol de la legge infranse e ruppe; 
poi arse l’idol fabbricato d’oro. 
Color, ch’al mal la gente piú corruppe, 25 
di subito, per gran disdegno e ira, 
del sangue e de la carne lor fe’ suppe. 
Data la legge, sí come disira, 
al popol suo, dopo venti anni e cento 
in val di Moab, sotto Phasga, spira. 30 
Rimase duca d’alto intendimento 
Iosuè giusto, prudente, ed a cui 
Iddio promise, per darli ardimento: 
– Quale con Moisè, mio servo, fui
tal sarò teco in ogni tua gloria –: 35 
in questo modo ragionò con lui. 
Sopra Merom e Maserophe vittoria 
li diede in contro a Iabi, re d’Asor, 
e ’n contro a piú, de’ quai non fo memoria. 
A secco piede passò Dan e Ior 40 
con l’arca federa e giá soppellito 
era Aron di sopra il monte Hor. 
Poi, tra dodici tribi fu sortito 
tutto il paese che, vincendo quel re, 
Iosue prese, sí come hai udito. 45 
Piú e piú altre cose al mondo fe’; 
la vita sua fu cento anni e diece 
e venti sei il popol tenne a sé. 
Sopra il monte Efraim l’avel suo fece 
e sappi bene che, quando morio, 50 
che duca alcun non rimase in sua vece. 
A’ Giudici la signoria seguio, 
li quai duraro in fino a Samuel, 
che santo fu e amico di Dio. 
Quindici funno e ’l primo Othoniel; 
in questo tempo si vide Sansone: 
i’ dico del figliuol di Manuel. 
Costui, per quello che si scrive e pone, 
lungo una selva andando larga e bella, 
senz’arme uccise, abbracciando, un leone. 60 
Costui, com’è dipinto per novella, 
uccise mille Filistei coi colpi 
grandi, che dava con una mascella. 
Costui arse col foco e con le volpi 
molte contrade; costui da una femina 65 
tôso e ’ngannato perdé ossa e polpi. 
Duol sopra duol senza fallo s’ingemina 
addosso di colui c’ha mala sposa, 
tanti falsi pensier produce e semina. 
Similemente in pace si riposa 70 
e vive chi l’ha buona; ma, per certo, 
poche ne son, chi ben guarda ogni cosa. 
Assai t’ho chiaro in breve e discoperto 
lo Genesi, l’Esodo e il Levitico 
e infino a Ruth gli altri libri aperto. 75 
Benché in alcuna parte parlo ellitico, 
piú chiaro in alcun’altra, mi passo oltre, 
ch’è poco quel, che non mi piace, tritico. 
Ruth fu quella, che a piè de la coltre 
di Booz si puose e onde poi scese 80 
l’un dopo l’altro con David, se oltre. 
Saul di Cis, che del tribú discese 
di Beniamino, fu colui il quale 
sopra a’ Giudei a regnar prima prese. 
Costui sopra a Naas aperse l’aie, 85 
poi in verso a Doeg e senza fallo 
ciascun da lui sentio vergogna e male. 
Oh, quanto è folle chi ode il bando, e sallo, 
del suo signore, se ’l contrario fa; 
o, pur se ’l fa, se non cerca arrostallo! 90 
Questo dich’io, qui, per Ionata, 
che gustò il mel contro al bando del re, 
ch’a pena ne scampò, come si sa. 
Oh, quanto è folle chi in Dio non ha fè 
per sua superba, come Saul fu 95 
che, morti i suoi, s’uccise in Gelboè! 
Qui non ti vo’ contare, a ciò che tu 
da te cerchi, con quanta invidia e ira 
Saul cacciò David piú volte e piú. 
Oh quanto è fol chi ’l mal d’altrui disira 100 
senza cagion, sol per invidia propia; 
oh, quanto è giusto se poi ne sospira,
come han giá piú, de’ quai non ti fo copia!"
 
 
 

Della Casa 16: sonetti

Post n°1202 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

LXXVI

Disciogli e spezza omai l'amato e caro
nodo di questa afflitta e miser'alma,
acerba Morte, e la terrena salma
del mortal vel ti serba, ché più amaro

di te m'è qui il tardar: ch'io scorgo or chiaro
del mondo i lacci e di mia fé la palma,
e la corona più felice e alma
spero da lui, da cui morire imparo.

A i prieghi ognor di mia salute accesi
e a le soavissime parole
conosco, Re del ciel, che tu mi chiami.

Eccoti l'alma e 'l core, e s'io t'offesi
il tuo sangue mi lave, or me ne duole:
fa' ch'io sia teco, e sempre goda e ami.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 351



LXXVII

Ombra nemica, che qualor mi scorgi
ne i più profondi miei sonni sepolto,
mi voli intorno, e con mentito volto
vane lusinghe indarno a l'alma porgi;

io son mercé del ciel, né te n'accorgi,
così da i lacci di chi sembri sciolto,
ch'io non ho da temer poco né molto
qualor più bella avanti mi risorgi.

L'alta cagion, ch'a sempiterno sdegno
m'invita, al cor la libertà difende,
per ogni tempo, da' tuoi inganni pronti.

Sparisci dunque; ché 'l tuo van disegno
men grata la memoria ognor mi rende
di quella, i cui vestigi or mi fai conti.

Le Rime secondo la stampa del 1558


LXXVIII

Dolce umiltade e fatti egregi e magni
vere ricchezze son d'antico sangue;
né per altro, cred'io, mendica, esangue,
Italia de' suoi figli oggi si lagni.

Se non che, in coltivar falsi guadagni,
superbia in lor fiorisce e valor langue:
onde, signor, sovra le rane è l'angue,
e i lupi son pastor fatti de gli agni.

Ponete mente a questa antica madre:
deh come ha in vece di trionfi e palme
pur bruna vesta e bende oscure e adre!

Oh delle veramente nobili alme
spronate il cor, ch'alberga alte e leggiadre
voglie, a sgombrarla di sì gravi salme!

Le Rime secondo la stampa del 1558


LXXIX

Tosto che dal suo albergo il dì vien fore,
solinga ove 'l bel rio s'accoglie e stagna
quella vostra e d'Amor dolce compagna
torna a sfogar il suo acerbo dolore;

e come insegna a' suoi seguaci Amore,
con sì caldi sospir di voi si lagna,
e del ciel, che da lei vi discompagna,
che di nova pietà m'ingombra il core.

Misera, dice, il fil de' tuoi pensieri
soavi è tronco, e nel tranquillo seno
de le tue paci è ria tempesta e guerra;

ch'in un momento i miei ben non interi,
partendo, il mio signore ha sparti a terra,
e 'l ciel m'è fosco, quanto mai sereno.

Le Rime secondo la stampa del 1558

 
 
 

Della Casa 15: rime

Post n°1201 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

LXXI

Posso ripor l'adunca falce omai,
la negra insegna, e de le spoglie altera
trionfar di più eterna e di più vera
gloria che s'acquistassi in terra mai.

Cagion unqua non fu di tanti guai
Cesare in region barbara e fera,
com'io son stata al mondo inanzi sera,
oscurando del suo bel sole i rai.

Non mancava a mutar la gioia e 'l riso
di quello in maggior lacrime e dolore
altro che tôrgli il fior di castitade;

né si poteva ornare il Paradiso
di più ricco tesor né di maggiore
vittoria in questa e 'n la futura etade.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 335



LXXII

Stolto mio core, ove sì lieto vai?
Al mio cibo soave.
Ma tosto a me, piangendo, tornerai.
Già non m'è il pianger grave.
Dunque di duol ti pasci?
Altr'esca Amor non have.
Che fia dunque il digiun, se 'l cibo è guai?
O falso empio signore,
che l'aspro tuo dolore
di gioia e di piacer circondi e fasci,
e lacrimoso cresci, e lieto nasci.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 342



LXXIII

Grave d'aspre e rie cure, in voce mesta
scoprasi l'alma e di dolore accesa,
or che l'amata vista a me contesa
m'ingombra di temenza atra e funesta.

Perché a scampar nessun rimedio resta
fuor che madonna, mia miseria intesa,
prenda consiglio a mia giusta difesa,
tornando, onde a partir troppo fu presta:

ch'io di fé vera esempio, a strana vita
meno i miei giorni dispettosi e lassi,
pien d'amor, fuor di speme, in pianto e ira.

E sanar l'alta mia mortal ferita
ella de', che la fece, e lunge stassi,
e l'arco Amor pur a mio strazio tira.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 343



LXXIV

Novo fattor di cose eterne e magne,
le prove ascolta or de la donna mia:
ov'ell'è non può star fortuna ria,
né là dove ragiona unqua si piagne.

E purch'un poco a mirar lei rimagne,
coi dolci lampi al sommo ben t'invia,
né dopo hai tema di trovar tra via
cosa, che mai da quel ti discompagne.

L'erba onde Glauco diventò beato,
e 'l cibo de la Greca alma e famosa,
produce e dona il suo riso giocondo;

sì ch'è ben degna, o mio corriero alato,
che la tua sacra man larga e pietosa
di quella bella imago adorni il mondo.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 344



LXXV

Le braccia di pietà, ch'io veggio ancora
aperte sovra il tronco, ove salisti
a darmi eterna vita, e 'l ciel m'apristi
per vie spinose ed erte, anzi ch'io mora

porgimi, Signor mio, ch'io sento l'ora
de l'ultima partita, e i pensier tristi
avvicinarsi, e tua mercé racquisti
quest'alma il nido vero, onde uscì fora.

Squarciato è 'l vel, che tolse a gli occhi interni
e a questi il camin del porto vero
e li coprì di tenebre e di doglia.

Ne l'alma e ricca casa, u' sono eterni
gli alti tesori, or ch'è nudo e sincero,
la tua bontade il mio miglior accoglia.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 350

 
 
 

Il Dittamondo (6-10)

Post n°1200 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SESTO

CAPITOLO X


"Ventiquattro anni tre mila dugento 
passati eran dal principio del mondo 
in fino ad Abraam, ch’or ti rammento. 
Costui si può dir che fu il secondo, 
dopo Noè, piú amato da Dio 5 
e piú di ciascun vizio puro e mondo. 
Tare fu il padre e per quello che io 
truovi, ché il vero n’ho cercato a punto, 
lo nono fu di Sem, che poi seguio. 
Lungo sarebbe a dir di punto in punto 
ciò che si scrive e legge di lui, 
per che passo oltre e nel piú bel fo punto. 
Due buon fratelli si vide costui: 
l’un si disse Nachor, l’altro Aran, 
secondo che ho compreso per altrui. 15 
Prima abitò in Caldea; poi in Haran 
apresso stette, come li fu ditto, 
in fin che fu la fame in Chanaan. 
Indi partito, passò in Egitto; 
Sara, sua sposa, si disse sorella, 20 
temendo che, per lei, non fosse afflitto. 
Tanto era gentil cosa, onesta e bella, 
che piacque a Faraon; ma Dio non volse 
ch’avesse arbitrio di giacer con ella. 
E, stato un tempo, a dietro si rivolse 25 
nel suo paese, e, come a Sara piacque, 
Agar sua ancilla a concubina tolse. 
Apresso, di costei Ismael nacque; 
poscia di Sara, come l’angiol disse, 
ebbe Isaac, quando con lei giacque. 30 
Qui non ti conto quanto contradisse 
agli angioli Abraam, con dolce verbo, 
che Sodoma e Gomorra non perisse. 
Qui non ti conto l’onta e ’l gran proverbo 
che dal popol bestiale Loth sofferse 35 
per lo peccato orribile e acerbo. 
Qui non ti conto com la terra aperse, 
né quanto dal ciel piovve foco e solfo, 
né tutte le cittá ch’al fondo amerse. 
Ma se di lá andremo, vedrai il golfo 40 
dispettoso a mirar, che manifesta 
se ’l miracolo fu piú che qui nol fo. 
O bestial gente, matta e disonesta, 
vaga del vizio, stringi il freno al male, 
fuggi qui il biasmo e di Dio la tempesta. 45 
Qui passo a dir com si converse in sale 
quella di Loth; e le figlie perché 
lo inebriaro e condussono a tale. 
Qui passo a dir come Abraam da sé 
partí Agar e Ismael e passo 50 
se parte o no al dipartir li fe’. 
Qui come Iddio comandò a dir lasso 
che del figliuol facesse sacrifizio 
e perché poi nol volse ancor trapasso. 
Qui passo a dir onde venne al suo ospizio 55 
Rebecca a Isaac, che ebbe a sposo, 
per darti de’ figliuoli chiaro indizio. 
Due gemelli fe’: il primo fu piloso 
e nominato dal padre Esaú, 
vago di caccia, altero e disdegnoso; 60 
Iacob l’altro e nota come fu: 
costui tenea il fratel per lo piede, 
quasi a dire: non ire innanzi tu. 
Giusto visse con pura e buona fede; 
Laban li dié, dopo lunga fatica, 65 
Rachel e Lia, in cambio di mercede. 
Di queste due spose e d’altra amica 
Ruben, Gad, Aser e Giuda uscí, 
de’ quali il seme suo hai per rubrica, 
Nephtali, Manasse, Simeon, Leví, 70 
Issachar, Zabulon, Iosep apresso 
e Beniamin, che l’ultimo seguí. 
Ioseppo fu ne la citerna messo, 
venduto poi e in Egitto menato, 
comperato da Putifar adesso. 75 
Ahi, vizio cieco, brutto e scelerato, 
lussuria, senza modo e senza legge 
sí come vento, dal voler portato! 
Paura né minacce ti corregge 
amor di compagnia con bella vista, 
né mal, né morte, che di te si legge. 
Questo dich’io per quella falsa e trista 
che Iosep accusò, che preso stette 
in fin ch’onor, per lo suo senno, acquista. 
Dispose il sogno de le sette e sette 85 
vacche a Faraone, onde in tal grazia 
li venne, che poi tutto li credette. 
Poco tempo apresso questo spazia, 
che ’l padre coi figliuoi a lui sen gio, 
lo qual ciascun di gran ricchezze sazia. 90 
E stato un tempo, Iacob morio 
e nel campo Efron, sí com’elli volse, 
dov’era il padre suo, si soppellio.
Assai fu pianto, tanto a’ suoi ne dolse".
 
 
 

Il Dittamondo (6-09)

Post n°1199 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SESTO

CAPITOLO IX

"Tanto multiplicâr ne’primi tempi
ne gli uomini i peccati, che Dio disse,
veggendo i lor gran mali e gravi scempi, 

Penitet enim me eos fecisse. 
Poi, come ingrati e pieni di lussuria, 
gli piacque e volse che ciascun perisse. 
Gran giganti, con forza e con ingiuria 
a libito viveano e senza legge, 
pien di superbia e d’ogni matta furia. 
Giá era il mondo, per quel che si legge, 
istato due milia anni e cinque croce, 
quando quel Lume, che ne guida e regge, 
Noè chiamò con angelica voce, 
fedele e giusto, e disse: – Fa un’arca 
tal, che sia forte in mar per ogni foce –. 
La misura li dié, la qual non varca; 
la gente gli ordinò e gli animali, 
de’ quali, al tempo che disse, la carca. 
De lo profondo abisso e infernali 
luoghi e de’ ciel le cataratte aperse, 
con tuon crudeli e saette mortali. 
Orribil venti e tempeste diverse 
tante seguîr, per l’aire tenebrosa, 
che l’acqua i monti per tutto coperse. 
E questo gran diluvio non riposa, 
sí vennon per lo mondo in tutto meno 
uomini, bestie, uccelli e ogni cosa. 
Aperta l’aire e venuto sereno, 
Noè mandò il corbo per suo messo, 
lo qual li venne a la risposta meno; 
similemente la colomba apresso, 
la qual fu tal, qual ciascun esser de’: 
ch’andò e vide e ritornò ad esso. 
Piú tempo per quelle acque andò Noè; 
al fine sopra il monte d’Erminia 35 
l’arca si posa, dove ancora è. 
Quel patto, ch’allor fu, par ch’ancor sia, 
tra Dio e Noè e, se nol sai, 
perché appar l’arco in ciel dimanda e spia. 
Bello è a saper, se non l’udisti mai, 40 
come la mente inebriato perse 
dormendo in terra disonesto assai, 
e come Cam ne rise e che sofferse 
veder la sua vergogna e come i due 
ciascun del palio suo il ricoperse. 45 
Per questo, maledetto poi Cam fue 
dal padre suo, quando il ver ne seppe, 
che servo fosse con le genti sue. 
Degno è bene di pascer per le greppe 
qual fa beffe del padre e non l’onora, 50 
come si legge che facea Ioseppe. 
In quel propio tempo, ch’io dico ora, 
le genti in Sanaar si raunaro 
con Nembrotto gigante, ch’era allora. 
Per gran superbia, la torre fondaro 55 
de la qual, credo, Iddio fe’ beffe e rise, 
veggendo in contro a Lui far tal riparo. 
Or odi l’argomento che vi mise: 
che, quando nel lavoro eran piú fermi, 
in settanta due lingue li divise. 60 
Ben è colui, che trovar pensa schermi 
al giudizio di Dio, che puote il tutto, 
con men discrezione assai che vermi! 
Onitus truovo in alcun costrutto 
che astrolago fu e grande maestro, 65 
dal qual Nembrotto trasse molto frutto. 
Ma Nembrotto, meccanico e campestro, 
diece cubiti grande, salvo il vero, 
sol quel facea che li venia piú destro. 
Acerbo visse, dispietato e fero, 70 
e, secondo Metodio, il primo pare 
che, usurpando l’altrui, prendesse impero. 
Di buona pianta dèi sempre aspettare 
d’aver buon frutto e cosí de la rea 
similemente rio imaginare. 75 
Nacque di Cam la gente Cananea, 
quella di Garama e d’Etiopia, 
di Egitto, di Libia e di Bugea. 
Di questa schiatta, ch’io ti conto, propia 
Nembrotto surse, Mineo e piú altri 80 
superbi a Dio, de’ quai non ti fo copia. 
De lo seme di Sem, Ermini e Baltri, 
Medi, Persi, Giudei, Sizi, Ircani, 
Caldei, con piú molti altri accorti e scaltri. 
Di Iafette seguirono i Romani, 85 
Ungari, Greci e, in vèr ponente, 
Franchi, Spagnoli, Tedeschi e Italiani. 
Ora, se a quel che ho detto ben pon mente, 
di Sem disceson quei che in Babilona 
imperiâr nel mondo primamente. 90 
Quei di Iafeth portaron la corona 
del tutto in Grecia e in Roma e quei di Cam 
stati son servi e sotto ogni persona. 
E qual fu il seme di Cain da Adam 
è stato il suo e quel de gli altri due 95 
qual quello di Iacob e d’Abraam,
di cui ti vegno a dir l’opere sue".
 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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