SESTO CANTARE
Argomento
Nel tenebroso centro della terra,
Ove regna Plutone, entra la strega:
E vuol, che seco, per finir la guerra
Di Malmantile, entri l'Inferno in lega:
Fanno concilio i mostri di sotterra,
Ove ciascun buone ragioni allega:
Certa al fin le promette l'assistenza:
Rend'ella grazie, e fa di lì partenza.
1
Miser chi mal oprando si confida
Far alla peggio, e ch'ella ben gli vada;
Perchè chi piglia il vizio per sua guida,
Va contrappelo alla diritta strada;
E benchè qualche tempo ei sguazzi e rida
Col vento in poppa in quel che più gli aggrada,
E' vien poi l'ora ch'ei n'ha a render conto,
E far del tutto (606), dondola, ch'io sconto.
2
Di chi credi, lettor, tu qui ch'io tratti?
Tratto di Martinazza, iniqua strega,
C'ha più peccati che non è de' fatti (607),
E pel demonio ogni ben far rinnega.
Di darsi a lui già seco ha fatto i patti,
Acciò ne' suoi bagordi la protega;
Ma state pur, perchè tardi o per tempo
Lo sconterà: da ultimo è buon tempo (608).
3
Non si pensi d'averne a uscir netta:
S'intrighi pur col diavol, ch'io le dico,
Se forse aver da lui gran cose aspetta,
Che nulla dar le può; ch'egli è mendico:
E quand'ei possa, non se lo prometta;
Perch'ei, che sempre fu nostro nimico,
Nè può di ben verun vederci ricchi,
Una fune daralle che l'impicchi.
4
Orsù tiriamo innanzi, ch'io ho finito,
Perch'a questi discorsi le persone
Non mi dicesser: questo scimunito
Vuol farci qualche predica o sermone.
Attenti dunque. Già v'avete udito
L'incanto, ch'ella fece a petizione
Di quei del luogo, ch'ebbero concetto
Scacciarne il duca; ma svanì l'effetto.
5
Ella, ch'in tanto avuto avea sentore
Che quei due spirti sciocchi ed inesperti
Avean dinanzi a lui fatto l'errore,
Sicchè da esso furono scoperti,
Se la digruma (609), che ne va il suo onore,
Mentre gli accordi fatti ed i concerti
Riusciti alla fin tutte panzane (610),
Con un palmo di naso ne rimane.
6
Ma non si sbigottisce già per questo,
Chè vuol cansar quell'armi dalle mura.
A' diavoli, da' quali ebbe il suo resto (611),
E che gliel'hanno fatta di figura (612),
Vuol, dopo il far che rompano un capresto,
Squartare, e poi ridurre in limatura;
Perchè non fu mai can che la mordesse,
Che del suo pelo un tratto non volesse.
7
Basta, ch'ella se l'è legata al dito,
E l'ha presa co' denti, e se n'affanna;
Talch'andarsene in Dite ha stabilito,
Perchè ne vuol veder quanto la canna (613),
Ed oprar che Baldon resti chiarito (614)
Ch'ambisce in Malmantil sedere a scranna.
Or mentre a questa volta s'indirizzi,
Potrà fare un viaggio e due servizzi.
8
Giù da Mammone andar vuole in persona,
Chè più non è dover, ch'ella pretenda,
Che sua bravicornissima corona
Salga a suo conto a ogni poco, e scenda.
Chieder grazie e dar brighe non consuona,
E chi ha bisogno, si suol dir, s'arrenda;
Per questo a lei tocca a pigliar la strada,
Perch'alla fin convien che chi vuol vada.
9
Perciò s'acconcia, e va tutta pulita,
Col drappo in capo e col ventaglio in mano,
A cercar chi la 'nformi della gita;
Nè meglio sa, che Giulio Padovano (615),
Che l'ha su per le punte delle dita,
E più di Dante, e più del Mantovano (616);
Perch'eglino vi furon di passaggio,
E questo ogni tre dì vi fa un viaggio.
10
Onde a trovarlo andata via di vela,
Dimanda (perchè in Dite andar presume)
Che luoghi v'è, che gente e che loquela;
Ed ei di tutto le dà conto e lume.
E poi per abbondare in cautela,
Volendola servire insino al fiume,
Le porge un fardellin piccolo e poco
Di robe, che laggiù le faran giuoco.
11
Così la maga se ne va con esso,
Che l'introduce in una bella via,
Tutta fiorita sì, che al primo ingresso
Par proprio un paradiso, un'allegria;
Ma non più presto l'uomo il piè v'ha messo,
Ch'ella diventa un'altra mercanzia,
Per i gran morsi e le punture acerbe
Che fanno i serpi, ascosi tra quell'erbe.
12
Entravi Martinazza, e sente un tratto
Due e tre morsi a' piè, dove calpesta;
Perciò bestemmia, che non par suo fatto,
E dice: o Giulio mio, che cosa è questa?
Ed ei, ridendo allora come un matto:
Non è nulla, rispose, vien pur lesta,
Che pensi tu, ch'io sia privilegiato?
Anch'io mi sento mordere, e non fiato.
13
Questa è la via, che mena a Casa calda,
Perch'ella è allegra, o almeno ella ci pare;
Perchè a martello (617) poi non istà salda,
La scorre ognor gente di male affare:
Le serpi sono ogni opera ribalda,
Ch'ella (618) ci fa, le quali a lungo andare
Di quanto ha fatto, scavallato, e scorso
Ci fa sentire al cuor qualche rimorso.
14
Ma se ravvista (619) un tratto del suo fallo,
Bada a tirar innanzi alla balorda,
Perch'il vizio rifiglia e mette il tallo,
Vien sempre più a aggravarsi (620) in sulla corda.
Il male invecchia al fine e vi fa il callo;
Sicchè venga un serpente pure, e morda,
Ch'ella non sente nè meno un ribrezzo:
Così peggio che mai la dà pel mezzo (621).
15
Nella neve si fa lo stesso giuoco;
Chè l'uom sul primo diacciasi le dita,
Poi quel gran gelo par che manchi un pco,
E sempre più nell'agitar la vita;
Al fine ei si riscalda come un fuoco,
Sicchè non la farebbe mai finita;
Nè gli darebbe punto di spavento,
Quand'ei v'avesse ancora a dormir drento.
16
Or tu m'hai inteso: rasserena il volto;
Chè tu vedrai, tirando innanzi (622) il conto,
(Perchè di qui a poco non ci è molto)
Che delle serpi non farai più conto.
Ma dimmi, che ha' tu fatto del rinvolto?
L'ho qui, dic'ella, sempre lesto e pronto.
Sta ben, soggiunge Giulio, adunque corri,
Perchè qui non è tempo da por porri (623).
17
Resta, dic'ella, omai; ch'io ti ringrazio
Dell'instruzion, ch'appunto andrò seguendo;
Promissio boni viri est obligatio,
Dic'egli: t'ho promesso, e però intendo
Ancor seguirti questo po' di spazio;
E quivi con un tibi me commendo,
All'in qua ripigliando il mio cammino,
Ti lascio, com'io dissi, al colonnino (624).
18
Ed essa allora abbassa il capo, e tocca (625),
Sebben de' serpi ell'ha qualche paura;
Pur via zampetta, e fatto del cor ròcca,
Va calcando la strada alla sicura;
Sicch'ella non si sente aprir la bocca,
Perchè non è più morsa, o non lo cura.
Giunti alla fine al gran fiume infernale,
Restò la donna, ed ei le disse: Vale.
19
Questo è il famoso fiume d'Acheronte,
Ove s'imbarca ognun che quivi arriva.
S'affaccia anch'essa; ma il nocchier Caronte
Da poi che tratto ognuno ebbe da riva,
Sta' indietro (grida a lei con torva fronte),
Chè qua non passa mai anima viva;
Ond'ella, messi fuor certi baiocchi,
Gli getta un po' di polvere negli occhi.
20
Ed egli, che da essa ebbe il sapone
E che si trovò lì come il ranocchio
Preso dalla medesima al boccone,
Mentr'ella saltò in barca, chiuse l'occhio.
La strega fra quell'anime si pone:
Quai colle brache (626) son fino al ginocchio,
Dovendo a' soprassindaci di Dite
Presentar de' lor libri le partite.
21
Piangendo, come quando uno ha partito
Le cipolle fortissime malige,
Passan quel fiume, e poi quel di Cocito,
Ultimamente la palude Stige
Che a Dite inonda tutto il circuito
E in sè racchiude furbi e anime bige (627);
Ove Caronte al fin sendo arrivato,
Sbarcò tutti: ed ognun fu licenziato.
22
Ch'entrar dovendo in Dite, e salta e gira,
Che par quando mi barbera (628) la trottola;
Andar non vi vorrebbe e si ritira,
Grattandosi belando la collottola;
Pur finalmente forza ve lo tira,
Come fa (629) il peso al grillo una pallottola;
Così ne van quell'anime nefande,
Chi dal piccin(630) tirata, e chi dal grande.
23
Per la gran calca nel passar le porte
Convenne a ognuno andarne colla piena;
Ma la strega non ebbe tanta sorte,
Chè tienla il can che quivi sta in catena.
E perchè per tre bocche abbaia forte,
Ella dice: ti dia (631) la Maddalena.
E intanto trova il pane e in pezzi il taglia,
E in tre gole, ch'egli apre, gliene scaglia.
24
Il mostro, che mangiato avria Salerno (632),
Chè quanto a masticar quei ser(633) saccenti
Voglion (perch'egli è guardia dell'Inferno)
Tenerlo sobrio, acciò non s'addormenti;
Ond'è ridotto per il mal governo
Sì strutto, che e' tien l'anima co' denti;
Perch'egli è ossa e pelle, e così spento,
Ch'ei par proprio il ritratto dello stento.
25
Sicchè, quand'ei si sente il tozzo in bocca,
Perchè la fame quivi ne lo scanna,
L'ingozza, che nè manco non gli tocca
Nè di qua nè di là giù per la canna;
Ma subito gli venne il sonno in cocca (634),
Ond'ei s'allunga in terra a far la nanna;
Chè il papavero e il loglio, ch'è in quel pane,
Farìa dormir un orso, non ch'un cane.
26
Or mentre fa il sonnifero il suo corso,
La donna, che più là facea la scorta
(Perocchè avea timor di qualche morso),
Vedendo che la bestia come morta
Sdraiata dorme, e russa com'un orso,
Legno da botte (635) fa verso la porta;
E poi, bench'ella fosse alquanto stracca,
Dà una corsa, e in Dite anch'ella insacca.
27
Perchè d'alloro ha sotto alcune rame,
Vien fatta a' gabellier la marachella (636);
Tal ch'un di lor, ch'arrabbia dalla fame,
Fermate, dice, olà: che roba è quella?
Ti gratterai (637), dic'ella, nel forame,
Perch'io non ho qui roba da gabella,
Se non un po' d'allòr, ch'a Proserpina
Porto, perch'ella fa la gelatina.
28
S'ell'è, come voi dite, a questo modo,
Ei le risponde, andate pur, madonna;
Perch'altrimenti c'entrerebbe il frodo,
E voi stareste in gogna alla colonna.
Orsù correte pria che freddi il brodo,
Chè la regina poi sarebbe donna
Da farci per la stizza e pel rovello
Buttar a piè la forma del cappello (638).
29
La maga senza dir più da vantaggio,
Mentr'egli aspetta un po' di mancia e intuona,
Ripiglia prontamente il suo viaggio,
E incontra Nepo già da Galatrona (639),
Ch'avendo dato là di sè buon saggio,
In oggi è favorito e per la buona;
Perchè Breusse (640) in oltre a' premi e lode
L'ha di più fatto diavolo a due code.
30
Or che gli arriva all'improvviso addosso
Il venir della maga, ch'è il suo cuore,
Lui mago, pur tagliatole a suo dosso,
Le spedisce per suo trattenitore.
Mentr'il petardo col cannon più grosso
Sentesi fargli strepitoso onore,
Cavalier Nepo, com'io dissi dianzi,
Col riverirla se gli affaccia innanzi.
31
E perchè a Benevento essa di lui,
Com'ei di lei, avuto avea notizia,
Non prima si riveggon, ch'ambedui
Rifanno il parentado e l'amicizia.
Tra' diavoli poi van ne' regni bui;
E perchè Martinazza v'è novizia,
E non intende il gracidar ch'e' fanno,
L'interpetre fa egli e il torcimanno.
32
Per via l'informa e le dà molti avvisi
D'usanze e luoghi, e intanto di buon trotto
La guida a' fortunati campi Elisi,
Dove si mangia e beve a bertolotto (641);
E tra quei rosolacci e fioralisi
Si passa il tempo in far di quattro e d'otto (642):
Chi un balocco e chi un altro elegge,
Chè lì (643) non è un negozio per la legge.
33
Quivi si vede un prato, ch'è un'occhiata,
Pien di mucchietti d'un'allegra gente;
Che vada pure il mondo in carbonata,
Non si piglia un fastidio di nïente;
Ma, com'io dico, tutta spensierata
Ballonza, canta, e beve allegramente,
Come suol far la plebe agli Strozzini (644),
O sul prato del Pucci, o del Gerini.
34
Quivi si fa al pallone e alla pillotta (645):
Parte ne giuoca al sussi (646) e alle murelle (647):
Colle carte a primiera un'altra frotta
I confortini (648) giuoca e le ciambelle:
Altri fanno a civetta (649), altri alla lotta:
Chi dice indovinelli, e chi novelle:
Chi coglie fiori, e un altro un ramo a un faggio
Ha tagliato, e con esso canta maggio.
35
Più là un branco ha messo l'oste a sacco,
Sicchè tutti dal vin già mezzi brilli,
Mentre la gira (650), fan brindisi a Bacco:
Altri giuoca a te te (651) con paglie o spilli:
Altri piglia o dispensa del tabacco:
Altri piglia le mosche, un altro grilli:
E tutti quanti in quei trastulli immersi
Si tengono (652) il tenor, si vanno a' versi.
36
La donna resta lì trasecolata,
Vedendo quanto bene ognun si spassa;
E perchè Nepo l'ha di già informata,
Non ragiona di lor, ma guarda e passa.
Per tutta la città vien salutata,
E infin le stanghe e ogni forcon s'abbassa;
Ed ella, or qua or là voltando inchini,
Pare una banderuola da cammini.
Note:
(606) E FAR DEL TUTTO ecc. E scontarla. Dondola, ch' io sconto, disse un derubato vedendo penzolare il ladro dalla forca; cioè, sconto il debito che meco tu hai, col piacere di vederti costì dondolare.
(607) CHE NON È DE' FATTI. Più di quanti ne siano mai stati commessi.
(608) DA ULTIMO BUON TEMPO. Non sempre anderà a un modo. Post nubila Phœbus.
(609) LA DIGRUMA. Va fra sè ruminando, pensando.
(610) PANZANE. Bubbole, chiacchiere.
(611) EBBE IL SUO RESTO. Fu servita proprio a dovere e come meritava.
(612) DI FIGURA. Glien'hanno fatta una solenne; dal giuoco di primiera.
(613) QUANTO LA CANNA. Per quanto le duri fiato nella canna della gola
(614) CHIARITO. Vedi C. I, 1
(615) GIULIO PADOVANO compose quattro Capitoli in terza rima, nei quali narra un suo viaggio all'inferno.
(616) MANTOVANO. Virgilio.
(617) A MARTELLO ecc. Non regge alla prova. Non si mantiene poi sempre allegra.
(618) ELLA. La gente. Costruisci quel che segue così: Qualche rimorso di quel che la gente ha fatto ecc. ci fa sentire le quali serpi.
(619) RAVVISTA qui vale semplicemente: Avendo conosciuto.
(620) AGGRAVARSI ecc. Si fa maggior male, fisicamente, se mentre gli è dato il tratto, si lascia andare; moralmente, se dice cose che accrescano gl'indizi della imputazione.
(621) LE DÀ PEL MEZZO. Ci dà dentro a occhi chiusi e capo chino; tira innanzi senza riguardo alcuno.
(622) TIRANDO INNANZI ecc. Vedi c. IV, 60.
(623) POR PORRI. Quando si pongono i porri, sono così sottili, che richiedono molto tempo a porgli. (Minucci.)
(624) IL COLONNINO. Un termine supposto.
(625) TOCCA. Va; dal toccare i cavalli colla sferza per muoverli.
(626) QUAI CON LE BRACHE ecc. Alle quali anime, per la paura, eran cascate le brache fino al ginocchio.
(627) GENTI BIGE. Scellerate e da non se ne fidare. Chiamavansi bigi cioè di colore incerto, quelli che dalla fazione dei Palleschi (fautori dei Medici) passavano a quella dei Piagnoni (fautori di fra Girolamo Savonarola), o a quella degli Arrabbiati o Compagnacci (nernici del Savonarola).
(628) BÀRBERA (Cioè fa come un barbero alle mosse) la trottola, quando non gira unita e pari, ma a salti.
(629) COME FA. ecc. Come il peso tira una pallottola al grillo che è una piccola palla a cui debbonsi accostare le altre quanto è più possibile, per vincere al giuoco delle pallottole o piastrelle, o murelle.
(630) IL PICCINO, il grande e la catena sono tre contrappesi di piombo per via dei quali si fanno fare alle pallottole i giri voluti. Intende, peccati piccoli o grandi.
(631) TI DIA Ti sia data, t'incolga la Maddalena. Era la campana della torre del Bargello che sonava quando alcuno andava alle forche.
(632) SALERNO. Sassi.
(633) QUEI SER. I governatori dell'inferno.
(634) IN COCCA. In pronto; dalla corda dell' arco che è nella cocca, cioè pronta a lanciare.
(635) LEGNO DA BOTTE FA. S'accosta, come i legni o doglie delle botti fanno tra sè.
(636) MARACHELLA. Qui, spia.
(637) TI GRATTERAI ecc. Non toccherai il guadagno.
(638) LA FORMA DEL CAPPELLO. Vedi c. V, 48.
(639) NEPO DA GALATRONA fu uno stregone che visse nel 15° secolo.
(640) BREUSSE o Breus. Uno dei Cavalieri erranti della Tavola rotonda. Ma qui intende Plutone.
(641) A BERTOLOTTO. A usanza di Bertolotto, a scrocco.
(642) IN FAR DI QUATTRO ecc. In non far nulla.
(643) CHE LÌ ecc. La legge lì non ha da far nulla; non v'è legge.
(644) ALLI STROZZINI ecc. Villa della famiglia Strozzi; e così quelle che seguono, che son tutte poco lontano da Firenze.
(645) LA PILLOTTA. È una palla piena di vento, di una grossezza media fra il pallon grosso e la palla comune.
(646) IL SUSSI consiste nello scagliar delle pietre contro un matton ritto, sopra cui sono alcuni soldi, per farli cadere.
(647) LE MURELLE, o piastrelle, sono lo stesso giuoco che le pallottole o palline, ma si fa con sassi di forma piana.
(648) CONFORTINI. Chicche.
(649) CIVETTA. Vedi c. II 42.
(650) MENTRE LA GIRA. Mentre il bicchiere va attorno.
(651) A TE TE. Si fa questo giuoco con due spilli o pagliucole poste sopra un tavolino. Due bambini le vanno spingendo l'una contro l'altra, finchè s' accavallino. Quella che resta di sopra, vince
(652) SI TENGONO ecc. S'aiutano e s'accordano.
"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)
(segue)
Inviato da: cassetta2
il 12/08/2024 alle 08:41
Inviato da: amistad.siempre
il 11/08/2024 alle 23:52
Inviato da: Vince198
il 25/12/2023 alle 09:06
Inviato da: amistad.siempre
il 20/06/2023 alle 10:50
Inviato da: patriziaorlacchio
il 26/04/2023 alle 15:50