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Messaggi del 17/01/2016

Er zor Tri...bburzio

Post n°2493 pubblicato il 17 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

Er zor Tri...bburzio

Corpo de gesso! Varda chi se vede.
Er zor Tri...bburzio. E indove ve ne annate?
A la trippografia? E che je portate?
Quarche sonetto? Fatecelo vede.

Senti', vienite quà: è propio de fede
che sò vostri 'sti verzi che stampate?
Perché certe gentacce scojonate
dicheno che ciavete er tirapiede.

Sò vostri sò?! Je lo diremo ieri.
Lo conoscemo noi chi è lo scrivano
che ve li fa: vo' fate un par de zeri.

Ce ne sò de faccioni, fîo de Cristo,
ma er vostro, fresca sì che ciarlatano,
è comm'er mascheron de Ponte Sisto.

Filippo Chiappini

"... sonetto che l'ombroso Chiappini ... dedicò con veleno al giovane poeta Trilussa ... A pag. 170 dei suoi Sonetti romaneschi inediti pubblicati postumi a Roma dal nipote Gino Chiappini, figura un altro sonetto dedicato a Trilussa, che pur essendo senza data è facile collocare agli anni 1887-1889, prima cioè della pubblicazione da parte di Trilussa del vol umetto Stelle di Roma ... Nel sonetto E' ritratto de' ritrattista è l'accusa di ignoranza; nel sonetto Er zor Tri...bburzio è l'accusa di plagio." (Gennaro Vaccaro, "Vocabolario Romanesco Trilussiano e italiano-romanesco", 1971).

 
 
 

Loggetta bella

Loggetta bella

Premiata con diploma al concorso poetico

Loggetta contornata da li fiori,
De quelli più sciccosi de giardino;
Tu rippresenti er nido de l'amori
Perchè possiedi un angelo divino.

Fiore de more,
'St'angelo bello pieno de sprennore
E' Nina mia che m'ha rubato er core!

Quanno che a la mattina spunta er sole
E in celo s'aritira qualsia stella,
Ne comparisce un'antra assai più bella
Tramezzo a que' li vasi de viole.

Fioretto caro,
Er giorno s'incomincia a fa più chiaro
Perchè apparisce quer visetto raro!

Quanno s'affacia lei tra li fioretti,
Tu, loggia bella, pari un'artarino!
Lei 'na, madonna; un viso da bacetti,
Che me fa spasima 'gni momentino

Fior de gaggia,
Io t'amo loggia piena de maggia
Perchè vola da te l'anima mia!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 23

 
 
 

La duttrinella 86-90

Post n°2491 pubblicato il 17 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877.

Maestro. - Quanti sono i Doni dello Spirito Santo?
Discepolo. - Sono Sette:
1. Sapienza. 2. Intelletto. 3. Consiglio. 4. Fortezza. 5. Scienza. 6. Pietà. 7. Timor di Dio.

LXXXVI.

Peppe. Dit' un po', padre mio, ma 'ste virtù
Ccardinali, nun so' cqueli vecchioni
Chiusi llà ddrento a ccerti carrozzoni
C' annavano 'na vorta in su e 'n giù

Pe Rroma, e mmo'nun s' incontrano ppiù?
D. G. No, ffijo mio, manco pe li co....
Ma llass' annà, ddimm' invece 'sti doni
De lo Spirito Ssanto, annamo, sù.

Peppe. Questi so' ssette: er primo la sapienza,
Siconno l' intelletto, e ppo' er consijo,
Quarto fortezza e ppo' quinto la scenza,

Sesto pietà e ppo' er timor de Ddio.
D. G. Oggi chiudemo, e cquanno torni, fijo,
Dirai 'sti doni si cche ffanno. Addio.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 92



Maestro. - A che servono questi doni?
Discepolo. - Servono per aiuto delle virtù, e per farci perfetti nella via di Dio. Perchè per il Timore ci asteniamo dai peccati. Per la Pietà siamo devoti ed obbedienti a Dio. Per la Scienza siamo ammaestrati a sapere la volontà di Dio. Per la Fortezza siamo aiutati a metterla in esecuzione. Per il Consiglio siamo avvertiti dagli inganni del Demonio. Per l'Intelletto siamo innalzati a penetrare i Misteri della Fede, ecc.

LXXXVII.

D. Q. Dunque che ffanno?
Peppe. Che ffanno? Accidenti!
Pe la paura nun fai ppiù ppeccati,
Pe la pietà cc' è ccaso se diventi
Devoti, e ddice puro ammaestrati

A ssapè ttutto e a ddiventà ssapienti,
Capace puro che ssem' ajutati
A llavorà; cche ssi ppoi stam' attenti
Ar consijo nun semo cojonati

Dar demonio, e sse sa cchedè 'r mistero
E ppoi... insomma è 'na consolazzione
Pensa cche llui si cce li da ddavvero

'Sti regali, pur uno in camiciola,
Come so' io, po' esse un dottorone
Senza bbisogno manco d'annà a scola.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 93



Maestro. - Quante sono le opere della Misericordia, delle quali ci sarà dimandato in particolare nel giorno del giudizio?
Discepolo. - Sono sette:
1. Dar da mangiare agli affamati. 2. Dar da bere agli assetati. 3. Vestire gl'ignudi. 4. Alloggiarci pellegrini. 5. Visitare gl'infermi. 6. Visitare i carcerati. 7. Seppellire i morti.

LXXXVIII.

Peppe. Sentite mo' cche ddice er Bellarmino:
Divid' er pranzo tuo co l' affamati,
E ssi ànno sete daje un filettino;
Vesti li ggnudi quanno so' spojati;

Si ppe strada tu incontri un pellegrino
Portel' a ccasa; si cce so' ammalati
Tu vvalli a ttrova e stacce un pochettino,
E vva' ppuro a ttrovà li carcerati..

Pe 'ste sei prime, a ddilla talecquale,
Chi ccià ttempo e ccuttrini a bbuttà vvia,
Nun se po' ddì ccbe je faccino male.

Pell' urtimo però, fursi c' ò ttorto,
Ma mme ppare 'na mezza porcherìa
Rubbà la professione ar beccamorto.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 94



Maestro. - Queste sono opere di Misericordia Corporali: sonovi altre di Misericordia Spirituali?
Discepolo. - Ci sono altre sette, cioè:
1. Consigliare i dubbiosi. 2. Insegnare agl' ignoranti. 3. Ammonire i peccatori. 4. Consolare gli afflitti. 5. Perdonare le offese. 6. Sopportare pazientemente le persone moleste. 7. Pregare Iddio per i vivi e per i morti.

LXXXIX.

Peppe. 'Stè cose so' pper còrpo, e ppo' artrettante
Pe lo spirito.
B.G. E sso'?
Peppe. Ecchele cquà:
Consijà li dubbiosi, all'ignorante
Insegna armenchessia er be-a-bbà,

Dì ar peccatore nu ne facci tante,
Consola un po' l' affritti, e pperdonà
Puro a cchi tte ne fa nun so ssi cquante,
Sopporta in pace chi tte sta a sseccà,

E ssi cciàresta un quarto d'ora spiccio,
Prega Ddio pe li morti e ppe li vivi.
Ma cquì, mme pare, è 'r solito pasticcio,

C' ortre ch' er tempo è ccurto in tutto l'anno,
E a ffa ll'obbrigo tuo manco cciàrrivi
Puro er pregà? Mma li preti che ffanno?

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 95



Maestro. - Ora venendo ai peccati, quante sorte si trovano di peccati?
Discepolo. - Due: originale ed attuale, il quale poi si divide in mortale e veniale.
Maestro. - Qual'è il peccato originale?
Discepolo. - È quello, con il quale tutti nasciamo, e lo abbiamo come per eredità dal primo nostro padre Adamo.
Maestro. - Questo come ci viene scancellato?
Discepolo. - Con il santo Battesimo, e però chi muore senza Battesimo va al Limbo, ed è privo in perpetuo della gloria del Paradiso.

XC.

D. G. Be', ddimm'un po', cquanti so' li peccati?
Peppe. Eh!! Cc' è l'origginale, l'attuale,
E appresso viè 'r mortale e ppo' 'r veniale,
E ppo' so' ttanti che echi lìà ccontati?

Dice che uno noi ce semo nati,
E cquesto cqua è 'r peccato origginale,
E ppe 'sta cosa si cce pija u' mmale,
E ccrepamo senz'esse bbattezzati,

Avemo voja a ffà, mma nnoi llassù
Nun ciàriesce de potecce annà,
E annamo al limbo che sta un po' ppiù ggiù.

D. G. Ma origginale?
Peppe. , Origginale sì,
È 'r padr' Adamo che pp' eredità
Cià vvorzuto lassà 'sta robba cqui!

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 96

 
 
 

La preghiera a San Giuseppe

La preghiera a San Giuseppe

San Giuseppe frittellaro,
tanto bono e tanto caro,
tu che sei così potente
da aiutà la pòra gente,
tutti pieni de speranza
te spedimo quest’istanza.

Fa sparì da su ‘sta tera
chi desidera la guera;
fa venì l’era beata
che la gente affratellata
da la pace e dal lavoro
nun se scannino tra loro.

Fa che er popolo italiano
ciabbia er pane quotidiano
fatto solo de farina
senza ceci ne saggina.

Fa che calino le tasse
e la luce, er tranve e er gasse;
che ar telefono er gettone,
nun lo mettano un mijone;
che a potè legge er giornale
nun ce serva un capitale;
fa che tutto a Campidojo
vadi liscio come l’ojo;
che a li ricchi troppo ingordi
je se levino li sordi
pe’ curà quer gran malato
che sarebbe l’impiegato
che, così, l’avrebbe vinta
e s’allarga un po’ la cinta;
mò quer povero infelice
fa la cura dell’alice...
e la panza è tanto fina
che s’incolla co’ la schina.

O mio caro San Giuseppe
famme fa un ber par de peppe,
ma fa pure che er pecione
nun le facci cor cartone
che sinnò li stivaletti
doppo un mese che li metti
te li trovi co’ li spacchi
senza sola e senza tacchi.

E fa pure che er norcino
er salame e er cotechino
ce lo facci onestamente
cor maiale solamente
che sinnò li drento c’è
tutta l’arca de Noè.

Manna er freddo e manna er sole
tutto quello che ce vole
pe’ fa bene a la campagna
che sinnò qua nun se magna.

Manna l’acqua che ricrea
che sinnò la sora Acea
ogni vorta che nun piove
s’impressiona e fa le prove
pe’ potè facce annà a letto
cor lumino e er moccoletto.

O gran Santo benedetto
fa che ognuno riabbia un tetto.
La lumaca, affortunata,
cià la casa assicurata
che la porta sempre appresso...
fa pe’ noi puro lo stesso...
facce cresce su la schina
una camera e cucina.

Fa che l’oste, bontà sua,
pe’ fa er vino addopri l’uva
che sinnò quanno lo bevi
manni giù l’acqua de Trevi.

Così er vino fatto bene
fa scordà tutte le pene
e te mette l’allegria.
Grazzie tante...
accusì sia!

Checco Durante
1950
Da "Acquarelli"

Il personaggio di S. Giuseppe, è sempre stato molto venerato dal popolo romano. Di questo sono testimonianza le tante chiese costruite a Roma in suo onore, e la grande diffusione del nome Giuseppe o Giuseppina tra la gente. Per questi motivi il 19 Marzo è sempre stata una data particolare a Roma.La celebrazione del 19 marzo ha origini antichissime. La festa cristiana di San Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù, si innesta su riti di origine pagana, con un collegamento in primo luogo di calendario: il 19 marzo è, infatti, la data alla vigilia dell’equinozio di primavera in cui si svolgevano gli antichi riti dionisiaci di propiziazione e fertilità, i baccanali, poi vietati anche a Roma per l’eccessiva licenziosità dei costumi.

La festa cattolica ha origine nella Chiesa dell’Est e venne importata in Occidente e nel calendario romano nel quindicesimo secolo, con la data fissata al 19 marzo. Pio IX dichiarò San Giuseppe patrono della Chiesa universale nel 1870, mentre Pio XII° stabilì che la data del 1° maggio fosse dedicata a San Giuseppe lavoratore.

Alla sua figura di patrono dei falegnami e degli artigiani viene associata anche quella di protettore dei poveri, perché come poveri in fuga Giuseppe e Maria si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto.

A Roma la festa di San Giuseppe è sempre stata accompagnata da grandi festeggiamenti: nella Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, al Foro, la confraternita dei Falegnami organizzava solenni festeggiamenti e banchetti a base di frittelle e bignè, da cui il detto romano "San Giuseppe frittellaro". La tradizione nell’800 è talmente radicata tra il popolo che viene ricordata da poeti e scrittori come il Belli e Zanazzo, fino alla più recente preghiera a "San Giuseppe frittellaro" di Checco Durante del 1950.

Di quella che agli inizi del secolo Giggi Zanazzo definiva "ffesta granne", durante la quale i "cristiani bbattezzati" mangiavano frittelle e bignè a tutto spiano, è rimasto negli anni recenti solo un pallido ricordo nel quartiere Trionfale. Momento clou della festa, che prevedeva anche cerimonie religiose e spettacoli musicali in piazza della Rotonda, era l'invasione nelle strade dei friggitori, con i loro "apparati, le frasche, le bbandiere, li lanternoni, e un sacco de sonetti stampati intorno ar banco, indove lodeno le fritelle de loro, insinenta a li sette cèli". Il testo dei cartelli osannava i miracolosi poteri dei dolci venduti: "E chi vuol bene mantenersi sano / di frittelle mantenga il ventre pieno", in grado di far tornare la vista ai ciechi, la parola ai muti e persino di far camminare gli storpi... nemmeno una parola però rispetto agli effetti di queste "abbuffate" sul fegato!

Note tratte dal sito laboratorioroma

 
 
 

27 anni doppo

Post n°2489 pubblicato il 17 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

27 anni doppo

Un sinedrio de quattro giornalisti
Che raja li losanna a chi lo paga;
'Na voja d'imbrojasse che ss'allaga,
Ingiustizie e spettacoli mai visti:

Deputati caccòsi e ppagnottisti;
Smarroni d'agguantasse co' la draga;
Governanti imbecilli e camorristi
Che nun fannoantro ch'ingrossà la piaga.

Fame, falliti, scórtichi, magnaccia;
Ministri e ssegretari ben pasciuti
Che cce vanno p'er Corso a rottà in faccia:

L'onestà boccheggiante su la paja,
E la grolia che ghigna a li cornuti.
Ecco la Capitale de l'Itaja!

Giggi Zanazzo
19 settembre 1897
Da: Cassandrino in dialetto romanesco, a.1, n. 13

Un sonetto analogo porta il titolo di "La verità"

 
 
 
 
 

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