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Messaggi del 21/01/2016

Chi cià fij cià malanni

Chi cià fij cià malanni

Ma', me fa le boccacce Sarvatore.
Sta' fermo boja! - A ma', vojo la pappa.
Eccheve er pane. -Vh Dio! A ma', me scappa
da piscià. -Va co' Teta ar cacatore.

Già nun connetto piune, se discore!
Che diavol'hai magnata, la scialappa?
A Teta attappa er monsignore, attappa:
nun ciài naso, nun senti si ch'odore?

Teta, piagne la pupa: e mica sente!
levela da la cunnela, sventata;
sbrighete, che te pija 'n accidente!

Si piagne, viè de qua: nu' m'hai sentito?
Vorrà la zinna st'antra scodicata!
Eh che bellezze? Annate a pià marito!

Nota:
Proverbio registrato dallo Zanazzo corrispondente al toscano « Chi disse figliuoli, disse duoli» .

Giggi Zanazzo
19 marzo 1880

 
 
 

Alfieri, 8 sonetti

A tardo passo, al sospirato loco,

A tardo passo, al sospirato loco,
Cui solo abbella di mia donna il volto,
Dopo dodici lune ho il piè rivolto;
E fortuna a me par più mite un poco.

Ma, per lo pianger lungo, io son sì fioco,
L'ingegno in nebbia così densa è avvolto,
E intero il cor sì nel dolor sepolto,
Che al canto invan l'alta mia Diva invoco.

Pur, sì invasa ho di lei la mente, e il petto
Caldo così, che parmi, anco senz'arte,
Abbiano i miei sospiri a dar diletto.

Ma s' io m' inganno, almen sfogato in parte
Avrò quel dolce vario-mesto affetto,
Che me dal volgo, e da me stesso, parte

Vittorio Alfieri
Sansoni, Firenze 1963 p.79-80


D’ozio, e di vino, e di vivande pieno,

D’ozio, e di vino, e di vivande pieno,
Tra donne e cavalieri a mensa assiso
Stassi Fra Ciacco con lo grifo intriso,
Tutto aggraziato, amorosetto, ameno.

Sorto un brindisi a fare, adocchia il seno
Di quella, ond’ei si sente il cuor conquiso;
Poi su la sedia il posterior suo viso
Crede adagiar, ma batte il rio terreno.
 
Tanto d’impeto fu, sì sconcio il peso,
Che all’aria andár le zampe, i panni in testa,
E di sua Reverenza il meglio apparse.

Tal vediam nella polve in lieta festa
Un possente asinon di foia acceso,
Per far pompa di membra, rotolarse.

Vittorio Alfieri
1777
Le opere di Vittorio Alfieri, vol. XI
Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1810, P. 118
https://books.google.it/books?id=gXiA7-kaWD4C



Del sublime cantore, epico solo,

Del sublime cantore, epico solo,
Che in moderno sermon l'antica tromba
Fea risuonar dall'uno all'altro polo,
Qui giaccion l'ossa, in sì negletta tomba?

Ahi Roma! e un'urna a chi spiegò tal volo
Nieghi, mentre il gran nome al ciel rimbomba?
Mentre il tuo maggior tempio al vile stuolo
De' tuoi vescovi re fai catacomba?

Turba di morti, che non fur mai vivi,
Esci, su dunque ; e sia di te purgato
II Vatican, cui di fetore empivi:

Là, nel bel centro d'esso ei sia locato.
Degno d'entrambi il monumento quivi
Michelangiolo ergeva al gran Torquato.

Vittorio Alfieri
1778
Sansoni, Firenze 1963 p. 133



O gran padre Alighier, se dal ciel miri

O gran padre Alighier, se dal ciel miri
Me tuo discepol non indegno starmi,
Dal cor traendo profondi sospiri,
Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi;

Piacciati, deh! propizio ai be' desiri,
D'un raggio di tua luce illuminarmi.
Uom, che a primiera eterna gloria aspiri,
Contro invidia e viltà de' stringer l'armi?

- Figlio, i' le strinsi, e assai men duol; ch'io diedi
Nome in tal guisa a gente tanto bassa,
Da non pur calpestarsi co' miei piedi.

Se in me fidi, il tuo sguardo a che si abbassa?
Va, tuona, vinci: e, se fra' pie ti vedi
Costor, senza mirar, sovr'essi passa.

Vittorio Alfieri
1783
Sansoni, Firenze 1963 p.66



Oggi ha sei lustri, appié del colle ameno

Oggi ha sei lustri, appié del colle ameno
Che al Tanaro tardissimo sovrasta,
Dove Pompeo piantò sua nobil asta,
L'aure prime io bevea del di sereno.

Nato e cresciuto a rio servaggio
Pur dire osai: Servir, l'alma mi guasta;
Loco, ove solo UN contra tutti basta,
Patria non m'è, benché natio terreno.

Altre leggi, altro cielo, infra altra gente
Mi dian scarso, ma libero ricetto,
Ov'io pensare e dir possa altamente.

Esci dunque, o timore, esci dal petto
Mio, che attristasti già si lungamente;
Meco albergar non dèi sotto umil tetto.

Vittorio Alfieri
1778
Sansoni, Firenze 1963 p. 15



Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva

Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva
al mar là dove il tosco fiume ha foce,
con Fido il mio destrier pian pian men giva;
e muggìan l'onde irate in suon feroce.

Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva
il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce)
d'alta malinconia; ma grata, e priva
di quel suo pianger, che pur tanto nuoce.

Dolce oblio di mie pene e di me stesso
nella pacata fantasia piovea;
e senza affanno sospirava io spesso:

quella, ch'io sempre bramo, anco parea
cavalcando venirne a me dappresso...
Nullo error mai felice al par mi fea.

Vittorio Alfieri
Letteratura italiana Storia e testi - Vol. 6,II - Il Settecento p. 622, Casa editrice Laterza, Roma-Bari, 1973



Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gent

Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gent
ch'ha l'anima tant mola e deslavà
ch'a l'é pa da stupì se 'd costa nià
i piaso apena ape-a a l'un per cent.

Tuti s'amparo 'l Metastasio a ment
e a n'han l'orie, 'l coeur e i'eui fodrà:
i Eroi ai veulo vede, ma castrà,
‘l tragic a lo veulo, ma impotent.

Pure i m’ dag nen pr vint fin ch'as decida
s'as dev troné sul palc o solfegiè,
strassè 'l coeur o gatiè marait l'orìa.

Già ch'ant cost mond l'un l'autr bsogna ch'as rida,
i’eu un me dubbiet ch'i veui ben ben rumiè:
s'l'é mi ch'son d’ fer, o i'italian d’ potìa.

Vittorio Alfieri
Letteratura italiana Storia e testi - Vol. 6,II - IL Settecento p. 619, Casa editrice Laterza, Roma-Bari, 1973



Uom, che barbaro quasi, in su la sponda

Uom, che barbaro quasi, in su la sponda
Del non Etrusco Tanaro nascea,
Dove d'Itale voci è impura l'onda,
Si ch'ella macchia ogni più tersa idea;

Più lustri or son, ch'ei la natal sua immonda
Favella in piena oblivion ponea;
E al vago dir che l'alma Flora inonda,
E labro e penna ed animo volgea.

Se niun di voi, cigni dell'Arno, or vede
Spurio vestigio nel costui sermone,
Cittadinanza di parole ci chiede.

Sacro tributo a Grecia tutta impone
L'unica Atene, di ogni grazia sede,
Cui la Beozia stolta invan si oppone

Vittorio Alfieri
Sansoni, Firenze 1963 p.173-174

 
 
 

La duttrinella 96-100

Post n°2503 pubblicato il 21 Gennaio 2016 da valerio.sampieri
 

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877.

Maestro. - Quante sono le cose ultime dell'uomo, le quali la Scrittura chiama Novissimi, che considerandole bene ci fanno astenere dai peccati?
Discepolo. - Sono quattro:
1. La Morte. 2. Il Giudizio. 3. L'Inferno. 4. Il Paradiso.

XCVI.

D. G. E ddi' un po', ppe nnun fa ggnissan peccato
A cche ss'à da pensa, ddimme, Peppetto?
Peppe. Ecco, 'sto Belarmino bbenedetto
Pur' i' 'sta cosa dev'avè sbajato.

'Ste quattro cose cquà, ppe Ddio sagrato,
Che llui chiama Novissimi, scummetto
Che invece so' ppiù vvecchie der brodetto:
V'abbasti a ddì cche io da che sso' nnato

Ò inteso dì cche vvie' pprima la morte
Po' er giudizzio, l'inferno e 'r paradiso,
E è ttanto vero che sse po' ddì fforte.

Dunque, mannaggia li mortacci sui,
Ce vo' ccore a sbattèccele sur viso
Manco, che sso! ll'abbi inventate lui.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 102



Maestro. - Ch' esercizio avete per mantenere la divozione?
Discepolo. - Dico il Rosario della Madonna, e vo meditando i quindici Misteri di esso Rosario, ne' quali si contiene la vita di nostro Signor Gesù Cristo.

XCVII.

D. G. E ddi' un po', fijo, tu accusì ppe svario
Cheddichi?
Peppe. N'orazzione piccinina.
Dico 'na terza parte de rosario:
Che li misteri so' 'na quinnicina

Dar nasce de Ggesù ssin' ar carvario
E un po' ppiù i' llà, mma ddice la duttrina
C'a ddillo tutto nun è necessario,
E invece se po' ddì la coroncina.

De 'sti quinnici, cinque so' ggaudiosi,
Cioè dda ride, e ll' artri dieci appresso
Cinque penosi e ll'urtimi groliosi.
 
C'è ppe ttutti li gusti, come dimo
Nojartri, padre mio.
D. G. Be', mma ttu adesso
Dimmeli bbene.
Peppe. Eccheme equa: nner primo

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 103



Maestro; - Quali sono i quindici misteri del Rosario?
Discepolo. - Sono cinque Gaudiosi,
1. L' Annunziazione dell'Angelo.
2. La Visitazione di Santa Elisabetta.
3. La Natività del Signore.
4. La Presentazione al Tempio.
5. La Disputa del fanciullo Gesù con i Dottori.
Cinque altri sono Penosi.
1. L'Orazione nell'Orto.
2. La flagellazione alla Colonna.

XCVIII.

De 'sti misteri cqua cce sta spiegato
L'angelo c'annò a flà l'annunziazzione
Poi ner siconno la visitazzione,
E cche vvisita eh! ppadre curato?

Ner terzo dice ch' er Signore è nnato,
Ner quarto poi c' è la presentazzione,
E ppo' c' è 'r fatto quanno in un chiesone
Lui stava a lliticà, cch'era scappato

Da casa sua... furtuna ch'era Cristo!
Che ssi era un artro, v'assicuro io
Ch' er padre suo j'àvrebbe dat' un pisto,

Come tata me fece a la ritonna...
E ppoi c' è scritto che ppregò er su' Ddio
Nell'orto, e sfraggellato a la colonna;

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 104



3. La Coronazione di spine.
4. Il Portar della Croce.
5. La Crocifissione e Morte del Salvatore.
Cinque ultimi sono Gloriosi.
1. La Risurrezione del Signore.
2. L'Ascensione del medesimo.
3. La Venuta dello Spirito Santo.
4. L'Assunzione della Madonna.
5. La Coronazione ed esaltazione dell' istessa sopra tutti i Cori degli Angeli.

XCIX.

Doppo de questo la coronazzione
De spine, e ddoppo annà ffino llassù
Co la su' croce, e la crocifissione
Sur carvario, e la morte de Ggesù;

E ddoppo morto la risurrizzione,
E ll'ascensione der medemo in su:
Nell'artri poi nun so ppe cche rraggione
De Ggesucristo nun se parla ppiù:

C'è la Madonna e lo Spirito Ssanto,
E cquesti, padre, propio nu mme vanno;
Vo' che vve pare...? Ce vorrebbe tanto...?

D. Q. Pe ffà cche ccosa?
Peppe. Pe ppijà 'na penna
E scassà cqueli tre; ttanto ce stanno
Propio come li cavoli a mmerenna.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 105



C.

Peppe. E mmo' cc'è 'r fine.
D. G. Aringrazziam' Iddio,
Che sse la semo levata datorno.
Cat. Don Ghetano, è ssonato mezzoggiorno.
D. G. Nu ll'ò ssentito.
Cat. L'ò ssentito io,
 
Sbrigateve.
D. G. Mo' vvengo. Fijo mio,
Lassem' annà.
Peppe. Mma dditeme, aritorno?
D. G. Si, ppòi tornà ssicuro.... un artro ggiorno.
Cat. Be', je la famo?
D. G. Nu la senti? Addio:

Saluta Pippo, sai? e n' artra vorta
Poi t' arigalerò 'na coroncina.
Peppe. V'aringrazzio.
D. G. E de cche? Cchiudi la porta.

Cat. Oh! mmancomale!
D. G. E cche cc'è, Ccaterina?
Cat. Ce cch'er riso se scoce.
D. G. E cche mm'importa?
Cat. M'importa a mme. - Accidenti a la duttrina!


Fine.

Luigi Ferretti
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877, pagina 106

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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