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Messaggi del 05/02/2016

L'accoppatura

L'accoppatura

Rotta de collo, caroggnaccia strega!
Co cchi ll'ho? ll'ho cco vvoi, sora ssciuerta.
Chi ariserrava la finestr'uperta?
Sta lússcia cqua, cchi l'ha bbuttata? Bbrega?

No, sséte stata voi pe ccosa scerta,
e nnun zerv'attaccasse a ssanta Nega.
Ce sò li tistimoni llí in bottega
der cucchiere der prencipe Caserta.

Ah, llei nun butta mai, fijja d'un cane!
Ccusí 'ggni vorta je cascassi un dente:
ccusí jje se seccassino le mane.

Bbe', bbe', mmó vvado a ddí mmezza parola
a 'na scerta perzona, eppoi lei sente
si aripaga cappello e ccamisciola.

Giuseppe Gioachino Belli
10 dicembre 1844
(Sonetto 2057)

In nota 13 al sonetto 867 ("che sfoghi; // ché cco sta lússcia13 cqua, fijjo, t'affoghi."), Belli offre la spiegazione del termine Lúscia: acqua dirotta e continua.

 
 
 

Storia nostra 156-160

Post n°2550 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da valerio.sampieri
 

Storia nostra
di Cesare Pascarella

CLVI

Defatti, mentre prima fa er trattato
Dove se stabilisce e se combina
Che li francesi fino a la matina
Der quattro nun ci avrebbero attaccato,

Invece, come aveva già pensato,
Ne la notte der due ce s'avvicina
Come un ladro!, de notte, a la sordina
Senza dicce che s'era avvicinato.

E come prima, mentre er commissario
Ragionava co' noi perché cedessimo,
C'entrava d'anniscosto a Monte Mario,

Cusì, prima che quasi li fucili
Ce svejassero e che se n'accorgessimo,
Quello era entrato già a Villa Panfili.

CLVII

E noi come sentissimo er cannone
Ch'era l'allarme de li tradimenti,
Trombe!... tamburri!... Fra la confusione
De staffette, de strilli, de lamenti,

Se seppe che er nemico era padrone
Già der casino de li Quattro Venti,
Pe' riportaje via la posizione
Se cominciorno li combattimenti.

E dar primo momento che sorgeva
La luce, che s'uscí for da le Porte,
Fino all'urtimo che ce se vedeva,

Se fece tutto!... Ma nun ce fu verso
De spuntalla! Fu preso pe' tre vorte
De fila e pe' tre vorte fu riperso.

CLVIII

Eppure, come daveno er segnale
(Mentre da le finestre e le ferrate
Veniva giú l'inferno!), dar viale
Se rimontava su le scalinate;

S'entrava ner portone, pe' le scale,
Pe' le camere, fra le baricate
De sedie e tavoli, pe' le sale,
A mozzichi, a spintoni, a sciabolate,

Co' qualunqu'arma, come se poteva,
Fra fiamme, foco, strilli, sangue, morte,
Se cacciaveno via; se rivinceva;

Se rivinceva; ma nun ce fu verso
De spuntalla. Fu preso pe' tre vorte
De fila e pe' tre vorte fu riperso.

CLIX

L'urtima, er tetto in cima già fumava;
Travi, soffitti, mura s'abbruciaveno,
Pe' le camere ormai se camminava
Su li morti che se carbonizzaveno;

E a 'gni bomba che schioppava
Ne le camere che se sfracellaveno,
Mentre che se feriva e s'ammazzava,
Travi, soffitti... giú!, se sprofonnaveno.

E pure, sai?, finché nun fu distrutto,
Finché ce furno muri, scale, porte
Pe' ripotecce entrà', se provò tutto;

Se provò tutto; ma nun ce fu verso
De spuntalla. Fu preso pe' tre vorte
De fila e pe' tre vorte fu riperso.

CLX

E perduta che fu la posizione,
Che se pô di' se l'ereno rubata,
Per quanto ch'uno avesse l'intenzione
Che la difesa fosse seguitata,

Nun c'era piú da stasse a fa' illusione;
Perché 'na vorta persa la giornata
Der tre giugno, pe' Roma era questione
De tempo, ma la sorte era segnata.

Perché, senza contà' la gente morta,
Er terribile ch'era succeduto
Era che, de nojantri, for de Porta

Nun c'era piú che Medici ar Vascello.
Er resto tutto quanto era perduto.
Nun ce restava in piede antro che quello.

Cesare Pascarella

 
 
 

Scastagnà e scantinà

"Scastagnamo ar parlà, ma aramo dritto - L'epistolario tra Giuseppe Gioachino Belli e Jacopo Ferretti", a cura di Marta Ferri, Editore Il Cubo (pp. 338 - euro 30) riporta un passo di una lettera, del 24 aprile 1841, di Giuseppe Gioachino Belli ad Amalia Bettini. In essa il poeta, nel rappresentare come egli si sgomentasse fino al silenzio, allorché si trovava a parlare in pubblico, riporta un gustoso aneddoto, della cui storicità è peraltro lecito dubitare.

"Un navigatore espose sul molo di Napoli un perrocchetto di straordinaria eloquenza e lo vendette per cento ducati. Trovatosi presente al mercato un certo furbo di lazzarone che avea seco un pollo-d'india, fecesi tosto a gridare: Neh! Cristiani! accattateve chiss'auciello raro. - Quanto ne pretendi?, gli dimandò il compratore del perrocchetto.- Ciento ducati, rispose il lazzarone. - Pazzo! Per un gallinaccio?! - E ggnossì. N'avite pa­vato ciento pursì pe cchill'àuto? - Ma quello parla. - E chisso pienza. - E che pensa?- Pienza i ccose che chill'àuto dice. [...] La Marchionni è partita, ed io non l'ho neppur co­nosciuta. Da Ferretti ci vo capitando di giorno: la sera sto a casa. Eppoi, se fossi anche intervenuto a qualcuna delle soirées date dal Ferretti in di lei onore, non avrei forse fatto che vederla ed udirla, perché in simili circostanze io mi rintano in un cantuccio e non parlo mai. La gioia di una conversazione non mi dà invidia, ma mi rattrista, mi sbigottisce, e mi riduce fino alla incapacità di aprire la bocca. Per non rappresentare dunque la parte de' chillo che ppienza, mi astengo dall'associarmi a chillo che parla".

Scastagnà, secondo il Dizionario romanesco di Fernando Ravaro (Newton Compton, 1994-2010), significa "uscire dalle regole, deviare dalla retta via. Il dizionario,  nel riportare la pronuncia "sscasstaggnià", riporta un cospicuo numero di esempi letterari: 1) Berneri - Colui va scastagnanno et assai duro; 2) Belli - Scastagnamo ar parlà, ma aramo dritto (Endecasillabo che non appare nei Sonetti, ma che il Poeta aveva intenzione di usare come titolo); 3) Zanazzo - Sinnò oggi scastagno.

Più ampia è la descrizione data dal Vocabolario Romanesco Belliano di Gennaro Vaccaro (Il Cubo, 1995, riproduzione del testo del 1969) che, nell'indicare l'etimologia (v. denom. da castagna, marrone, errore, con prefisso sottrattivo s), offre le definizioni: scantinare; deviare; Eludere la difficoltà. Quanto alle citazioni letterarie, più articolata è la menzione del testo del Berneri (Meo Patacca, VII, 95): Colui va scastagnanno et assai duro Gli par, che sia da rosicà quest'osso. Per quanto riguarda la citazione del Belli, il Vaccaro specifica che la locuzione costituisce "la traduzione stupenda e personalissima del verso di Marziale (Epigrammi, 1, 5, 8) 'Lascivia est nobis pagina, vita, proba', che egli attribuì erroneamente ad Ausonio in una sua lettera del 4 gennaio 1832 a Giacomo Ferretti. Sinonimo di scastagnà è "scantinà" (derivante da "cantino", corda della chitarra: "Eppuro va'! quer benedetto Muccio Jeri me fece scantinà in cappella", vale a dire "mi fece rispondere per le rime"; il sonetto è il numero 2225 "La bona vecchiarella").

 
 
 

Li mejo colori

Post n°2548 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da valerio.sampieri
 

Li mejo colori

Me dovete scusà, si appena posso,
batto su un tasto e ce rifò cavallo,
aripetenno come un pappagallo
la cosa che m'ha fatto grande e grosso.

A 'sto tema sfruttato fino all'osso,
nun sò capace a daje l'intervallo,
perchè er colore de la Pasta è Giallo
e er pommidoro p'accondilla è Rosso.

Nun tifo pe' la Roma o pe' la Lazio,
perch'io la festa più che la partita,
me godo la portata e me ce sazio.

Insomma si lo stommico sta in coma
basteno, pe' ridaje un po' de vita,
li colori simbolichi de Roma.

Aldo Fabrizi

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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