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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)

Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)

De claris mulieribus (di Giovanni Boccaccio)

Il Novellino (di Anonimo)

Il Trecentonovelle (di Franco Sacchetti)

I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)

Miòdine (di Carlo Alberto Zanazzo)

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Poesie varie (di Cesare Pascarella, Nino Ilari, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio)

Romani antichi e Burattini moderni, sonetti romaneschi (di Giggi Pizzirani)

Storia nostra (di Cesare Pascarella)

 

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I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici (di Salvatore Muzzi)

Il Galateo (di Giovanni Della Casa)

Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

Picchiabbò (di Trilussa)

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Il Dittamondo, Libro Primo

Il Dittamondo, Libro Secondo
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Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)

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Messaggi del 21/06/2016

Ar teatro Costanzi

Foto di valerio.sampieri

La Satira popolare Romanesca. Sonetti di A. Giaquinto è un'opera pubblicata da E. Perino Editore nel 1894. L'opera fu pubblicata in fascicoli, contenenti ciascuno 16 sonetti in dialetto romanesco, ed era prevista l'uscita di 40 dispense, al costo di 5 centesimi l'una, da suddividere in 4 volumi, come recita l'ultima di copertina. Giulio Vaccaro afferma che l'opera era suddivisa in tre volumi di complessive 384 pagine; ipotizzo, ma non dispongo di concreti elementi per affermarlo con certezza, che il quarti volume fosse dedicato ai sonetti in dialetto "cispatano".

Ar teatro Costanzi

(Tra ddu' paini che stanno a vvede' er ballo)

- Varda che esposizzione de presciutti
Da fà peccà millanta Sant'Antoni!
Nun vedi, certi, ssi che presciuttoni!
- Davvero propio sà che nun sò bbrutti.

E llì Pietruccio mio come te bbutti
Nun pôi sbajà, perche so' tutti bboni,
O freschi, o sfumicati, o fallaccioni
Siconno me sso' saporiti tutti.

- In que' la ciccia llì nun c'è trichina!
- Ma cchi lo sa? A le vorte sta intanata;
Che cce capischi drento a la porcina?

E ssi vedrai che quanno l'hanno presa
Te pensi che nun l'àbbino assaggiata
A l'ufficio d'iggiene ... de l'impresa!

Adolfo Giaquinto
Novembre 1893
Da: La Satira popolare Romanesca, ecc., E. Perino Editore, 1894, Dispensa 7, pag. 97

 
 
 

Er beccamorto

"L'assistenza ai moribondi e il seppellimento dei morti.
Nei secoli passati, in Roma, le numerose confraternite che raggruppavano gli esercenti lo stesso mestiere, avevano dalle disposizioni del regolamento, l'assistenza scrupolosa agl'infermi e la sepoltura dei defunti. Questi vincoli umanitari vennero ad affievolirsi, con l'affacciarsi dei tempi moderni, più inclini all'individualizzazione, in maniera tale che l'assistenza e il seppellimento dei morti viene fatto da persone stipendiate.
Già ai tempi del Belli questi aspetti negativi apparivano evidenti: i due sonetti sui beccamorti, che qui riportiamo, indicano come costoro desideravano vivere sulla pelle degli altri ...
I due sonetti del Belli, che qui riportiamo sul mestiere, se così vogliamo chiamarlo, del beccamorto, sono di una freschezza e vivacità che manifestano come il poeta sapeva cogliere, dal vivo, degli avvenimenti [sic] ...
N.B. Nel 1817 vi fu in Roma un'epidemia da tifo petecchiale che fece una vera strage; nel 1836 si ripetèuna forte mortalità."
Brano tratto da: "Vecchi mestieri romani. Origine del nome delle vie e le caratteristiche poesie di G. Belli e curiosità varie. L'E.D.I. - Roma - Centro Studi Storia Locale Roma e Lazio, 1965 (?), pagg. 36-38. Il volumetto è il V numero della serie di una pubblicazione mensile, inizialmente curata da Umberto Maraldi e successivamente dalla storica Libreria di Remo Croce. Per quel che ne so, furono almeno dieci i titoli della Collana "Roma de 'na vorta".

Er beccamorto

Tu ccapischi cor culo, abbi pascenza:
nun dico questo, ch’averebbe torto.
Bell’e bbono è er mestier der beccamorto
quanno Iddio vò mmannà la providenza.

Io dico, e sto discorzo è una sentenza,
che cquanno er tempo de l’istate è scorto,
sò spicciati (1) li cavoli pell’orto, (2)
e ssi (3) ppoi vôi maggnà mmagni a ccredenza.

Sta Roma è un paesaccio mmaledetto
dove l’inverno nun ce more un cane,
e tte se tarla puro er cataletto.

Oh vvedi pe abbuscà un boccon de pane
quanto s’ha da pregà Ddio bbenedetto
perché illumini medichi e mmammane!

Note:
1 Finiti.
2 Cioè: «è finita la raccolta, è finito il guadagno».
3 Se.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 23 novembre 1831 - Der medemo
(Sonetto 261)


Li bbeccamorti

E cc’affari vòi fà? ggnisuno more:
sto po’ d’aria cattiva è ggià ffinita:
tutti attaccati a sta mazzata vita...
Oh vva’ a ffà er beccamorto con amore!

Povera cortra (1) mia! sta llí ammuffita.
E ssi (2) vva de sto passo, e cqua er Ziggnore
nun allúmina un po’ cquarche ddottore,
la profession der beccamorto è ita.

L’annata bbona fu in ner disciassette. (3)
Allora sí, in sta piazza, era un ber vive, (4)
ché li morti fioccaveno a ccarrette.

Bbasta...; chi ssa! Mmatteo disse jjerzera
c’un beccamorto amico suo je (5) scrive
che cc’è cquarche speranza in sto Collèra.

Note:
1 Coltre.
2 E se.
3 Nel 1817, anno del tifo petecchiale.
4 Era un bel vivere.
5 Gli.

Giuseppe Gioachino Belli
18 marzo 1834
(Sonetto 1115)

Note: [Morandi] (vol. 3, pag. 197)
Mazzata: Ammazzata: maledetta.
Cortra: Coltre mortuaria.
In sto Collèra: In questo colera che dal 1823 in poi aveva flagellato ora l' una o l' altra parte d' Europa, e nel 37 invase davvero anche Roma. - Cfr. il sonetto; L' incontro ecc., 21 genn. 43.

Note [Teodonio]
1 E che affari vuoi fare? nessuno muore. - 3 mazzata: ammazzata (maledetta). - 7 allùmina: illumina. - 8. è ita: se ne è andata (è bell'e finita). - 14 Collèra: colera.

Note [VS]:
Il sonetto è riportato anche in "Nun sai c'a lo spedale ce se more?" (Newton Compton, 1994, pag. 12), Marcello Teodonio scrive: "Tutto il sonetto si articola su un ragionamento apparentemente paradossale. Per il beccamorto la morte è un affare; e siccome era da un po' che non "fioccaveno" le epidemie (come Belli stesso scrive in una nota che rivela ancora una volta il suo scrupolo documentario) per lui diventa fondamentale l'aiuto di quello che lui ritiene il suo naturale alleato: il medico. Tutto dunque, il bene e il male, è relativo e questa scoperta parte dallo spirito di negazione di ciò che è convenzionalmente ammesso: "su questa inerzia del pensiero, del luogo comune", scrive Giorgio Vigolo, "il Belli fa sprizzare la scintilla della contraddizione, del dubbio, della negatività in generale come principio attivo della coscienza"."
Il sonetto è riportato anche da Pietro Gibellini, in "Sonetti erotici e meditativi", Adelphi, 2012, Sonetto 143, pag. 292, ma senza note proprie (tranne quella al verso 8: ita = andata).
N.B.: ho già pubblicato questo sonetto, senza note, nel post 1395.

 
 
 

Lo sciopro de le sigherare

Lo sciopro de le sigherare (1)

A chi, a chi? a noi certe storture?
che semo diventate noi romane;
semo, pe crilla (2), fije de puttane
boja, come 'st'impiastri de buzzure? (3)

A loro tutto, si tutte le cure,
e a noi? forsi perché ciamanca er pane?
Domani qui nun ce s'accosta un cane,
nun ce venimo più: semo figure! (4)

Piuttosto a fà cicoria co' li denti
ch'a fasse mette' i piedi su la panza
da 'sti mor'ammazzati de parenti (5).

Passa via! su ragazze, aria a li tacchi (6)
si ciànno da trattà co' sta ' roganza (7)
damo in der culo a loro e a li tabachi.

Giggi Zanazzo
11 agosto 1880
Da: Vox populi.

Note:
1 Lo sciopero delle sigheraie, sigaraie (operaie che fabbricano sigari). - 2 Eufemismo, "per Cristo" - 3 Buzzure, buzzurre, eran chiamate a Roma le donne del Nord. - 4 Ne siamo capaci. - 5 Ossia dagli Italiani venuti a Roma dopo il Settanta, che altrove il popolano chiamava "fratelli". - 6 Modo di dire per "andiamocene". - 7 Arroganza.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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