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Messaggi del 23/07/2016

Fremma, fremma

Fremma, fremma

Ohó! ohó! prr! (1) come vai de trotto!
Abbada a tté dde nun buttà la soma.
Ch’edè sta furia? Adascio Bbiascio: (2) Roma
mica se frabbicò tutt’in un botto.

Chi poteva sapé che tt’eri cotto
de sta maggnèra pe la fìa de Moma? (3)
Che vvolevi pe llei fà Rroma e ttoma (v. nota 2)
senza conosce cuer che ccova sotto?

La donna, fijjo, è ccome la castagna, (v. nota 2)
disceveno Bertollo e Bertollino: (4)
bbella de fora, e ddrento ha la magaggna.

A la prima ostaria scerchi er bon vino?! (v. nota 2)
Si ddarai tempo averai la cuccagna, (v. nota 2)
e mmaggnerai li tordi uno a cquadrino. (v. nota 2)

Note:
1 Suono delle ruote di un carro in fuga.
2 Tutti modi proverbiali.
3 La figlia di Girolama.
4 Bertoldo e Bertoldino, scaltri contadini, eroi di una leggenda, ridotta poi in versi da una società di valenti poeti.

Giuseppe Gioachino Belli
10 ottobre 1830
(Sonetto 84)

 
 
 

Maccarese

Maccarese

Maccarese, arricordi Maccarese?
Quanno c'era er Pozzetto, le Pajette?
Li trèmoli? Li ceci? Le macchiette?
Le sette rubbia? Er prato delle tese!!?

Che paradiso in tera! Che paese!
A caccia, lì, ciò fatto le vennette:
Pizzarde, arciole, l'anetre... a carrette
Da potècce sfamà' tutti p'un mese.

E la posta dell'anetre? la sera
Che le senti arrivà' quanno ch'annotta,
E sì e nò che scerni 'n'ombra nera?

E quarcheduno poi si je sparava
Na sfiammata... un silenzio... poi la botta
Ch'arrimbombava sorda arrimbombava!

Antonio Spinola
da Strenna dei Romanisti 1941, pag. 78

 
 
 

Regole del pallone

Riporto qui di seguito l'interessante introduzione di Serena Dainotto a "Li fanatichi p' er gioco der pallone", tratta dalla Strenna dei Romanisti 2008. Nei due precedenti post ho pubblicato il sonetto del Belli (che la Dainotto riportava nel suo "pezzo", ma senza annotazioni del Belli) ed il canto del Leopardi, menzionati nel testo.

Nella biblioteca dell'Archivio di Stato di Roma si conserva un originale e divertente opuscolo dal titolo Li fanatichi p' er giaco der pallone: sonetti romaneschi scritti da Brega1, stampato a Roma nel 1894. Il libriccino si presenta con una veste tipografica assai modesta, di formato molto piccolo (14 cm) ed è composto da 16 pagine. Nella copertina, insieme al nome dell'autore dei sonetti, Brega, campeggia un disegno firmato da Ernesto Buonini. Un altro aspetto interessante dell'opuscolo risiede nella sua rarità, infatti sia il titolo che il suo autore, Brega, non figurano in nessuno dei catagoghi delle principali biblioteche romane, e neppure nei repertori on-line. Il titolo rievoca uno sport all'epoca molto seguito e che suscitava tifoserie ed entusiasmo, uno sport che oggi è praticato solamente in alcune città della Romagna e delle Marche: si tratta del gioco del pallone col bracciale.
Il gioco era diffuso nell'Italia centro settentrionale da alcuni secoli, ma solamente verso la fine del diciottesimo secolo trovò una sua codificazione ed una organizzazione.
Infatti proprio in quel periodo in alcune città si iniziò la costruzione di appositi impianti per ospitare il gioco, gli sferisteri, dotati di tribune per il pubblico che vi accorreva sempre più numeroso.
Lo sferisterio aveva una forma rettangolare di circa 80 Alcuni accenni alle regole del gioco possono aiutare a comprendere il gergo sportivo e gli altri riferimenti alle partite, ai campioni ed al mondo delle scommesse che formano l'argomento dei sonetti. Gli attrezzi del gioco sono il bracciale e la palla.
Il bracciale è una sorta di manicotto in legno, dotato di una impugnatura interna, ricoperto all'esterno da 4 file di punte. Nel Museo di Roma in Trastevere ne viene conservato un esemplare del diciannovesimo secolo; è in legno di sorbo, con le punte in legno di corniolo e misura cm 20x33x662
La palla veniva realizzata cucendo otto o più pezzi di cuoio sagomati intorno ad una vescica di maiale, che veniva gonfiata perché rimanesse ben tesa e sferica ed aveva le dimensioni di poco più di una decina di centimetri di diametro.
Il pallone col bracciale veniva giocato da due squadre composte da quattro elementi: battitore, spalla, terzino e mandarino.
Al battitore «Spetta il compito di iniziare il gioco con la battuta della palla che gli viene lanciata con perfetto tempismo dal mandarino [ ... ] la sua abilità consiste infatti, oltreché nella suddetta scelta di tempo, anche nella precisione con la quale deve lanciare la palla nel supposto punto d'impatto con il bracciale. Quanto alla spalla e al terzino il loro compito è quello di rimandare la palla. Esaurito il compito della battuta, il battitore gioca da spalla. L'incontro si svolge nel modo seguente: battuta la palla e commesso il primo errore, la squadra che si aggiudica il primo scambio conquista i primi 15 punti ai quali si aggiungono, sempre nel caso di vittoria, altri 15 punti, poi 10 e infine 10.
Il punteggio viene, pertanto, così conteggiato: 15 - 30 - 40 - 50. Aggiudicandosi il cinquantesimo punto la squadra vittoriosa conquista un gioco [ ... ] vince quella che per prima si aggiudica il cinquantesimo punto. Il gioco ammette, oltreché la risposta a volo, anche quella dopo un solo rimbalzo. I punti si fanno:
a) se il pallone oltrepassa di volo il limite del campo avversario (volata);
b) se il pallone, sorpassata la metà del campo, non è raccolto dall'avversario;
c) se l'avversario manda il pallone fuori dai lati maggion; d) se l'avversario non manda il pallone oltre la propria metà campo.
Per due giochi consecutivi la battuta spetta alla stessa squadra. Quattro giochi formano un trampolino. L'intero incontro è costituito da tre trampolini per un totale di 12 giochi. La vittoria spetta alla squadra che totalizza il maggior numero di giochi nei tre trampolini»
Le partite venivano disputate nella stagione estiva ed attiravano migliaia di entusiasti spettatori; ogni squadra con i suoi campioni, era seguita da un'accesa tifoseria che alimentava un vorticoso giro di scommesse.
Per ricordare la fortuna e la diffusione del gioco, a Santarcangelo di Romagna è stato allestito il Museo del gioco del pallone a bracciale e del tamburello, che raccoglie numerosi palloni e tutti gli altri attrezzi utilizzati per il gioco nel corso dei secoli; la collezione è completata da varie testimonianze storiche come documenti, manifesti, avvisi e fotografie d'epoca, e da una raccolta di testi letterari sul gioco del pallone col bracciale che vanno dal Cinquecento ai giorni nostri.
La migliore testimonianza sulla grande popolarità goduta anche a Roma, si deve ad una poesia del Belli, del 1833, intitolata Er giucator de pallone.
Anche se il vero obbiettivo della satira belliana era il papa Gregorio XVI, Belli nell'utilizzare il linguaggio sportivo dimostra comunque di conoscere bene le regole e la dinamica del gioco, nonché il campione più famoso all'epoca, il Gentiloni. I versi del Belli ricordano anche l'arena Belvedere al Vaticano, che insieme a quella presso Palazzo Rospigliosi al Quirinale, erano i luoghi che ospitavano le partite e intorno a cui si organizzavano le tifoserie che sostenevano le squadre.
In seguito le partite venivano disputate prevalentemente nello Sferisterio Barberini, adiacente all'omonimo palazzo, ma dal 1881, quando fu smantellato per costruirvi abitazioni, si utilizzarono altri spazi, tra cui lo Sferisterio Sallustiano, situato tra via Sallustiana e via Boncompagni, il luogo ricordato nei sonetti di Brega, di cui ci occupiamo.
Belli non fu l'unico letterato a manifestare interesse per questo sport; infatti il gioco del pallone col bracciale aveva già suscitato l'attenzione di poeti - come Giacomo Leopardi, che nel 1830 dedicò al campione Carlo Didimi da Treia la poesia A un vincitore nel pallone - e letterati come Ugo Pesci, testimone della popolarità del gioco a Firenze per tutto l'Ottocento; lo scrittore che dimostrò maggiore interesse per il gioco fu Edmondo De Amicis, che nel 1897, pochi anni dopo la pubblicazione dei versi di Brega, scrisse addirittura un volume intitolato Gli Azzurri e i Rossi Il libro contiene numerosi disegni del pittore Raffaele Faccioli di Bologna, ed alcune fotografie dello stesso editore Francesco Casanova.
De Amicis si sofferma sulle partite che si disputavano in varie città e soprattutto a Roma: nella capitale infatti si sfidavano le squadre e i campioni più famosi, che insieme ai loro sostenitori, scommettitori e spettatori creavano un vivace e chiassoso spettacolo nello spazio che ospitava le partite, lo Sferisterio Sallustiano; costruito da pochi anni, lo Sferisterio viene così descritto:
«e sono meno anni ancora che nello Sferisterio Sallustiano di Roma, rigurgitante di popolo, si vedevano principesse, ambasciatori, generali, alti personaggi di tutti gli ordini dello Stato, e si davano corone d'alloro agli artisti».

 
 
 

A un vincitore nel pallone

Post n°2984 pubblicato il 23 Luglio 2016 da valerio.sampieri
 

A un vincitore nel pallone

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s'alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell'età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.

Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l'ardua palestra,
Né la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.

Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l'insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.

Tempo forse verrà ch'alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l'aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l'atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese.

Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s'onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne' perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede.

Giacomo Leopardi

A un vincitore nel pallone
Canzone "Finita l’ultimo di novembre 1821" a Recanati, e pubblicata la prima volta nell’edizione di Bologna 1824.
Dedicata all’atleta (poi patriota) Carlo Didimi, coetaneo di Leopardi nato a Treia (cittadina vicina a Recanati), la Canzone sviluppa un abbozzo dallo stesso titolo (il "pallone" non corrisponde all’odierno calcio, ma alla "palla a muro", che già era stata cantata nel Seicento dal poeta Gabriello Chiabrera), e soprattutto si connette a numerose riflessioni dello Zibaldone relative all’importanza del vigore fisico, del coraggio, della vita attiva e del gioco: valori e costumi che nell’antichità erano considerati propedeutici all’eroismo (i versi 14-26 sono infatti dedicati alla battaglia di Maratona, in cui gli Ateniesi, già vincitori delle Olimpiadi, sconfissero i Persiani) e sono oggi invece rimedio all’infelicità e alla noia.
Assai coinvolgente è la quarta strofa, in cui Leopardi prefigura un futuro desolato in cui la civiltà italiana sarà scomparsa, con toni che sembrano anticipare quelli ancora più scabri di alcuni versi della Ginestra.
Da: http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/leopardi/b6.html

Analisi del testo:

Scritta nel novembre del 1821.
Celebre poesia di un Giacomo Leopardi inedito ai conoscitori occasionali del genio poetico: una poesia dedicata allo sport, ma dal qual tema, come si capirà, il poeta ne trarrà spunti moralistici e storici.
Poesia non del tutto facile, è inizialmente un inno al valore de "il giocatore nel pallone" che viene descritto come "il viso di gloria", "magnanimo campion", che sa riscuotere gli applausi degli spettatori e il "favore popolar" come già accadde ad altri grandi personaggi storici (greci) che lottarono per la loro "patria cara", permettendone il vanto e il successo.
Mettendo in contrapposizione l’opera dell’uomo e il vivere ozioso femminile, Leopardi esalta non tanto la figura del giocatore quanto l’atto stesso del gioco, il suo risvegliare le scintille "della virtù nativa" nel suo agire sempre in onore di una patria più volte onorata da valorosi guerrieri narrati da storici del passato; "Oggi la cara patria / gli antichi esempi a rinnovar prepara". Rinnova quindi gli spiriti e i fervori ormai spenti di spettatori che esultano per l’agire umano, per la sua potenza e virtù messa a nudo sull’arena, come un gladiatore che grida tra la polvere. Ed è qui che Leopardi vuole far intendere che non si tratta più di un gioco, ma di un’opera di un mortale in lotta contro un obiettivo, contro una passione che va nutrita e un fuoco che va alimentato e non nascosto "negli ozi oscuri e nudi" che appiattiscono e spolverano l’animo umano di ogni suo minimo impulso vitale. Leopardi racconta al lettore le rovine della sua terra, naturali o opera di quotidiano agire, espone quasi dei presagi riferiti all’Italia, ai sette colli di Roma, alle memorie antiche ormai ridotte a cenere in balia del vento, alle città europee diventate ormai solo tane per volpi. Infine il poeta si rivolge al suo personaggio, considerato ormai preda degli "ozi" quotidiani dediti a depauperare antiche memorie virtuose, talvolta per crearne di nuove e talvolta per un’umana tendenza all’oblio, descrivendolo come un dono rigoglioso per una realtà quasi sterile ed inaridita, e, con lo stile tipico leopardiano, termina la lirica ricordando ai lettori che in momenti di pericolo, in momenti prossimi alla dimenticanza di noi stessi, la nostra vita ci appare più gradita di quando, in momenti favorevoli, la disprezziamo; così il "vincitore nel pallone" sarà apprezzato come simbolo di figura virtuosa ed eroica di fronte alle sue passioni, nel momento in cui deporrà le armi terminata la sua battaglia.
Da: http://www.scuolissima.com/2014/06/analisi-un-vincitore-nel-pallone.html

 
 
 

Er giucator de pallone

Er giucator de pallone

Ar Bervedé cc’è ppoco. (1) Er Papa vola
che ppe vvolate (2) manco Ggentiloni! (3)
Ma in partita è ttareffe, (4) e ffa cciriola, (5)
ché li falli sò assai piú de li bboni. (6)

Che sserve che nnoi poveri cojjoni
je seggnamo le cacce? (7) A cquella scòla
de mannà ssempre a sguincio (8) li palloni,
si ll’impatti è pper dio grasso che ccola. (9)

Ggiuchi a ppassa-e-rripassa, o ccor cordino, (10)
dà llui solo l’inviti e le risposte, (11)
e vvò stà ssempre lui sur trappolino. (12)

Cuann’è all’onore (13) poi, fa ccerte poste (14)
scerte finte, (15) c’a èss’io Tuzzoloncino (16)
je darebbe er bracciale in de le coste.

Ne le partite toste (17)
o nne le mossce (18) s’ingeggna, er bon prete
cor vadi e vvienghi, e cquale la volete. (19)

Tira sempre a la rete (20)
cuann’è in battuta, e nnun fa mmai un arzo
o rribbatti de primo o dde risbarzo. (21)

Ar chiamà (22) cchiama farzo;
e ssi (23) er quinisci (24) penne (25) da la tua,
procura de tornà ssempre a le dua. (26)

Ha una regola sua
oggni tanto de dà ffora una messa (27)
pe ffàtte ariddoppià la tu’ scommessa;

e cco sta jjoja (28) fessa,
qualunque cosa er cacciarolo (29) canti,
sce gonfia li palloni (30) a ttutti-cuanti.

Note:
1 Manca poco al vedersi gli effetti. Notisi che quel modo proverbiale è tolto dal Belvedere, luogo sotto il Museo Vaticano, dove sino agli ultimi anni si giuocava al pallone.
2 Volare, volate, cioè: «iattare, iattanza, sfoggio di vane promesse». Al giuoco di pallone si dice volare e far volare il mandare di prima battuta i palloni oltre i termini estremi della palestra.
3 Rinomato giuocator di battuta, o battitore.
4 Fallace.
5 Far ciriola: intendersi segretamente cogli avversari, in fraude di chi è con lui o tiene dalla sua.
6 Dicesi fallo o buono, secondo che il pallone trapassi o no le linee che limitano o partono l’arena.
7 Le cacce sono quei punti sui quali un giuocatore di rimando ha arrestato in qualunque modo un pallone si che non trascorra più lungi, ciò che egli si sforza di eseguire il meno discosto che può dalla battuta di dove poi egli stesso è obbligato ad oltrepassare quel segno, onde vincere il giuoco. Segnar le cacce, significa: «notare gli altrui mancamenti».
8 A sghembo.
9 È, cioè, il maggior dei successi.
10 Il giuoco a passa-e-ripassa, è quello in cui si conviene di non dovere che oltrepassare la linea media della palestra. Quello poi del cordino consiste nel superare una corda attaccata in alto e attraversante la rena in sito e direzione parallela alla detta linea media.
11 L’invito è una specie di scommessa fra giuocatori, che vinta o perduta da ciascuna delle parti avversarie, le raddoppia il successo favorevole o contrario della partita. La risposta è l’accettazione o il rifiuto dell’invito, con certe regole che qui sarebbe inopportuno e lungo il riferire.
12 Tavolato inclinato dal quale discende il battitore, onde il colpo prenda più vigore dall’urto del corpo in discesa.
13 All’onore, così gridasi dal chiamatore o cacciarolo, al principiarsi dell’ultima partita.
14 Poste: i palloni colpiti in aria, prima cioè che abbiano toccato terra, ciò che sarebbe di balzo.
15 Finte: astuzie di giuoco, come dimostrare gran colpo e colpir piano e viceversa, ovvero di dirigere il pallone altrove che non si era accennato, ecc. ecc.
16 Tuzzoloncino: giuocatore rinomato per la sua forza, e detto Tuzzoloncino dal tuzzare o percuotere. Tuzzolone poi era altro giuocatore più robusto di lui.
17 Partite di dura prova.
18 Il rovescio della nota 17.
19 Formule d’invito o accettazione, di che vedi la nota 11.
20 In fondo all’arena è un palchettone, coperto da una rete, che difende gli spettatori. Chi percuote in quella o al disopra indeterminatamente, fa volata. Vedi la nota 2.
21 Vedi la nota 14.
22 Il chiamare è dire ad alta voce il numero dei punti de’ quali si è in guadagno.
23 Se.
24 Il quindici, ossia una quarta parte della partita, che si divide in quindici, trenta, quaranta, e cinquanta. Ciascuno di questi quattro numeri dicesi abusivamente un quindici.
25 Pende, inclina.
26 Quando entrambi gli avversari, fatti nella partita pari guadagni, sono giunti egualmente a quaranta, cioè al terzo quindici (vedi la nota 4), si torna alle due, cioè si retrocede al punto anteriore, cioè ai trenta, vale a dire si torna a passare due volte per quel grado, onde la partita abbia più probabilità di eventi e non termini di un sol colpo al cinquanta, che ne è il fine.
27 Messa: posta pecuniaria delle scommesse.
28 Joia: cosa lunga e noiosa.
29 Il chiamatore del giuoco.
30 Gonfiare i palloni: conciar male.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 31 gennaio 1833
(Sonetto 842)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
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