La nostra alternativa
Marco Ferrando
I due anni del governo Prodi interrogano passato e futuro della sinistra italiana. E saranno al centro, di fatto, dell'imminente campagna elettorale. Il governo Prodi ha risposto alle ragioni del grande capitale, dei vertici di Confindustria, delle principali banche del paese, con il sostegno decisivo di tutte le sinistre italiane, entro il quadro di una maggioranza di governo che sino a pochi mesi dal suo crollo andava dall'Udeur a Turigliatto.
Non si dica che il governo ha garantito il «meno peggio». E' vero l'opposto: se fosse stato un governo Berlusconi a aumentare missioni, basi e spese militari, a confermare la legge 30, a varare decreti antimmigrati, a promuovere De Gennaro al Viminale, tutte le sinistre avrebbero gridato allo scandalo e una vasta opposizione di massa avrebbe potuto sbarrare la strada alle destre. Invece queste stesse misure hanno beneficiato per due anni del voto ossequioso delle sinistre e dei loro ministri: ciò che ha coperto le spalle alla concertazione, ha prodotto disorientamento nel popolo della sinistra, ha favorito la ripresa delle destre in vasti strati popolari.
Perciò colpisce l'assordante silenzio dei gruppi dirigenti della Sinistra Arcobaleno circa il bilancio del proprio fallimento. E ancor più la loro coazione a ripetere la propria politica fallita, come se nulla fosse accaduto: chi implorando la resurrezione dell'Unione (Pdci); chi alludendo a accordi elettorali col Pd come Sinistra unita Arcobaleno, dopo aver persino dichiarato disponibilità per un governo istituzionale con le destre (Prc). Si conferma insomma, a sinistra, una volta di più, una vocazione governativa organica, profonda, impermeabile a ogni lezione.
Come già è accaduto al Prc nell'intervallo tra il primo e il secondo governo Prodi. Ma non è questo il lascito peggiore della lunga tradizione novecentesca della socialdemocrazia e dello stalinismo? Altro che... «Rifondazione»!
Ecco, noi pensiamo che il bilancio di questi due anni imponga invece una svolta radicale, che faccia tabula rasa, a sinistra, del trasformismo di lungo corso. Che recuperi la piena indipendenza del movimento operaio e delle sue ragioni, come leva centrale di una alternativa di società che rompa col «partito tricolore delle imprese» di Walter Veltroni e col blocco storico dominante. Per l'oggi e per il futuro. E' questa una svolta di prospettiva non solo possibile, ma necessaria.
L'Italia vive una profonda crisi sociale, politica, istituzionale. Se i lavoratori hanno conosciuto in questi 20 anni un arretramento di posizioni, diritti, coscienza, il blocco storico dominante registra non solo un'instabilità politica di rappresentanza, ma una profonda crisi di consenso presso la maggioranza della società italiana. Un'enorme insoddisfazione popolare, seppur ancora passiva, cumula fascine presso i palazzi del potere, sotto la pressione di un emergenza sociale sempre più intollerabile (crisi salariale, indebitamento crescente, precariato dilagante). E la paura di un'esplosione sociale attraversa i circoli più avveduti della borghesia. La loro stessa richiesta di un'unità nazionale mira anche a predisporre una barriera preventiva.
Ecco allora il bivio strategico per la sinistra italiana. O continua a usare il proprio capitale sociale e le stesse difficoltà politiche della borghesia per candidarsi a tampone della crisi in cambio di ministeri e prebende (o della loro ricerca). O rompe con la logica del vassallaggio, recupera una propria autonomia strategica, unisce nell'azione tutte le proprie forze su un programma di alternativa di sistema, candidandosi, su quel programma, a governare l'Italia. E' la proposta di un polo autonomo anticapitalista. Una prospettiva impegnativa, ma è l'unica via.
Una sinistra che dica: «se ne vadano tutti, governino i lavoratori»; che si mobiliti, in ogni lotta, per questa prospettiva; che rivendichi l'aumento generale dei salari, la cancellazione delle leggi vergogna sulla precarietà, il salario garantito per i disoccupati, la fine dei privilegi clericali, l'abbattimento delle spese militari, uno stipendio di 2000 euro per i deputati, la nazionalizzazione delle banche usuraie, la cancellazione dei debiti di milioni di famiglie, scandalizzerebbe certo i poteri forti del paese: ma potrebbe polarizzare su un asse anticapitalistico la rabbia sociale che cova, prosciugando il brodo di cultura del populismo, mutando i rapporti di forza, aprendo dal basso uno scenario nuovo. E recuperando così anche lo spazio di possibili risultati e conquiste parziali.
Ma una nuova prospettiva generale richiede un sinistra nuova. Un sinistra di classe, radicata, militante, che non si sia compromessa né in tutto né in parte col governo Prodi, che recuperi la centralità del mondo del lavoro, che si batta per un'egemonia anticapitalista sulle domande di liberazione (sociali, ambientali, democratiche, di genere). Questo vuol essere il progetto del Partito comunista dei lavortaori, definito dal suo recente congresso fondativo. Un partito che sarà presente in tutte le prossime prove dello scontro politico, sociale, elettorale, aperto alla confluenza più larga di tutti coloro che non vogliono piegare la testa. Né oggi, né domani.
portavoce nazionale Pcl
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il 04/03/2008 alle 09:33
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il 07/02/2008 alle 22:33
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