Creato da fabio_cristofari il 14/02/2015
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Casa di Banco Santo Spirito 21.
Più o meno negli anni fra il 1960 e il 1964 (mi fermo al 1964 perché ricordo che ancora non era nata Flaminia) entra al numero 21 di Via Banco Santo Spirito, per insediarsi in uno dei tre appartamenti del secondo piano, un giovane artista greco dal nome allora assolutamente sconosciuto: Jannis Kounellis con la moglie (moglie? Non so) Efi.
Devo dire che già allora non apprezzavo le sue opere e francamente non le apprezzo neanche adesso, forse per ignoranza; dovrei però pentirmi di non aver mai provato a chiedergliene una in regalo (allora non valevano niente, oggi varrebbero una fortuna), come invece hanno fatto Gianfranco e Flavia che si ritrovano in casa tante orecchie sinistre in un’opera che se non sbaglio si intitola “Ascolta, Zeus”.
Spesso le opere di Kounellis comprendevano la sua persona; ne ricordo una nella quale al Palazzo delle Esposizioni a Roma rappresentava la vita che gli usciva dal corpo tramite un tubo che dal piede faceva uscire un rigagnolo di acqua.
Ma non devo andare fuori dal seminato, perché il ricordo riguarda principalmente il pappagallo e uno degli abitanti del terzo piano.
Presentiamo l’ambientazione.
L’appartamento del secondo piano dove abitavano i Kounellis affacciava tramite un immenso finestrone in uno dei due cortili della casa. Sullo stesso cortile affacciavano le terrazze del terzo e del quarto piano.
Accanto al finestrone del secondo piano c’era un trespolo sul quale campava il pappagallo di Kounellis. Un pappagallo enorme per i miei ricordi e coloratissimo, direi magnifico. Era spesso esposto come facente parte di opere dell’artista. Parlava come un essere umano, ripeteva qualunque cosa gli capitasse di sentire, per cui non mancavano parolacce e improperi che evidentemente aveva modo di sentire in casa.
Adiacente alla ringhiera della terrazza del terzo piano c’era uno dei tre bagni dell’enorme appartamento, diciamo il bagno di servizio utilizzato anche dai cugini Cristofari, quanto meno da Fabio (questo inciso è fondamentale) allora bimbetto ancora non in grado di sbrigare in autonomia le faccende che inevitabilmente seguono la seduta, se produttiva. Ergo, dopo la seduta aveva necessità di essere aiutato. Per essere aiutato doveva per forza di cose chiamare qualcuno. Ma perché la chiamata potesse avere la sua efficacia era necessario chiamare qualcuno (Mammaaaa …) e motivare la chiamata (… ho fatto!).
Visto il preambolo:pappagallo parlante alla finestra sul cortile, bagno con finestra quasi affacciato sul cortile, bimbo al termine dei suoi bisogni corporali … il gioco era fatto.
Una voce chiara e forte tante volte si levava dalla tromba del cortile: “Mammaaaa … ho fatto!”.
Il più delle volte era un falso allarme. Era il pappagallo. Non so quante volte zia Gabriella sia corsa invano in soccorso del piccoletto.
Non so se Fabio, dopo questo racconto, mi revocherà le credenziali di autore del suo blog.
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Casa di Banco Santo Spirito 21.
Prima del 1960 a casa Leggeri, piani 3, 4 e 5 di Banco Santo Spirito 21, c’era un solo televisore. Quello dei nonni al terzo piano.
La sera dopo cena e dopo aver messo a letto me e Maria Pia (Marco e Flaminia erano ancora solo nella mente di Dio), papà e mamma senza dirci mai niente (tanto dormivamo) dal quarto piano scendevano al terzo, forse per vedere la televisione o forse anche per stare in compagnia dei nonni e della truppa Cristofari (mancava solo Fabio).
Quanto racconto ritengo sia avvenuto quando avrò avuto 3 o 4 anni al massimo, ho dei riferimenti precisi in merito alla mia altezza, che non è mai stata superlativa, ma che a quel tempo era sotto terra.
Una sera, non so per quale motivo, mi sono svegliato, forse avevo sete, e ho chiamato mamma. Nessuna risposta anche quando ho chiamato papà. Mi sono alzato. Ho visto che papà e mamma non erano a letto, non erano in cucina, non erano in camera da pranzo, insomma, a casa non c’erano.
Mi sono spaventato a morte, ricordo di non aver voluto svegliare Maria Pia, tanto che aiuto avrebbe potuto darmi, avrà avuto si e no 2 anni.
La prima cosa che ho pensato è stata quella di essere stato abbandonato (a 4 anni e con una sorella a carico, questo all’epoca non lo ho pensato), anche se i miei non mi sembra avessero mai manifestato segni di forte squilibrio.
Sono uscito per andare in terrazza. dove non sono arrivato, mi sono fermato in fondo al ballatoio, nel punto dove la ringhiera è più bassa, molto bassa, ma con le mani alzate non raggiungevo il corrimano. Qui ho cominciato a gridare come un ossesso (forse “mammaaaaaa”) sperando che qualcuno mi sentisse. Ma niente, il tempo trascorreva e nessuno sentiva le mie grida. Per forza, nessuno poteva sentirmi, essendo la televisione accesa e il finestrone della camera da pranzo del terzo piano probabilmente chiuso.
Non so per quanto tempo sia rimasto a gridare, nel ricordo mi sembra sia stato proprio tanto, ma fatto è che ad un certo punto qualcuno al terzo piano deve avermi sentito perché vedo comparire mamma che mi viene incontro. Devo aver pensato di essere salvo, perché dopo l’immagine di mamma che mi chiama dalla porta che dalla cucina conduce al ballatoio non ricordo assolutamente più niente.
Da quel giorno, per quanto mi ha successivamente raccontato mamma perché io proprio non ricordo, papà e mamma ci dicevano, prima di metterci a letto, che sarebbero scesi al terzo piano una volta vistici addormentati.
Penso che uno spavento così grande non me lo sia più preso per tutta la vita, o forse si, le poche volte in cui ci è scomparso Andrea, quando ancora camminava, una volta in un ristorante all’aperto a Fano (era andato a vedere le altalene) e un’altra volta da Standa su Viale Trastevere (era andato a vedere i tram, passione già da piccolo coltivata).
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Il palazzetto di Castel Gandolfo era un agglomerato di umanità dove, accanto ai "romani" convivevano castellani DOC.
Ricordo l'appartamento al piano terra abitato dai Galli. Rivedendo oggi l'appartamento, ancora non mi rendo conto come potessero convivere tante persone in soli 50mq ...
C'era Cesare, eternamente in canottiera bianca e pantaloni da lavoro simil-jeans con cinturona ascellare e sua moglie Gina, che, quando uscivano per una giornata di lavoro sul loro Ape, indossava quel fazzoletto che, per anni, ho cercato di replicare nelle giornate di calura: un nodo ad ogni angolo e diventata un fresco parasole ...
Il fratello di Cesare, Pietro, chiamato "Pietrone", lo ricordo solo in osteria, al momento dell'acquisto serale del litro di vino che veniva preso dalle damigiane riposte nel lavabo della cantina e travasato nella bottiglie con un imbuto di cui i NAS hanno ancora la foto segnaletica appesa con scritto "WANTED" ed una ricompensa notevole per chi ne abbia notizie ...
Poi, i tre figli: Elvira, Giorgio ed Elisabetta. Purtroppo ricordo ancora il giorno della morte di Giorgio, al lago, in canoa: fu una vera tragedia. Elvira che ha avuto sette figli ... ed Elisabetta.
Poi c'era Elvira senior, eternamente vestita di nero e seduta davanti l'osteria. Ricordo solo una piccola donna, ma nient'altro di più ...
Dirimpetto ai Galli c'erano i Mariotti. Ricordo lei, Piera, o meglio, ricordo il suo respiro dietro le persiane ogni volta che si usciva dal cancelletto: forse era un'agente segreto del KGB in incognito a Castello, ma io la ricordo solo come una donna leggermente interessata agli altri ... Suo marito non lo ricordo bene: chi sa di più inserisca un commento e mi rinfreschi la memoria.
Al primo piano non Leggeri c'erano Nicola Mango e sua moglie (di lei anche non ricordo il nome). Li ricordo come gli sfidanti a canasta di zio Giorgio e Maria, ma ho pochi ricordi...
All'ultimo piano non Leggeri c'era Estevanna e suo marito Bartoli (il nome ?) con i due figli: Franco e Maurizio: li ricordo bei ragazzi e non so perché li associo a Tor Vajanica: forse andavano in vacanza lì ?
Zio Franco e zia Maria Luisa abitavano l'altra parte dell'ultimo piano e zia Gilda con zio Tonino il primo piano.
Noi Cristofari e affiliati, con nonno Enzo e nonna Maria ci assembravamo a turno nel mio attuale appartamento.
Luglio e Agosto si viveva come in una "comune" cinese, dove la mescolanza di famiglie era una meraviglia e noi cugini si stava insieme in giardino o al villino Guerrieri.
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Via del Banco di S. Spirito, 21. Terzo piano. Casa Leggeri-Cristofari. Ora di cena.
Nessuno di noi poteva pensare quello che, di lì a minuti sarebbe accaduto...
Avrò avuto sei o sette anni, non ricordo, ma nella mia mente rimane ancora il ricordo di quella sera, che potrei definire "memorabile".
La disposizione a tavola era sempre la stessa: ai capotavola i nonni, Enzo e Maria, all'altro capo i genitori, papà Antonello e mamma Gabriella. Sul lato lungo della tavola, con le spalle al finestrone della "camera da pranzo" e rivolti verso la "camera della radio" (perché, all'epoca, il tramezzo creato per suddividere il terzo piano in più appartamenti, ancora non c'era ...) dove, all'esatta metà della lunghezza del tavolo, regnava "sua maestà" la tv a valvole con il suo trasformatore per l'accensione ed il suo pulsantr per cambiare il programma sintonizzato dal"primo canale" al "secondo" RAI solitari arbusti di quella che, in pochi anni, sarebbe diventata la foresta di canali analogici e digitali.
Ma torniamo alla disposizione dei posti a tavola di noi figli: vicino a mamma sedevo io, controllato a vista dalle attenzioni materne ...; vicino a me Claudio, quindi Flavia, Cecilia e, a chiudere, Paola, punto d'incontro tra le generazioni ...
Avevamo, allora, un carrellino, dove venivano poste le pietanze ed i contorni preparati per la cena nella lontanissima cucina. Come sempre, Paola era lo scambio ferroviario che si immolava per la comunità familiare, passando e ripassando le vivande a chiunque le chiedesse, da un capo all'altro della tavola.
Ma una sera accadde l'imprevisto. Il buon Dio, memore delle giaculatorie quotidiane che si innalzavano dai libri di preghiere dei nonni, volle mettere alla prova la fede della nostra famiglia e, come spesso accade, utilizzò per i suoi fini, la Natura, o meglio, ciò che dalla natura l'uomo, con le sue mani fallaci, riesce a creare ...
Una delle sedie sulle quali 18 glutei di casa riposavano la sera, era ormai diventata ristorante prelibato per i tarli di Roma, che avevano prescelto, a loro insaputa e rischio, la sedia dove quella sera sedeva la figlia senior, l'alfa generazionale, il principio di tutte le cose, colei che abbanfonò la casa paterna agli albori degli anni '70, lasciando me ed i miei fratelli in una costernazione che solo la peggiore situazione in cui, volontariamente, si era venuto a trovare il nostro nuovo cognato, Paolo Mori.
Si diceva della sedia ... "Paola, mi passi il pane ?" ... "Paola, mi passi l'insalata ?" ... "Paola, metti ul carrello il piatto usato ..." e così via, con Paola che, devo dire a distanza di quadi cinquant'anni, non si tirava mai indietro di fronte ai bisogni familiari.
Ma una sera non vi risposta alle richieste dei commensali. Il nome Paola fu pronunciato più volte, ma con toni crescenti che lasciavano supporre la tragedia ...
Voltandomi alla mia destra vidi, come ogni sera, la sequenza ordinata di commensali a tavola: Claudio (sotto controllo a vista di papà), Flavia, Cecilia e ... "manca qualcuno" - pensai - poi nonna Maria e nonno Enzo (ancora sveglio e senza sigaro acceso).
Feci mente locale: uno, due, tre fratelli ... ma io ne ho quattro ... dove è la decana, il "principio di ogni rapporto consanguineo" ... l'alfa della prole ... l'inizio di ogni cosa ... mia sorella Paola ?
Ella era stesa sul pavimento, in un fiorire di schegge di legno provenienti dalla sedia che si era sbriciolata sotto di lei. Un urlo dalla tavola lasciava presagire la paura sgorgata dall'improvviso cataclisma avvenuto al terzo piano dell'edificio: "Oddio ! Paola ... ma la ciotola dell'insalata è caduta ?"
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Guardando dall'alto del mio terrazzo il terreno sotto casa a Castel Gandolfo, mi sono venuti alla mente i ricordi di quando, in famiglia, quel terreno era chiamato "l'orto", anche se, per moltissimi anni, quella lunga striscia di terra e ghiaia non fosse stata adibita a tale funzone.
Ripensavo, così, a quando, invece, verdure, ortaggi, odori e uva crescevano rigogliosamente fino al "cancelletto", luogo simbolo dell'uscita della truppa di cugini verso il lago, quando lo si raggiungeva a piedi ...
Sì, proprio quel cancelletto che ora non c'è più. Si aspettavano i cugini del villino Guerrieri arrivare, si chiamavano i cugini dei piani alti di Via Mazzini e si scendevano le scalette dal "giardino" in sandali, asciugamani, ciambelle, secchielli e palette per arrivare, attraverso la strada delle "vaccherie" (l'odierna Via della Stazione), alla stazione del treno e, di lì, a lago, verso le spiagge che all'epoca avevano massimo due-tre metri di profondità e che costeggiavano il lago, quando ancora il livello dell'acqua era sufficientemente alto. Ma di questo parlerò in un altro post ...
Dicevo dell'orto: due personaggi sono inequivocabilmente legati a questo luogo: Salvatore e Filomena ... Una coppia di anziani (forse non lo erano all'epoca, ma per me, bambino, erano figure sicuramente adulte) che abitavano, se non sbaglio, in fondo a Via Mazzini.
Nonno Enzo li aveva assoldati come contadini dell'appezzamento di terra, sapientemente delimitato per separare l'angolo giochi del giardino, composto dall'altalena e dallo spiazzo per giocare a croquet, con le mazze e le palle in legno che dovevano essere fatte passare sotto archetti in ferro, per raggiungere la fine del percorso creato.
Ricordo l'angolo degli "odori" (basilico e prezzemolo) alla base della scalette del giardino verso l'orto, lunghe file di pomodori con le loro canne verticali, un pergolato di uva pizzutella che, ad ogni passaggio dei cugini verso il lago, perdeva inevitabilmente gran parte del suo frutto.
Ma quello che mi piaceva di più erano i canali di irrigazione che Salvatore aveva creato: solchi nel terreno che si inoltravano attraverso le coltivazioni e che, magicamente per me, si riempivano d'acqua una volta aperta la fontana. Infatti, il terreno in discesa favoriva lo scorrere dell'acqua senza necessità di innaffiature da parte di Salvatore o di sua moglie e, come in un gioco, riempiva i canaletti irrigando le piantine di verdure, che, così, potevano crescere e maturare.
Difficilmente ricordo Salvatore e Filomena al di fuori di quel luogo ... Non penso di averli mai visti in paese ...
I frutti e le verdure ci venivano consegnati e diventavano contorno alle pietanze nelle cene estive, quando ancora avere i pomodori in tavola era segno che si stava vivendo la stagione estiva, perché, nelle altre stagioni, tali ortaggi, non c'erano.
Alla morte (o pensionamento, ma per me era la stessa cosa ...) dei due coniugi contadini, l'orto andò in disuso: solo la buona volontà di qualcuno, ogni tanto, lo manteneva pulito dalle erbacce e dai rovi. Il pergolato di pizzutello scomparve, le colture vennero sopraffatte dagli sterpi ed il cancelletto, pericolante, rimosso ...
Ora, pur non essendone proprietario, ne sono nuovamente gestore. A fatica cerco di mantenere pulito il terreno e l'idea di tornare a farne un orto mi alletta.
Il lago ora si raggiunge in macchina e la banda di cugini non c'è più ... ma il fascino del ricordo mi fa ancora sentire lo scorrere dell'acqua nella terra e, lontano, rivedo il cancelletto, anche se ormai chiuso dietro le mie spalle di adulto.
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Inviato da: fabio_cristofari
il 03/08/2015 alle 09:21