Creato da lauro_58 il 10/11/2006

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A volte ho vinto, molto più spesso ho perso. Cammino tra le strade della speranza senza ripari. E se inizia a piovere, mi fermo e guardo attorno. Poi alzo il bavero del cappotto, accendo una bionda e ricomincio a camminare.

 

 

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Tutte le "acca" che conosco

Post n°101 pubblicato il 14 Novembre 2007 da lauro_58
 
Foto di lauro_58

Poi un giorno è come se ti svegliassi da un lungo sonno, e tutto ti appare più chiaro.
Passano gli anni, ed assieme a loro anche la fiducia che il tuo momento sarebbe prima o poi arrivato; si perde senza che nemmeno te ne accorga tra i meandri delle urgenze legate alla quotidianità.
In una sorta di evaporazione onirica tutto svanisce con discrezione.
E quando ti capita di guardare indietro ti chiedi per esempio per quali cose si potrebbe mai essere ricordati da chi ti stà intorno.

Sorseggiando un caffè stò pensando a questo mentre guardo fuori dalla finestra del mio ufficio.
E’ già un po’ che questo tipo di considerazioni circolano nella mia testa.
La chiamano “crisi della mezza età”, la aspettavo ma non credevo fosse così persistente e come dire … condizionante.
Cosa significa condizionante ? Nulla in particolare!
Cercando di dare un senso al mio vivere in questo mondo ho solo cominciato a negare la mia presenza, provando a vedere se la mia assenza contribuisse ad affermare la mia identità.
E funzionava, incredibilmente funzionava perchè la mia assenza veniva notata!
Benchè me ne stupissi ed al contempo mi rinfrancasse, la trovavo lo stesso demotivante, pensando che questa lotta condotta in prima linea doveva essere quella di giovanotto e non di un cinquantenne attempato.
Avevo la nausea quando ci pensavo e se potevo uscivo a leggere il giornale oppure soltanto a passeggiare nel parco poco distante dall'ufficio.
Voglia di libertà, bisogno di contatto con una quotidianità diversa da quella che mi aveva fatto invecchiare più di quello che avrei dovuto … chiamatela un po’ come vi pare.
Ma quella uscita era diventata importante, passeggiare tra tigli, oleandri e querce, mi rilassava e sembrava dare un senso alla mia giornata.

Lei se ne stava quasi sempre seduta in mezzo al prato e pareva un capo indiano che scrutava la prateria davanti a lui.
Le giostrine sulle destra, ritrovo dei bambini dei dintorni non erano la sua meta principale, prima di andarci passava un po’ di tempo lì seduta.
La incontravo spesso e qualche volta ci salutavamo come vecchi amici, un “Ciao” veloce poi io ritornavo sui miei passi, lei ai suoi giochi.
Avrei voluto chiedere cosa facesse, lì seduta in mezzo al prato, perché una volta sembrava dedicare le sue attenzioni agli uccellini, un'altro ai fiori e all'erba del prato. L'ho vista anche saltellare qua e là fra gli alberi, ridendo ed accarezzandone le cortecce.
Mi ero sempre trattenuto nel chiederglielo, mi sembrava di invadere i suoi spazi.
Oggi sempre accovacciata, con quel ditino indicava qualcosa ogni tanto nell’aria. Sembrava un direttore alle prese con  un’orchestra invisibile.
Non resistetti e mi avvicinai a lei.
”Ciao” le dissi accucciandomi.
”Ciao” mi rispose allungando il collo dietro di me. “Scusa potresti spostarti, che non vedo ?”
”Certo, scusami tu” feci sorpreso ed imbarazzato.
Rimasi a guardarla cercando di capire cosa stesse facendo; sembrava indicare nel vuoto un po’ di qua e un po’ di là.
Tra le tante ipotesi che teorizzai, avanzai quella più probabile.
”Cosa stai contando?” le domandai.
”Le foglie, le foglie che cadono” fece, con un tono che sottolineava l’evidenza dei fatti e l’ovvietà tanto della domanda quanto della risposta.

In effetti l’autunno si faceva sentire tra i rami degli alberi intorno, sfoltendone le chiome come un lento spogliarello.
Cadevano come indumenti di un vestito, lasciando che i contorni dei rami sempre più nudi annunciassero l’avvicinarsi del prossimo inverno.

”E perché conti le foglie ?” azzardai rischiando l’ invadenza.
Lei mi guardò prima incredula come se fossi un’ alieno, poi con sufficienza disse:
”Perché se nessuno si accorge che le foglie ci sono, gli alberi magari un giorno o l’altro si stufano di essere ignorati e non le fanno più crescere sui rami. Ho deciso di contarle, le foglie come pure le margherite e gli uccelli, così faccio capire loro che per me sono importanti.”
E continuò con l’aria circospetta e la voce bassa, come se mi stesse rivelando uno dei segreti fondamentali della vita.
”Dev’ essere per questo che il mio papà un bel giorno non si è fatto più vedere, magari si è stufato perché nessuno giocava più con lui.”

Non sapevo cosa rispondere, ma avrei voluto abbracciarlo quello scricciolo!
”Sai” dissi “noi grandi a volte non capiamo un’acca di queste cose e ci perdiamo molto di quello che potremmo avere.”
”Non capiamo un’acca … “ fece lei divertita da quelle parole, e sorridendo svelò il dentino mancante proprio lì davanti.
Abbozzai una proposta ”Se vuoi posso darti una mano, magari domani torno, mi siedo vicino a te e ti aiuto a contare le foglie.”
Lei mi guardò e replicò seria “Il cielo, ci stavo pensando sai. Pensa se il cielo si stufasse e smettesse di fabbricare le nuvole. Potresti occupartene tù, così ci dividiamo i compiti. Non è mica solo azzurro il cielo. Ci sono anche loro … e ce ne sono tante lassù, di tutti i tipi. Alcune assomigliano ad animali, altri sembrano dei grossi nasi, altre ancora sembrano dei batuffoloni di ovatta. E poi i colori, bianco, grigio, rosso … vedrai ti divertirai.”
”Il cielo dici eh !!” risposi fingendo di pensarci su “perché no !!”
“Affare fatto allora” disse raggiante allungandomi la manina per una stretta come segno di congedo.
Mi alzai e feci qualche passo, poi mi girai per un ’ultimo sguardo dicendo:
”Magari porto con me tutte acca che conosco, chissà che non riesca a capirne qualcuna insieme a te.”
Mi rispose con una risata divertita mentre con la manina mi salutava, forse aveva capito o forse no, in fondo non era così importante.


Tutte le "acca" che conosco è un riflessodigitale di Lauro

 
 
 
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