... continua
L’appuntamento era nel parco vicino casa, al muretto dopo la curva della quercia.
Ci si vedeva sempre li ed io di solito lo raggiungevo in bicicletta, ma quel pomeriggio ero a piedi. Avevo la bici fuori uso, la catena era rotta ed andava sostituita.
Fui il primo ad arrivare e sedendomi sopra quel muro aspettai gli altri, che seguirono alla spicciolata poco dopo.
Mancava solo Felice; strano, perché di solito era lui il primo!
Sembra che a casa, con sua madre ed il suo nuovo compagno non fossero tutte rose e fiori da quando era nata la sorellastra, ed appena può esce.
Comunque non si fece attendere molto, con lui Sonia.
Disse che aveva perso tempo a convincerla ad uscire con lui, ma la madre lo aveva avvertito:
“Se vuoi andare dai tuoi amici, devi portarti Sonia. Io devo uscire e tua sorella da sola a casa non può restare.”
Ero curioso di sapere come avesse fatto, ma non mi azzardai a chiederglielo, mi avrebbe di sicuro risposto a brutto muso qualcosa tipo:
“Fatti i cavoli tuoi.”.
Me lo potevo risparmiare e così feci.
Tra una chiacchiera e l’altra, notai il modo di fare sempre più impaziente di Sonia e pensai:
“Questa ragazzina deve essere un bel peperino.”
Forse si sentiva messa in disparte visto che noi la ignoravamo quasi del tutto o forse si era semplicemente stufata di stare li insieme a ragazzi con cui non aveva nulla da spartire. Sarà stato per questo o per un altro motivo, fatto sta che all’improvviso sbottò a voce alta e con tono inviperito:
“Avevi promesso di farmi vedere lo zoppo; ma quando arriva questo zoppo ? ”
Tutti si zittirono di colpo e nessuno rispose.
Io credo che finche sei ragazzo, qualsiasi sia lo stato d’animo o l’emozione che riesce a prevalere, questa ha sempre qualcosa di diverso. Forse perché quello che si prova non si perde in strani preamboli; così l’imbarazzo, per esempio, è più imbarazzo.
Molto, anche nel gruppetto in quel momento, anche in me che da seduto guardavo in fondo alla strada, cercando qualcuno che non poteva esserci.
Quando sei ragazzo, le cose non le vedi come gli adulti.
Poi capita qualcosa ed è come salire alcuni gradini di una scala.
La prospettiva cambia.
Dicono che questo sia un modo per crescere.
Lo dice anche mio padre:
“Quando si cresce, sono sempre i tuoi occhi a vedere, ma lo fanno in modo diverso. Il che non vuol dire che lo fanno meglio, solo che vedono più cose.“
Mi resi conto all’improvviso, che avevo sempre fatto caso alla parola zoppo solo quando era rivolta a qualcun’altro, e comunque non mi aveva mai dato fastidio come se non mi riguardasse.
Consideravo quella, una condizione umana esistente, ma in qualche modo a me estranea oppure transitoria, da cui poter guarire.
Qualcosa di simile ad un paese mai visto e quindi molto lontano, o ad una bronchite che si risolve dopo qualche giorno sotto le lenzuola.
Ancora silenzio, nessuno rispondeva e Sonia non demordeva:
“Ma quando arriva questo zoppo ? ”
Alla terza volta, risposi io perché di gradini ne avevo saliti un bel po’.
“Non deve arrivare nessuno zoppo!”
Poi saltai giù dal muretto. Non avevo traballato facendolo e mi sentii fiero per questo.
Il giorno prima nemmeno ci avrei fatto caso.
Poi mi girai ed iniziai a camminare verso casa, in silenzio; intanto gli altri guardavano mentre mi allontanavo, immersi in un silenzio più grande del mio.
Per la verità, ero convinto che lo stessero facendo, perché non li guardai.
Quel pezzo di strada che avevo fatto tante volte, adesso sembrava fosse la prima. E non perché ero senza bicicletta ma perchè sentivo che il ritmo dei passi non era costante. Sembrava una nota stonata che si ripeteva, come la domanda di Sonia.
La curva non era lontana, ma non arrivava mai.
Allungai il passo ma riuscìi solo a camminare molto peggio di quanto facessi di solito.
“La fretta accelera i ritmi del tempo, mette disordine e crea timori.”, dice spesso il vecchio.
Così camminavo svelto ma con attenzione.
Non potevo inciampare, altrimenti tutti gli inciampi precedenti passati inosservati, non lo sarebbero stati più.
Ma forse non erano mai passati inosservati, semplicemente tutti avevano fatto finta.
Io con i miei “Dai che l’ho fatto apposta!!” e poi giù a ridere. E gli altri, a ridere con me.
Le cose si vedono in modo differente salendo qualche gradino!
Non potevo inciampare, sarebbe stato come se dalla mia vita i colori fossero scomparsi di colpo.
“Loro dal muretto stanno guardando. Non posso cadere!” pensavo mentre cercavo di mettere ordine nei passi.
Mancava poco alla quercia e fino a quel momento non ero inciampato nemmeno una volta.
Ma quel rumore di passo sifulo era sempre più forte e manganellava la testa.
“Devo essere un bel po’ ridicolo.” pensavo.
Come dice mio padre “Se è una cosa che ti riguarda da vicino che devi considerare, nel dubbio, non amarti troppo. Così è più facile rimettere le cose a posto.” Ma questa doveva essere una cavolata, perché non succedeva nulla.
Poi ci fu quella fragorosa ristata che proveniva da dietro.
Coprì quel rumore fastidioso di passi e rimise le cose a posto, proprio davanti la quercia.
Guardo la luna, sembra un disco di alabastro bardiglio.
Sta li, alta ed immobile nel cielo notturno, cosi tonda, bianca, piena macchie scure!
E’ perfetta con quelle imperfezioni!
Quando guardo la luna penso che Dio, con lei, abbia fatto le cose per bene.
Uno di questo giorni devo proprio svuotare il sacco.
Dio, con la luna, ha fatto le cose per bene è un riflessodigitale di Lauro
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