Creato da LinguaRomana il 01/03/2008
Come la mia anima che espia vivendo
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Memorie di Adriano
E, tuttavia, non è privo di dolcezza questo immergersi nelle regioni vaghe dei sogni; ivi, possiedo per un istante segreti che subito mi sfuggono; mi disseto a sorgenti
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Quando si definisce “icona” un’opera d’arte molto spesso ci si riferisce alla Nona Sinfonia di Beethoven e nemmeno a tutta l’opera, quanto in particolare all’infinitesimale porzione temporale che l’Inno alla gioia occupa nell’ambito di tutta la composizione. Questo non è accaduto per il Requiem di Mozart. A mio avviso ciò è accaduto per tutta una serie di motivi. Gli incerti natali dell’opera (alcune fonti dicono che pressato dai molti impegni, tra cui il Flauto Magico, non fece in tempo a completare il lavoro commissionatogli da un nobilotto, Franz von Walsegg zu Stuppach, che intendeva esibire l’opera come sua al funerale della moglie); il fatto che pur di riscuotere la somma offerta dal nobiluomo la moglie Constanze radunati gli appunti lasciati alla rinfusa abbia dato l’incarico agli allievi del maestro per condurre a termine il capolavoro. Joseph Eybler, e soprattutto Franz Freistädler e Franz Xaver Süßmayr avrebbero terminato le parti incompiute e per alcune sezioni disegnato la musica che non esisteva, consultando degli appunti di Mozart.
Né francamente appare del tutto credibile che un capolavoro di siffatta grandezza possa essere frutto di quello che alcune voci chiamano “lavoro di bottega”, frutto cioè della cooperazione di molte mani. L’intensità drammatica, il pathos e il dolore a volte struggente dell’opera e alcuni suoi slanci miracolosi non possono far credere a chi mastica musica che per la gran parte quella sia l’opera di un gruppo seppur valido di allievi. Sono del parere che il genio non si sostituisce con il fervore e l’ammirazione.
Ogni volta che ascolto il Requiem resto colpito dal fatto che esso ci parla direttamente; non solo: parla direttamente a qualcosa di intimo in noi, a quella che qualcuno molto più ottimista di me definisce “l’anima”. Chiudendo gli occhi pare che qualcuno ci conduca per mano a visitare luoghi dai quali poi, alla chiusa dell’ultima nota, torniamo indietro: confusi ma beati, colmi di una gioia interna che loro, sempre i più ottimisti chiamano Grazia.
Armonia interiore quindi data dall’armonia che Mozart ha saputo creare.
Per i neofiti consiglio non l’ascolto dell’opera completa, ma di alcune parti di essa come il Lacrimosa, il Tuba Mirum o il Confutatis. Vedrete che poi, come convogliati in un tunnel di luce, vorrete ascoltare tutto il resto e non una sola volta. Proprio come capita a me.
Anno di composizione presunto: 1791
Anno di morte di Mozart: 5 dicembre 1791
Struttura dell’opera
I. Introitus
1. Requiem aeternam
II. Kyrie
III. Sequentia
1. Dies irae
2.Tuba mirum
3. Rex tremendae
4. Recordare
5. Confutatis
6. Lacrimosa
IV. Offertorium
1. Domine Jesu
2. Hostias
V. Sanctus
VI. Benedictus
VII. Agnus Dei
VIII. Communio
1. Lux aeterna
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Vi prego di fare attenzione. Questo è il video degli scontri di piazza navona. I giovani di presunta "destra" si schierano arrivati da chissà dove con mazze e cinghie e poi, alla fine del tafferuglio vengono radunati dai poliziotti e fatti sdraiare, mentre gli fanno intorno u cordone di protezione.
Ma vi prego di stare attenti al 4° minuto, quando il poliziotto si rivolge ad uno dei ragazzi con il nome: "Francesco".
Lo chiama per nome. Singolare no?
Guardare per credere
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.
Oh, non mi vorrete dire
che è per frequentare delle belle menti
o dei dementi
che c’è quel farfugliare
di pensieri e scioccherie
che intasa questa via!
E’ per fottere che si poeta
Ed è sempre per fottere che si combatte
Quella strenua lotta a farsi belli
anche se schifosi.
E’ non è tanto quella mostruosità
della calvizie o della pancia enorme
sono i tuoi vizi
o peggio ancora le tue strane paure.
Perciò sei qui, dietro mentite spoglie
perché son spoglie
come dei cadaveri
i muscoli che mostri.
>
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Devo scrivere un piccolo preambolo a questo post. Quello che c'è scritto non si riferisce all'oggi. Ho ripescato una cosa che scrissi qualche tempo fa, come faccio spesso. Io, a differenza di molti, non uso il BLOG per farne un diario. Posto quello che mi va e che magari ho scritto molto tempo indietro.
... soltanto per precisare.
Un bel giorno, anzi una bella notte, succede che non riconosci più chi è quell’individuo accanto a te nel letto. Nel letto. Stiamo parlando di un luogo intimo, il luogo dove sei nato: dove ti hanno posto per la prima volta dopo che sei uscito dal grembo materno; in cui hai sognato, hai avuto incubi spaventosi. Dove la tua fantasia e la tua coscienza si sono sviluppati. Dove hai provato le prime pulsioni; dove ti sei accorto della tua virilità. Ebbene quel luogo tanto sacro, inviolabile, il “tuo” luogo, tu lo stai dividendo con qualcuno di cui ora non riesci ad intravedere una parte che sia interessante, un solo aspetto accattivante. Questo qualcuno che poi alla fine ti accorgi di non conoscere, che magari nemmeno apprezzi. Si tratta di un essere del genere umano per il quale ad un certo momento provasti una forte attrazione di carattere animale (parliamoci chiaro, si tratta di quello). Con il quale ad un certo punto ti sei accompagnato sempre più frequentemente e del quale allora non riconoscevi difetti. Aveva solo pregi. Persino la sua peluria bionda e la sua camminata un poco trascinata a quell’epoca non avevano una qualche importanza per te. Addirittura, (dico addirittura) erano ai tuoi occhi elementi di interesse. Al limite, ne facevano qualcosa di attraente, di erotico. Ricordi che ad un certo punto (i ricordi alle due di notte si fanno vividi come se fossero illuminati da un flash, da una potente lampada) ricordi che i suoi occhi ti guardarono come chiedendo, come se si aspettassero qualcosa. Allora ti guardasti intorno domandandoti cosa facessero tutti i tuoi simili nelle medesime condizioni. Ti consigliasti con un amico, quello sbagliato. Ti consigliasti con l’amico che poi sarebbe rimasto scapolo per il resto dei suoi giorni: qualcuno più lontano dall’idea di coppia non lo potevi trovare. Disse quello che gli parve conveniente dire, in quell’occasione (s’era aperto la coscienza con una bella birra chiara alla spina e si guardava bene dall’incrociare il tuo sguardo mentre ti parlava. Semplice: non era affatto convinto di quello che diceva). “Guarda, secondo me, si tratta di una donna da sposare! E’ carina, educata… una ragazza che se ne trovano poche in giro!” ”Ma dici? Io non è che sono molto convinto! Mi pare che se lo faccio, sto passo, lo faccio solo per fare contenta lei! E io?” ”E tu… e tu… vedrai che poi starai bene tu, così orso. Avere una ragazza a fianco che ti sopporta, dammi retta, di questi tempi è una rarità!” Il fatto che avesse ingollato il resto della birra tutto d’un fiato e guardando fisso davanti a sé allora non lo notasti. Come non notasti molte cose che ora metti in fila una dietro l’altra a comporre una sorta di trenino da giostra del terrore. Ti convincesti anche tu che era la cosa migliore da fare. Compisti il passo anche perché ogni volta che pensavi alla sua vita senza di lei sentivi una strana morsa sullo stomaco. Non era terrore di perderla; era una sorta di tenerezza tutta paterna che te la faceva vivere come una creatura da proteggere e da tutelare. Ma l’amore è lontano da ciò mille miglia. Ora lo sai, a quel tempo no. Per carità, ora sto scrivendo in una bella casa con giardino; affacciato sul prato davanti ad un bell’albero di nocciolo carico di frutti. Li sento cadere con un piccolo tonfo sordo sull’erba e quel birbaccione del cane va là e se li ingoia provocando dei crack che interrompono il silenzio ventoso del pomeriggio. Per carità, siamo tranquilli: grossi guai non ne abbiamo. Ma ieri notte, svegliandomi come m’accade spesso, non sentivo vicino a me la persona amata ma “una persona”. Dormendo emetteva un sottile fiato come di bambina; si vedeva l’avvallamento del suo corpo sopra il letto e sotto l’amata copertina leggera. Ma l’amore è lontano da ciò mille miglia. Ora lo sai, a quel tempo no.
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(foto: mia)
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Or scende e poi risale, adorna e giovinetta
la strada che s’avanza per il bosco.
si copre d’ombre e di sprazzi accesi
pel sole che s’adagia sulle muffe.
Canti diversi intonano
i rami dell’alloro
percorsi come sono
dal vento di montagna
e sotto un ponte ardito
scorre gioiello d’acqua,
cristallina.
Forse quando nascesti
in questo luogo abbeverarsi il cuore
e poi,
crescendo,
perdesti il senso innato della pace
che danno grazia ed arte.
Forse, qui ritornando,
un’eco antico di perduta gioia
ti fa destare e ti riporta in vita.
Forse, nascendo ancora
quel che hai perduto andando
sopra strade d’ambra
lo troverai per terre mai calcate.
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Roma, 20/06/2007 (ore 8:40)
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