Creato da robertocass il 22/03/2011
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Le Voyager da 45 anni nello Spazio

Post n°212 pubblicato il 02 Settembre 2023 da robertocass
Foto di robertocass

 

 

 

 

Nel 1977 partirono le sonde Voyager, due sonde gemelle che hanno rivoluzionato la nostra conoscenza del Sistema Solare spingendosi poi oltre i confini del Sistema Solare.

Le Voyager ci hanno infatti donato un quadro completo della parte esterna del Sistema, saltando di gigante in gigante fino a lasciare per sempre il Sistema Solare.

Oggi le due sonde sono gli oggetti più lontani dalla Terra e tra i più veloci, viaggiano a circa 61500 chilometri orari.

Le Voyager 1 e 2 si trovano infatti, rispettivamente, a ben 22 e 18 ore luce dalla Terra, ovvero circa 23,8 e 19,9 miliardi di chilometri.

Gli anni ‘60 furono il momento in cui venne deciso di uscire dalla linea di Kármán, quella linea che idealmente separa l'atmosfera terrestre dallo spazio vero e proprio.

Se già nel 1946 avevamo ottenuto la prima immagine della Terra dallo spazio e nel 1957 avevamo lanciato il primo satellite vero e proprio, lo Sputnik I, è infatti negli anni ‘60 che inizia la storia dei viaggi spaziali.

Nel 1961 Jurij Gagarin divenne il primo essere umano in orbita, nel 1964 partì la Mariner 4, la prima sonda marziana.

Nel 1969 poi ci sarebbe stato l’allunaggio con cui mettemmo piede sulla superficie di un altro corpo planetario per la prima volta nella storia.

Nella prima metà degli anni ‘70 poi, la Mariner 10 visitò Venere e Mercurio e le Venera 9 e 10 ottennero le prime immagini dalla superficie venusiana.

Ma i nostri limiti sembravano rinchiuderci lì, nel Sistema Solare interno, perché qualunque lancio oltre la Fascia Principale degli Asteroidi avrebbe richiesto una quantità enorme di propellente, in alcuni casi più di quanto le stesse astronavi erano in grado di trasportare

E questo finchè un giovane dottorando Michael Minovitch trovò la soluzione che ha cambiato per sempre la storia dei viaggi spaziali: la fionda gravitazionale.

Quando una sonda passa vicino a un pianeta, gli ruba un po’ dell'energia che il pianeta utilizza per orbitare attorno al Sole.

Questa energia può essere utilizzata al posto del propellente al fine di modificare l’orbita della sonda stessa.

Si fece un test con la Mariner 10, che da Venere usò con successo una fionda gravitazionale per dirigersi verso Mercurio.

Era possibile ora pensare davvero all’esplorazione del Sistema Solare esterno.

E fu così che nacque il programma Voyager: due sonde gemelle che avrebbero sfruttato questa tecnica innovativa per visitare i giganti gassosi e ghiacciati.

Il 20 agosto 1977 partì la Voyager 2, il 5 settembre partì la Voyager 1.

L’ultima a partire fu la prima ad arrivare a sorvolare Giove nel 1979, poi con una fionda gravitazionale sarebbe arrivata a visitare Saturno nel 1980 e lì, dopo aver scrutato Titano avrebbe inclinato la sua traiettoria abbandonando per sempre il piano su cui orbitano i pianeti.

La Voyager 2, che su Saturno è arrivata nel 1981, ha poi proseguito verso Urano e Nettuno.

Questi due pianeti, raggiunti rispettivamente nel 1986 e nel1989, non hanno mai ricevuta una visita da un’altra sonda spaziale.

Le Voyager ci hanno permesso di scoprire tantissimo di questi mondi e delle loro lune, dai fulmini di Giove ai vulcani di Io, dalla struttura degli anelli di Saturno a quelli di Urano e Nettuno, dai fenomeni criovulcanici su Tritone alla Grande Macchia Scura di Nettuno.

Non basterebbero libri interi per discutere della portata dei risultati scientifici ottneuti grazie alle Voyager.

Dopo la loro ultima tappa planetaria, entrambe le sonde hanno raggiunto la velocità di fuga dal Sistema Solare, ossia quella che gli consente di abbandonare la gravità del Sole.

Nel 1990 la Voyager 1 si è voltata per l'ultima volta, immortalando la Terra da 6 miliardi di chilometri.

Dal 2012 per la Voyager 1 e dal 2018 per la Voyager 2 le sonde sono interstellari, perché hanno superato il confine del campo magnetico solare, lì dove le particelle cariche del Sole diventano meno importanti rispetto a quelle che vengono dall’ambiente galattico.

La Voyager 1 prosegue con la sua traiettoria nella direzione della costellazione dell’Ofiuco, la Voyager 2 invece della costellazione di Andromeda.

Hanno trascorso la maggior parte del loro viaggio, durato quasi mezzo secolo, più lontane dalla Terra di qualsiasi altro oggetto creato dall'uomo, ma forse anche per le due sonde Voyager è arrivata l'ora di mettersi a riposo: ora la NASA sta studiando come spegnere i loro strumenti e guidare questa fase delle sonde entro l'inizio del prossimo decennio.

La Voyager 1 si trova attualmente a 23,8 miliardi di chilometri dalla Terra, una distanza per la quale la luce impiega 20 ore e 33 minuti per raggiungere il nostro pianeta, mentre la Voyager 2 si trova a 19,8 miliardi di chilometri a circa 18 ore-luce.

Tutto ciò significa che gli ingegneri che tengono i contatti con le navicelle impiegano più o meno due giorni per inviare un messaggio e ottenere una risposta.

Entrambe erano progettate con un orizzonte di durata operativa di 5 anni, con l'obiettivo di sorvolare Giove, Saturno e i pianeti esterni del Sistema Solare.

Entrambe le sonde hanno superato di gran lunga l'obiettivo iniziale: hanno viaggiato, comunicato con la Terra e risposto ai comandi per 44 anni!

La NASA lavora adesso all'idea di spegnere gli strumenti di bordo perché se rimanessero accesi consumerebbero l'ultima energia rimasta a disposizione entro il 2025: se invece si spengono gli strumenti, potrebbe essere possibile riaccenderli tra qualche anno e avere informazioni provenienti da distanze siderali anche fino alle 2030.

Entrambe le sonde portano con loro una copia del Golden Record un disco d’oro idealmente indirizzato verso civiltà aliene che potrebbero rinvenirlo in un futuro remoto.

Nel disco sono incise musiche, voci che salutano in molte lingue diverse, immagini trascritte in frequenze sonore, suoni del mare, del vento e della pioggia, della giungla e degli animali.

Il Golden Record si presenta come un racconto della Terra per civiltà aliene, ma è in realtà un messaggio per noi stessi, per mostrarci cosa siamo in grado di fare quando decidiamo di usare il nostro ingegno senza fini di lucro ma solo nell'interesse della scienza.

La loro storia non è finita, continueranno a vagare nello Spazio finché tra circa 30.000 anni avranno abbandonato la Nube di Oort, il grande anello di comete che circonda il Sistema Solare e dopo altri 8.000 anni passeranno nel punto più vicino alla stella Gliese 445 a circa 1,7 anni luce.

E poi continueranno ancora a viaggiare ambasciatrici dell'ingegno della nostra civiltà.

 

 

da Internet

 
 
 

La scomparsa dei dinosauri

Post n°211 pubblicato il 12 Luglio 2023 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

I dinosauri 66 milioni di anni fa dominavano il nostro pianeta e questo fino al giorno in cui un asteroide di 12 chilometri precipita vicino al Messico, cambiando tutto per sempre.

Ma davvero un pezzo di roccia, per quanto abbastanza grande, ha potuto sterminare un'intera specie su tutto il pianeta?

Sappiamo che oltre alla potenza devastante dell'impatto in sé, le conseguenze di questo avvenimento hanno portato a cataclismi allargati a tutti i continenti, che includono tsunami, e soprattutto un cambiamento del clima drammatico causato da una cappa impenetrabile anche dai raggi solari.

Gli scienziati hanno inoltre rilevato segni di un'alterazione chimica degli oceani, fatale per chi li abitava e non solo.

Nonostante questo alcune recenti teorie credono che un dato davvero cruciale per determinare l'impatto di questo avvenimento fosse l'inclinazione dell'asteroide e la sua composizione.

Qualcuno crede che se avesse colpito la Terra pochi secondi dopo e in un posto diverso la nostra storia sarebbe stata completamente diversa.

Oggi la mappatura dello spazio alla ricerca di asteroidi pericolosi è continua e molto serrata e per ora non sono stati calcolati pericoli.

Certo è possibile che si presenti un rarissimo caso di meteorite nascosto alla nostra visuale poiché proveniente dal lato del Sole.

Se un giorno dovessimo affrontare un pericolo del genere abbiamo la possibilità con la tecnologia che abbiamo sviluppato fino ad adesso, di deviare il suo corso in tempo.

Altrimenti possiamo solo sperare di non essere noi i nuovi dinosauri.

 

da Internet

 
 
 

Euclid

Post n°210 pubblicato il 06 Luglio 2023 da robertocass
 
Tag: euclid
Foto di robertocass

 

 

 

 

Qualche giorno fa un razzo Falcon 9 della compagnia spaziale privata SpaceX di Elon Musk ha trasportato oltre l’atmosfera terrestre Euclid, il nuovo telescopio spaziale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

L'obiettivo è studiare due delle caratteristiche più sfuggenti dell’Universo: la materia oscura e l’energia oscura.

Il lancio è avvenuto da Cape Canaveral in Florida e il telescopio impiegherà circa un mese per raggiungere il proprio punto di osservazione a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra.

Siamo fatti di materia e circondati dalla materia e di conseguenza ne abbiamo un’esperienza diretta in ogni istante della nostra esistenza, tanto da non farci nemmeno caso.

La materia è tantissima, ma in termini cosmologici e cioè per lo studio dell’Universo nel suo complesso, è poca roba: si stima che costituisca meno del 5 per cento dell’Universo conosciuto.

Tutto il resto, secondo le teorie più condivise, è formato per il 25 per cento circa di materia oscura e per il 70 per cento di energia oscura.

Entrambe sono completamente invisibili sia ai nostri occhi sia agli strumenti e non sappiamo nemmeno di preciso che cosa siano né come funzionino.

Al tempo stesso, siamo ormai abbastanza certi che esistano, perché in loro assenza non si potrebbero spiegare alcuni dei fenomeni che invece riusciamo a osservare e che conosciamo ormai piuttosto bene.

Quando nel Novecento si iniziarono a calcolare le caratteristiche dell’Universo, e ad applicare modelli teorici per spiegarne le peculiarità, divenne evidente che la quantità di materia che ci è visibile non era sufficiente per spiegare il modo in cui l’Universo si è strutturato e sta insieme.

Un esempio che viene spesso utilizzato per dare l’idea del problema parte dalle galassie, i grandi sistemi che comprendono stelle, pianeti e materiale interstellare soprattutto sotto forma di gas e polveri.

La quantità di materia osservabile di una galassia è però relativamente poca: sulla base delle conoscenze di cui disponiamo, non è sufficiente per far sì che le stelle che ne fanno parte restino insieme senza sparpagliarsi per l’Universo (c’è una stretta relazione tra massa e gravità).

Uno dei modi per trovare una spiegazione è ipotizzare che ci sia qualcos’altro dentro e intorno alle galassie che ne favorisce la coesione.

Qualcosa che non emette o riflette luce e che non si fa rilevare, ma che comunque esiste e aggiunge ulteriore massa, appunto la materia oscura.

La sua esistenza aiuterebbe a spiegare molte cose, ma non tutto sul funzionamento dell’Universo.

Circa un secolo fa l’astrofisico statunitense Edwin Hubble scoprì che l’Universo si sta espandendo mentre studiava il modo in cui appaiono le galassie più distanti da noi.

Quasi 70 anni dopo, si sarebbe scoperto che l’Universo è in una fase di espansione accelerata, cioè che la velocità a cui si sta espandendo aumenta nel tempo.

Era una scoperta rivoluzionaria e inattesa, perché contraddiceva alcune parti del modello teorizzato fino ad allora per descrivere l’Universo, secondo il quale la gravità avrebbe via via portato l’espansione a rallentare.

Da quella scoperta è passato circa un quarto di secolo e ancora non sappiamo che cosa determini l’accelerazione, ma ci sono comunque diverse teorie.

Una delle più condivise ipotizza che ci sia un particolare tipo di energia, l’energia oscura, che contrasta in qualche modo la gravità e che fa sì che l’Universo acceleri nella propria espansione.

È una forma di energia ipotetica che sarebbe distribuita omogeneamente nello spazio e che come nel caso della materia oscura non riusciamo a rilevare direttamente.

Studiare qualcosa che non è osservabile è molto difficile, ma nel corso del tempo chi si occupa di astrofisica ha trovato qualche soluzione.

Una di queste è raccogliere dati estremamente precisi su quello che invece riusciamo a osservare e confrontarlo con ciò che dovrebbe succedere secondo i modelli teorici, in modo da capire che cosa manca nella realtà per completare il quadro.

Il telescopio spaziale Euclid ha proprio questo compito: effettuare misurazioni molto precise di una enorme porzione di cielo per trovare indizi su ciò che nemmeno i suoi strumenti possono vedere.

Il telescopio vero e proprio è un cilindro alto circa 4 metri con un diametro di 1,2 metri ed è collegato ad una base rettangolare che contiene al proprio interno sistemi per gestire e trasmettere verso la Terra i dati raccolti, per la propulsione e per la distribuzione dell’energia elettrica.

Telescopio e base messi insieme fanno raggiungere a Euclid un’altezza di 4,7 metri e una larghezza di 3,7 metri.

La massa complessiva è di 2 tonnellate, più o meno quanto un SUV di grandi dimensioni.

A un lato del modulo di servizio è assicurato un grande pannello che serve a proteggere il telescopio spaziale dalla radiazione solare e a raccogliere l’energia elettrica, attraverso pannelli fotovoltaici, per alimentare i sistemi di Euclid.

Lo schermo ha la funzione di evitare che si scaldino troppo i due principali strumenti del telescopio, che devono funzionare rispettivamente a -120 e  -180 °C.

Superata l’atmosfera terrestre, Euclid ha iniziato un lungo viaggio che gli permetterà di raggiungere il punto di Lagrange detto L2 a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, in direzione opposta rispetto al Sole.

È un punto di osservazione particolare che in sostanza permette di seguire la Terra a grande distanza, in modo da compiere osservazioni nello Spazio profondo.

L2 è utilizzato spesso per questo tipo di missioni e da più di un anno ospita anche il James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale più potente e che compie attività di osservazione in buona parte diverse da quelle che farà Euclid.

Il viaggio di Euclid verso L2 durerà circa un mese.

Una volta arrivato a destinazione il telescopio attiverà i propri strumenti e seguiranno un paio di mesi di test e di calibrazioni.

Terminata questa fase di avvio, a ottobre il telescopio sarà pronto per iniziare a osservare e rilevare dati su galassie lontane miliardi di chilometri.

Il suo obiettivo sarà mappare circa un terzo del cielo, creando una mappa tridimensionale molto precisa, che potrà essere impiegata per calcolare l’espansione dell’Universo.

Il telescopio spaziale sfrutterà anche un effetto particolare chiamato lente gravitazionale, che si verifica quando la luce emessa da una galassia arriva distorta a chi la sta osservando a grandissima distanza, a causa delle concentrazioni di materia che trova lungo il proprio percorso.

Questa materia che devia la luce è costituita da altre galassie, che possono quindi essere osservate, e per una parte consistente dalla materia oscura, che non può essere invece rilevata.

Grazie a misurazioni molto accurate si può ricostruire quanta materia sia necessaria per determinare una lente gravitazionale, indagare quanta materia “normale” sia stata coinvolta e dedurre quanta materia oscura abbia contribuito al fenomeno.

In questo modo si può scoprire la presenza della materia oscura e soprattutto scoprire come è distribuita nella porzione di Universo osservato.

I dati raccolti da Euclid saranno messi poi a disposizione della comunità scientifica.

Immagini, dati sulla luminosità delle galassie e molto altro potranno essere utilizzati per nuove ricerche e per pianificare future nuove missioni spaziali, alla ricerca delle tante cose che non riusciamo ancora a vedere e a capire.

Lo studio affascinante di immagini che ci arrivano da un passato lontanissimo.

 

da Internet

 
 
 

Encelado

Post n°209 pubblicato il 10 Maggio 2023 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

Encelado, la luna di Saturno è considerato dagli scienziati uno dei luoghi migliori in assoluto del Sistema Solare dove cercare vita aliena.

Sotto il suo spesso strato di ghiaccio si nasconde un vero e proprio oceano di acqua salata profondo 10 chilometri, dove la vita potrebbe essersi evoluta in modo non dissimile da quella presente nelle profondità oceaniche terrestri, attorno alle bocche idrotermali.

Secondo un nuovo studio sarebbe possibile rilevare con sicurezza eventuali organismi alieni senza la necessità di atterrare sulla sua superficie o di trivellare il guscio di ghiaccio che riveste la luna, il cui spessore minimo è di ben 5 chilometri.

Dal cuore del pianeta, infatti, emergono enormi pennacchi tipo geyser che espellono acqua e altro materiale nello spazio e proprio dall'analisi di questi getti si potrebbe avere la conferma della vita.

A determinare che la vita aliena su Encelado possa essere rilevata senza necessità di atterrare è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università dell'Arizona.

Gli scienziati sono giunti alle loro conclusioni simulando le capacità di un veicolo in grado di analizzare i composti chimici presenti nei geyser emessi dall'attività vulcanica del pianeta.

Fino a quando la sonda Cassini fra il 2004 e il 2017 non ha esplorato Saturno e le sue lune si riteneva che Encelado fosse composto solo di ghiaccio.

Durante i suoi sorvoli però la sonda intercettò proprio gli spettacolari geyser di acqua salata, tra i cui elementi fu trovato del metano.

Sulla Terra la principale fonte di metano sono dei microorganismi metanogeni che interagiscono con la materia organica, alcuni di questi microbi vivono proprio a ridosso delle bocche idrotermali negli abissi, nei quali gli essere viventi non dipendono dalla fotosintesi, ma proprio dall'energia e dai composti rilasciati da queste fumarole sommerse.

Gli scienziati ritengono che simili ecosistemi potrebbero essere presenti anche su Encelado.

Per rilevarli con certezza si dovrebbe raggiungere la luna, distante ben 1,3 miliardi di chilometri dalla Terra ed entrare in una delle grandi crepe sulla superficie da cui partono i geyser.

Un'impresa estremamente complessa, non solo per le distanze, ma anche per il fatto che lo strato di ghiaccio è spesso svariati chilometri

Ma come detto sarebbe possibile determinare la presenza di vita anche dalla sola analisi dei geyser, e questo con un veicolo opportunamente progettato.

Nel polo sud di Encelado vi sono almeno un centinaio di getti, quindi non sarebbe difficile trovare una fonte da analizzare.

Recentemente uno studio ha calcolato che su Encelado c'è anche fosforo in abbondanza, un altro elemento legato alla vita.

Per una prova definitiva ci vorranno ancora molti anni visto i costi che avrebbe una spedizione tanto complessa.

 

da Internet

 
 
 

Juice

Post n°208 pubblicato il 14 Aprile 2023 da robertocass
 
Tag: juice
Foto di robertocass

 

 

 

 

È stata lanciata Juice, la sonda diretta a Giove e alle sue lune Europa, Ganimede e Callisto, che sotto la superficie ghiacciata nascondono oceani che potrebbero ospitare la vita.

Il lancio è avvenuto con un Ariane 5 dalla base europea di Kourou (Guyana Francese) ed è l’inizio di un viaggio di 8 anni.

Nella missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) l’Italia ha un ruolo di primo piano con Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Università, Enti Pubblici di ricerca e industria.

Sono italiani sia un terzo degli strumenti destinati a studiare da vicino mondi così lontani, sia i pannelli solari di Juice, i più grandi mai andati nello spazio.

L'obiettivo principale è lo studio di alcun caratteristiche di Giove, ma soprattutto delle sue tre grandi lune ghiacciate: Europa, Ganimede e Callisto, scoperte da Galileo la notte del 7 gennaio 1610, osservando da Padova il cielo con il suo rudimentale cannocchiale.

Oramai da un paio di anni, se non di più, si parla solo di piccoli satelliti grandi come scatole da scarpe e poco costosi.

Ora però ci ritroviamo a parlare di nuovo di un grande satellite, alto metri e non centimetri, che costerà almeno un miliardo e che pesa al lancio sui 5mila chili, di cui ben 2.900 di propellente.

E trasporta con sé, fino a quello spazio lontano, tanto affascinante quanto freddo, una quantità incredibile di raffinata strumentazione.

Come in tante altre missioni nel nostro sistema solare, basta ricordare la splendida sonda Cassini Huygens che studiò per mesi il sistema di Saturno, l'Italia, con Leonardo e le sue partecipate Thales Alenia Space e Telespazio, porta un contributo essenziale.

Leonardo per esempio ha fornito i pannelli solari, che si dispiegheranno dopo il lancio per fornire energia al grande satellite.

Sono più di 80 metri quadri di pannelli, 24mila celle divise in dieci pannelli disposti a croce, per un totale di 85 metri quadrati.

Sono i più grandi mai costruiti per una missione oltre la Luna.

D’altronde a 750 milioni di chilometri dalla Terra la radiazione è molto debole, 25 volte più debole che sulla Terra, e un satellite pieno zeppo di strumenti come questo ha bisogno di molta energia.

La missione di Juice presenta vari obiettivi: studiare e caratterizzare le lune gioviane ghiacciate, Ganimede, Europa e Callisto, che sono di fatto anche più grandi non solo della nostra luna, ma anche di pianeti come Mercurio o Plutone.

Ma studierà anche Giove e il suo complesso sistema, che è già stato oggetto di studio da parte di altri satelliti Nasa. .

Il focus è nello studio di quei mondi come possibili habitat.

Nel nostro sistema solare conosciamo come abitato dalla vita solo il nostro pianeta.

I tre grandi satelliti gioviani, soprattutto Ganimede, potrebbero darci altre informazioni preziose per capire come appare la vita, sotto quali condizioni.

In quei mondi lontani precedenti missioni hanno individuato gusci di ghiaccio che li racchiudono, campi magnetici importanti, altro elemento importante per la presenza di vita, specie su Ganimede, il sorvegliato speciale di questa missione,voluta e gestita da Esa, ma che gode di contributi anche dalla Nasa e dalla giapponese Jaxa in termini di strumenti di misura e parti importanti di hardware.

Arrivare a Giove non è semplicissimo, occorre tanta energia, che un solo razzo non può dare, e allora ecco che è stata studiata una traiettoria piuttosto complessa e inusuale, che porterà Juice all’obiettivo in 8 anni, durante i quali sorvolerà Venere e la Terra due volte.

Anche la Luna, per la prima volta, servirà ad accelerare il grande satellite con l'effetto fionda che si ottiele con il passaggio nel campo gravitazionale dei pianeti.

Un poco come la fionda del biblico Davide, roteata sopra la testa e poi aperta, per rilasciare il sasso che conteneva.

Per studiare Giove e i suoi tre grandi satelliti Juice ha una batteria di strumenti incredibile: un pacchetto di vari strumenti per il telerilevamento con sofisticate capacità di presa immagini in varie lunghezze d'onda, un pacchetto di strumenti per lo studio geofisico dei satelliti di Giove, studiare le superfici e quel che c'è sotto la crosta.

Non manca strumentazione per studiare l’ambiente spaziale fra il pianeta e i suoi satelliti, come flusso di particelle, campo magnetico ed elettrico.

Ganimede, la luna più grande e massiccia del sistema gioviano, ma anche dell'intero sistema solare, con il suo diametro di oltre 5000 chilometri, sarà in particolare oggetto di studio, per capire quanto è grande e profondo l'oceano di acqua sotto la sua superficie.

Una missione ambiziosa e a lungo studiata, che dovrà operare in condizioni estreme, basta pensare ai 250 gradi che troverà al passaggio da Venere e ai -230 dalle parti di Giove in un ambiente finale con alta densità di radiazioni.

Proprio per questo va valorizzato il contributo di altre realtà italiane, sia scientifiche, come Università e Inaf, Istituto Nazionale di Astrofisica, che hanno lavorato a stretto contatto con l'industria.

Il migliore esempio è probabilmente lo strumento Rime a bordo del satellite, un sistema radar sviluppato da Thales Alenia Space con l'Università di Trento, capace di andare fino a 9 chilometri sotto la superficie ghiacciata di Ganimede.

Scoprendo i quattro satelliti di Giove, Io, Europa, Ganimede e Callisto, Galileo Galilei ha rivoluzionato la nostra visione dell'Universo, e del nostro posto in esso.

Fu infatti quella scoperta a fargli capire definitivamente che come quelli ruotano attorno al grande pianeta così noi giriamo attorno al Sole, e che non siamo il centro dell'universo, come si credeva anche per un errato concetto religioso.

Anzi, per la verità, oggi sappiamo che siamo otto miliardi di esseri umani su un granello di sabbia cosmico sperso fra miliardi di stelle e di galassie.

Certamente coi suoi risultati Juice rinnoverà in noi la meraviglia della conoscenza.

 

da Internet

 
 
 
 
 

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