Creato da robertocass il 22/03/2011
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Un nuovo sbarco sulla Luna

Post n°215 pubblicato il 04 Maggio 2024 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

L'uomo è sceso sulla Luna nel 1969 ben 55 anni fa, e sembra assurdo che siasuccesso già da tutti questi anni.Le missioni Apollo tra il 1969 e il 1972 portarono dodici astronauti sullasuperficie lunare.

Oggi il programma Artemis della NASA dovrebbe ripetere lo barco ma sembraprocedere a rilento

E questo nonostante la tecnologia oggi sia ben diversa ed enorme lo sviluppo scientifico di questi utlimi anni

I motivi sono diversi, certo il primo, il più rilevante è l'aspetto economico.

Le missioni Apollo furono progetti estremamente costosi, arrivando a consumare circa il 5% del bilancio federale americano.

Se consideriamo l'inflazione, il costo totale del programma Apollo ammonterebbe oggi a oltre 260 miliardi di dollari.

Al giorno d'oggi, il budget della NASA è meno dello 0,5% del bilancio federale,con priorità ben più diversificate.

E poi le realtà politiche hanno giocato un ruolo non indifferente.

Durante gli anni 60, l'America era in piena corsa allo spazio contro l'Unione Sovietica e con la voglia di vincere il pubblico e i legislatori sostenevano con entusiasmo la generosa dotazione di fondi alla NASA.

Tuttavia, questa spesa si rivelò insostenibile a lungo termine e, una volta che gli USA vinsero la corsa, l'interesse pubblico calò drasticamente insieme ai finanziamenti per la NASA.

A livello operativo, quando il programma Space Shuttle stava per finire, laNASA si trovò a dover decidere il destino delle capacità industriali e delle partnership che avevano caratterizzato lo Shuttle.

La scelta fu quella di mantenere tale infrastruttura, riutilizzando molte parti dello Shuttle, incluso i motori, nel design di Artemis.

Questa decisione si rivelò cruciale ed ha consentito lo sviluppo delle compagnie private di volo spaziale.

Aziende private come la Space X di Elton Musk che ha costruito la sua fortuna sul business dei razzi riutilizzabili, grazie ai quali è possibile accelerare le missioni spaziali, abbattendone in maniera significativa i costi.

I viaggi di rifornimento alla Stazione Spaziale sono effettuati quasi sempre da questa compagnia.

E la Blue Origin di Jeff Bezos il secondo partner della NASA dopo Space X

Fra l'altro pronto nello sviluppo del lander Blue Moon che prevede di lanciare verso la luna non più tardi del 2025.

E di turismo paziale come La Orion Span che ha progettato il primo hotel spaziale già pronto a partire e la Space Adventures, che propone viaggi nello spazio ai privati cittadini.

Infine, Artemis si distingue nettamente dalle missioni Apollo per obiettivi e priorità.

La tolleranza al rischio è molto più bassa oggi, considerando le missioni stesse, che nonostante il loro successo non furono esenti da gravi incidenti, come il tragico incendio di Apollo 1 e il guasto quasi fatale di Apollo 13.

Inoltre, mentre le missioni Apollo avevano come principale obiettivo battere isovietici, Artemis oggi pone al centro delle sue missioni l'investigazione scientifica, prevedendo soggiorni lunghi fino a una settimana sulla superficie lunare per la costruzione di infrastrutture che portino ad una presenza umana permanente.

 

da Internet

 
 
 

Il Buco Nero

Post n°214 pubblicato il 02 Marzo 2024 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

In astrofisica, un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso, una regione dello spaziotempo con una curvatura talmente grande che dal suo interno non può uscire nulla, nemmeno la luce.

La gravità domina su qualsiasi altra forza, determinando un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spaziotempo in un punto al centro della regione, dove è teorizzato uno stato della materia di curvatura tendente a infinito e volume tendente a zero chiamato singolarità, con caratteristiche sconosciute ed estranee alle leggi della relatività generale.

Il limite del buco nero è definito orizzonte degli eventi, regione che ne delimita in modo peculiare i confini osservabili.

Per le suddette proprietà, il buco nero non è osservabile direttamente.

La sua presenza si rivela solo indirettamente mediante i suoi effetti sullo spazio circostante: le interazioni gravitazionali con altri corpi celesti e le loro emissioni, le irradiazioni principalmente elettromagnetiche della materia catturata dal suo campo di forza.

L'esistenza di tali oggetti è oggi definitivamente dimostrata e via via ne vengono individuati di nuovi con massa molto variabile, con valori fino a 5 miliardi di masse solari.

Un buco nero non ha propriamente un fondo, perchè non è realmente un buco.

Il termine "buco" è usato soltanto per far capire gli effetti dell'enorme attrazione gravitazionale che esso esercita su tutto ciò che capiti entro il suo raggio d'azione.

Secondo la teoria della Relatività Generale, un buco nero è in realtà una regione dello spazio-tempo "isolata" dal resto dell'Universo, nel senso che tutto ciò che ne viene catturato (compresa la luce!) non riesce più ad uscirne, e le leggi della fisica che valgono all'esterno non sono più valide all'interno di quella regione.

In sostanza, ancora non sappiamo con precisione cosa succeda alla materia quando finisce dentro ad un buco nero.

Secondo la teoria, tale regione si è formata perchè una certa quantità di materia si è concentrata, a causa della gravità, in uno spazio piccolissimo, praticamente in un punto, raggiungendo così una densità altissima (teoricamente infinita), il che fa sì che possieda anche un'enorme attrazione gravitazionale.

Il buco nero (nel caso più semplice di buco nero che non ruota e che non ha carica elettrica) risulta allora formato da una regione sferica che ha al centro tale punto chiamato singolarità, dove la materia è concentrata.

Questa regione è delimitata dal cosiddetto orizzonte degli eventi, una superficie ideale che segna il confine tra l'interno e l'esterno del buco nero.

Infatti se un oggetto, passando vicino a quest'ultimo, ne viene attratto ed è costretto ad attraversare l'orizzonte degli eventi, finirà nella regione dove l'attrazione gravitazionale è talmente forte da impedirgli di fuggire, e precipiterà verso la singolarità.

Perfino la luce, che possiede la velocità più alta nell'Universo (300.000 km/s), non riesce ad uscire e poichè non possiamo riceverla ci appare nera, da cui il nome di buco nero.

Il mistero che circonda il buco nero è oggetto di studi da tutti gli scienziati del mondo e certamente la sua soluzione sarà la risposta a tutte le domande che ci poniamo guardando il cielo.

 

da Internet

 
 
 

Un aggiornamento dopo 46 anni a 20 miliardi di km

Post n°213 pubblicato il 26 Ottobre 2023 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

Le sonde Voyager 1 e 2 stanno per ricevere una nuova patch software, 46 anni dopo il loro lancio nello spazio e l'inizio del loro viaggio.

Lo ha annunciato il JPL, illustrando gli ultimi interventi di manutenzione in corso per assicurare che le due astronavi continuino a operare ancora per diversi anni a venire.

Si ritiene che entrambe le sonde abbiano oltrepassato l'eliosfera, la regione del sistema solare in cui l'influenza del vento solare predomina rispetto al vento interstellare.

Oggi rappresentano un avamposto scientifico unico e di primaria importanza per lo studio di un ambiente per noi assolutamente sconosciuto.

Lo scorso anno, Voyager 1 fece prendere uno spavento al team di controllo della missione, quando i dati di telemetria ricevuti a Terra dal sottosistema AACS (attitude articulation and control system) responsabile del mantenimento dell'orientamento della sonda, cominciarono ad apparire privi di significato.

La causa fu allora individuata in un errore generato da un qualche sottosistema che portò la sonda a trasmettere per errore i dati telemetrici attraverso un computer di bordo da tempo fuori uso.

Gli ingegneri istruirono la sonda a tornare ad utilizzare il computer corretto e il problema rientrò, ma ad oggi non è del tutto chiaro cosa ha fatto sì che Voyager 1 decidesse di passare da un computer all'altro.

Per evitare che il fenomeno possa ripresentarsi in futuro il team di missione ha sviluppato un apposito aggiornamento al software, un lavoro che ha richiesto mesi di verifiche, al fine di assicurarsi che un'operazione di questo tipo non vada a sovrascrivere parti di codice cruciali per il funzionamento dei sistemi di bordo delle due sonde gemelle.

Per questo motivo, l'aggiornamento è stato avviato lo scorso 20 ottobre su Voyager 2, delle due la sonda più vicina a noi.

Alla conferma che tutto è andato per il verso giusto, toccherà a Voyager 1 ricevere l'aggiornamento il 29 ottobre.

A causa della grandissima distanza a cui si trovano le due sonde, circa 24 miliardi di km Voyager 1 e circa 20 miliardi di km Voyager 2, un segnale da Terra impiega rispettivamente 22 ore e 28 minuti e 18 ore e 41 minuti a raggiungere le antenne delle astronavi.

Altrettanto tempo è necessario per ricevere una risposta.

L'aggiornamento software non è l'unico intervento di manutenzione in programma per le due Voyager.

Il team del JPL ha dovuto implementare delle modifiche nella configurazione dei propulsori attualmente utilizzati per correggere l'assetto delle sonde per assicurare che le antenne rimangano puntate sul nostro pianeta.

Data la loro veneranda età, le condutture interne dei propulsori cominciano ad essere intasate da residui di propellente che si sono accumulati negli anni.

Ricordiamo che la missione Voyager era originariamente pensata per durare 4 anni.

Per ridurre l'ulteriore accumularsi di questi residui, le sonde sono state istruite per ridurre la frequenza di accensione dei propulsori, allargando di 1 grado il range di rotazione permesso sui vari assi prima che intervenga il sistema di correzione dell'assetto.

La nuova configurazione alzerà la probabilità di perdite occasionali di bit durante le trasmissioni, ma consentirà alle sonde di durare ancora più a lungo e in definitiva di trasmettere più dati scientifici a Terra.

E questo 46 anni dopo il loro lancio e ad una distanza di 20 miliardi di km

 

 

da Internet

 
 
 

Le Voyager da 45 anni nello Spazio

Post n°212 pubblicato il 02 Settembre 2023 da robertocass
Foto di robertocass

 

 

 

 

Nel 1977 partirono le sonde Voyager, due sonde gemelle che hanno rivoluzionato la nostra conoscenza del Sistema Solare spingendosi poi oltre i confini del Sistema Solare.

Le Voyager ci hanno infatti donato un quadro completo della parte esterna del Sistema, saltando di gigante in gigante fino a lasciare per sempre il Sistema Solare.

Oggi le due sonde sono gli oggetti più lontani dalla Terra e tra i più veloci, viaggiano a circa 61500 chilometri orari.

Le Voyager 1 e 2 si trovano infatti, rispettivamente, a ben 22 e 18 ore luce dalla Terra, ovvero circa 23,8 e 19,9 miliardi di chilometri.

Gli anni ‘60 furono il momento in cui venne deciso di uscire dalla linea di Kármán, quella linea che idealmente separa l'atmosfera terrestre dallo spazio vero e proprio.

Se già nel 1946 avevamo ottenuto la prima immagine della Terra dallo spazio e nel 1957 avevamo lanciato il primo satellite vero e proprio, lo Sputnik I, è infatti negli anni ‘60 che inizia la storia dei viaggi spaziali.

Nel 1961 Jurij Gagarin divenne il primo essere umano in orbita, nel 1964 partì la Mariner 4, la prima sonda marziana.

Nel 1969 poi ci sarebbe stato l’allunaggio con cui mettemmo piede sulla superficie di un altro corpo planetario per la prima volta nella storia.

Nella prima metà degli anni ‘70 poi, la Mariner 10 visitò Venere e Mercurio e le Venera 9 e 10 ottennero le prime immagini dalla superficie venusiana.

Ma i nostri limiti sembravano rinchiuderci lì, nel Sistema Solare interno, perché qualunque lancio oltre la Fascia Principale degli Asteroidi avrebbe richiesto una quantità enorme di propellente, in alcuni casi più di quanto le stesse astronavi erano in grado di trasportare

E questo finchè un giovane dottorando Michael Minovitch trovò la soluzione che ha cambiato per sempre la storia dei viaggi spaziali: la fionda gravitazionale.

Quando una sonda passa vicino a un pianeta, gli ruba un po’ dell'energia che il pianeta utilizza per orbitare attorno al Sole.

Questa energia può essere utilizzata al posto del propellente al fine di modificare l’orbita della sonda stessa.

Si fece un test con la Mariner 10, che da Venere usò con successo una fionda gravitazionale per dirigersi verso Mercurio.

Era possibile ora pensare davvero all’esplorazione del Sistema Solare esterno.

E fu così che nacque il programma Voyager: due sonde gemelle che avrebbero sfruttato questa tecnica innovativa per visitare i giganti gassosi e ghiacciati.

Il 20 agosto 1977 partì la Voyager 2, il 5 settembre partì la Voyager 1.

L’ultima a partire fu la prima ad arrivare a sorvolare Giove nel 1979, poi con una fionda gravitazionale sarebbe arrivata a visitare Saturno nel 1980 e lì, dopo aver scrutato Titano avrebbe inclinato la sua traiettoria abbandonando per sempre il piano su cui orbitano i pianeti.

La Voyager 2, che su Saturno è arrivata nel 1981, ha poi proseguito verso Urano e Nettuno.

Questi due pianeti, raggiunti rispettivamente nel 1986 e nel1989, non hanno mai ricevuta una visita da un’altra sonda spaziale.

Le Voyager ci hanno permesso di scoprire tantissimo di questi mondi e delle loro lune, dai fulmini di Giove ai vulcani di Io, dalla struttura degli anelli di Saturno a quelli di Urano e Nettuno, dai fenomeni criovulcanici su Tritone alla Grande Macchia Scura di Nettuno.

Non basterebbero libri interi per discutere della portata dei risultati scientifici ottneuti grazie alle Voyager.

Dopo la loro ultima tappa planetaria, entrambe le sonde hanno raggiunto la velocità di fuga dal Sistema Solare, ossia quella che gli consente di abbandonare la gravità del Sole.

Nel 1990 la Voyager 1 si è voltata per l'ultima volta, immortalando la Terra da 6 miliardi di chilometri.

Dal 2012 per la Voyager 1 e dal 2018 per la Voyager 2 le sonde sono interstellari, perché hanno superato il confine del campo magnetico solare, lì dove le particelle cariche del Sole diventano meno importanti rispetto a quelle che vengono dall’ambiente galattico.

La Voyager 1 prosegue con la sua traiettoria nella direzione della costellazione dell’Ofiuco, la Voyager 2 invece della costellazione di Andromeda.

Hanno trascorso la maggior parte del loro viaggio, durato quasi mezzo secolo, più lontane dalla Terra di qualsiasi altro oggetto creato dall'uomo, ma forse anche per le due sonde Voyager è arrivata l'ora di mettersi a riposo: ora la NASA sta studiando come spegnere i loro strumenti e guidare questa fase delle sonde entro l'inizio del prossimo decennio.

La Voyager 1 si trova attualmente a 23,8 miliardi di chilometri dalla Terra, una distanza per la quale la luce impiega 20 ore e 33 minuti per raggiungere il nostro pianeta, mentre la Voyager 2 si trova a 19,8 miliardi di chilometri a circa 18 ore-luce.

Tutto ciò significa che gli ingegneri che tengono i contatti con le navicelle impiegano più o meno due giorni per inviare un messaggio e ottenere una risposta.

Entrambe erano progettate con un orizzonte di durata operativa di 5 anni, con l'obiettivo di sorvolare Giove, Saturno e i pianeti esterni del Sistema Solare.

Entrambe le sonde hanno superato di gran lunga l'obiettivo iniziale: hanno viaggiato, comunicato con la Terra e risposto ai comandi per 44 anni!

La NASA lavora adesso all'idea di spegnere gli strumenti di bordo perché se rimanessero accesi consumerebbero l'ultima energia rimasta a disposizione entro il 2025: se invece si spengono gli strumenti, potrebbe essere possibile riaccenderli tra qualche anno e avere informazioni provenienti da distanze siderali anche fino alle 2030.

Entrambe le sonde portano con loro una copia del Golden Record un disco d’oro idealmente indirizzato verso civiltà aliene che potrebbero rinvenirlo in un futuro remoto.

Nel disco sono incise musiche, voci che salutano in molte lingue diverse, immagini trascritte in frequenze sonore, suoni del mare, del vento e della pioggia, della giungla e degli animali.

Il Golden Record si presenta come un racconto della Terra per civiltà aliene, ma è in realtà un messaggio per noi stessi, per mostrarci cosa siamo in grado di fare quando decidiamo di usare il nostro ingegno senza fini di lucro ma solo nell'interesse della scienza.

La loro storia non è finita, continueranno a vagare nello Spazio finché tra circa 30.000 anni avranno abbandonato la Nube di Oort, il grande anello di comete che circonda il Sistema Solare e dopo altri 8.000 anni passeranno nel punto più vicino alla stella Gliese 445 a circa 1,7 anni luce.

E poi continueranno ancora a viaggiare ambasciatrici dell'ingegno della nostra civiltà.

 

 

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La scomparsa dei dinosauri

Post n°211 pubblicato il 12 Luglio 2023 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

I dinosauri 66 milioni di anni fa dominavano il nostro pianeta e questo fino al giorno in cui un asteroide di 12 chilometri precipita vicino al Messico, cambiando tutto per sempre.

Ma davvero un pezzo di roccia, per quanto abbastanza grande, ha potuto sterminare un'intera specie su tutto il pianeta?

Sappiamo che oltre alla potenza devastante dell'impatto in sé, le conseguenze di questo avvenimento hanno portato a cataclismi allargati a tutti i continenti, che includono tsunami, e soprattutto un cambiamento del clima drammatico causato da una cappa impenetrabile anche dai raggi solari.

Gli scienziati hanno inoltre rilevato segni di un'alterazione chimica degli oceani, fatale per chi li abitava e non solo.

Nonostante questo alcune recenti teorie credono che un dato davvero cruciale per determinare l'impatto di questo avvenimento fosse l'inclinazione dell'asteroide e la sua composizione.

Qualcuno crede che se avesse colpito la Terra pochi secondi dopo e in un posto diverso la nostra storia sarebbe stata completamente diversa.

Oggi la mappatura dello spazio alla ricerca di asteroidi pericolosi è continua e molto serrata e per ora non sono stati calcolati pericoli.

Certo è possibile che si presenti un rarissimo caso di meteorite nascosto alla nostra visuale poiché proveniente dal lato del Sole.

Se un giorno dovessimo affrontare un pericolo del genere abbiamo la possibilità con la tecnologia che abbiamo sviluppato fino ad adesso, di deviare il suo corso in tempo.

Altrimenti possiamo solo sperare di non essere noi i nuovi dinosauri.

 

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