Creato da marcalia1 il 09/05/2008
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Noi sappiamo che il matriarcato doveva reggersi sullo ius naturale, nel senso che l'autorità sociale delle donne era basata di diritto sui principi morali ed educativi caratterizzati sempre e solo dalla Madre.[1] Le leggi matriarcali non erano gerarchiche, bensì all'apparenza democratiche, ed ogni forma di qualsivoglia privilegio veniva aborrita (ovviamente non dal punto di vista del maschio). Le norme specifiche che regolavano lo sposalizio riconoscevano comunque alla donna, e questo è un dato fondamentale, il diritto di scegliersi i propri mariti, l'uomo o gli uomini che l'avrebbero accompagnata nel corso dell'esistenza. Non erano dunque i maschi a preferire le donne con cui vivere, ma accadeva il contrario. Esistevano, inoltre, principalmente due tipi di matrimonio: quello esogamico e il cosiddetto beena. Nel primo caso l'uomo prescelto doveva sposare una donna appartenente ad un clan diverso dal suo; la regola del matrimonio beena invece stabiliva che il marito doveva abbandonare la casa in cui era nato per andare a vivere con il clan della moglie (egli veniva perciò accettato dalla nuova famiglia, governata per linea femminile). Il sostantivo husband, che in inglese sta per marito, spiega il secondo tipo di sistema matrimoniale. Questa parola vuol dire letteralmente «colui che è legato o vincolato (band) alla casa (hus)», cioè un servitore o un maggiordomo che sotto l'antico matriarcato sassone, quando i diritti di proprietà erano riconosciuti in linea femminile, curava i beni legali o meno della donna. Un husband non era considerato parte integrante del clan materno ma restava un «forestiero» all'interno della domus governata in senso matrilineare, e non è un caso allora se nell'antica Grecia il virile nume Zeus Xenio veniva riconosciuto come il «dio protettore degli stranieri e dell'ospitalità».[2]
Non vi è dubbio, d'altro canto, che il matrimonio sacramentale ecclesiastico, di stampo fallocratico e patriarcale, paragonato alla promiscuità sessuale delle fasi più remote della società, abbia costituito un certo progresso di evoluzione spirituale; al tempo stesso, tuttavia, il matrimonio istituito della Chiesa androcratica di fatto ha da secoli condotto la donna sotto l'irrimediabile potestà del marito, relegando sempre di più il suo ruolo alla mera funzione riproduttiva, un ventre consacrato a generare, per diventare vera e propria serva (particolarmente nelle vecchie legislazioni) del maschio padrone e dei guasti sociali da lui provocati: la schiavitù femminile comincia infatti proprio fra la mura domestiche. Il Bachofen al contrario vide nel matrimonio matriarcale e nell'antica posizione sociale della donna il mezzo naturale per domare la natura ferina del maschio, per «educare» la sua indole predatoria e distruttiva. Spesso non attribuiamo giusto peso alle parole che esprimiamo quotidianamente, ma già nei termini matrimonio e patrimonio è possibile ravvisare una concezione ambivalente della vita, da cui emerge una profonda dicotomia sul modo di rapportare la nostra esistenza a quella degli altri. Il matrimonio si regge sopra l'idea spirituale della famiglia, governata da regole pacifiche ed egualitarie, fondata sull'amore, sull'altruismo e il reciproco sodalizio fra i membri. Anche etimologicamente il matri-monio si ricollega, tornando verso il centro focale famigliare, al nucleo essenziale che è rappresentato solo dalla Madre, da colei che è per la vita, anzi da colei che fisicamente ci dona la Vita in silenzio. Il matrimonium, come spiega il Bachofen, non è l'antitesi del matriarcato, bensì la necessaria accompagnatrice, ed anzi riposa proprio sull'idea di fondo di questo regime sociale: «si disse matrimonium, non patrimonium, e allo stesso modo si parlò solo di una materfamilias. Paterfamilias è senza dubbio un termine più tardo. Familia è un concetto puramente fisico e perciò, in primo luogo, valido solo per la madre».[3] Il matrimonio concentra quindi, anche storicamente, la sua funzione sociale solo in rapporto alla donna. Invece il patrimonio, che è il complesso dei rapporti giuridici basati sulla ricchezza economica, suppone al contrario uno slancio nella vita focalizzato all'avidità del possesso, alla proprietà personale dei beni. Il patrimonio, come indica la parola stessa, è l'eredità trasmessa dai padri, non già lascito spirituale, bensì retaggio accumulato di cose concrete e transitorie, cupa maschera dell'ancestrale istinto virile della predazione. In altre parole mentre il matrimonio costituisce lo statuto dell'Essere, il patrimonio sviscera affannosamente il rapace sentimento dell'Avere.
[1] Ulpiano, celebre giurista romano, così scriveva nel 228 d.C.: "La legge naturale è ciò che tutti gli animali hanno appreso dalla natura: non è particolare alla specie umana, ma è comune a tutti gli animali che sono nati sulla terra o nel mare, così come agli uccelli".
[2] Giuseppina Sechi Mestica, Dizionario universale di mitologia, Milano, Rusconi, 1990, sotto la voce corrispondente; cfr. anche Michael Grant e John Hazel, Dizionario della mitologia classica, Milano, SugarCo, 1986, s.v. Zeus. L'attributo di Ξένιος (lett. "ospitale") dato a Zeus è la chiara prova di una reminiscenza inconscia, proiettata nella sfera divina, di questa remota realtà storica in cui l'uomo non era considerato nulla più che un semplice ospite all'interno del "gineceo" matriarcale.
[3] Johann Jacob Bachofen, Il Matriarcato, a cura di Giampiero Moretti, Milano, Marinotti, 2003, p. 22. Questa edizione è solo un'antologia che include i punti rilevanti dell'indagine condotta dallo studioso. Per quanto mi risulta, la traduzione completa più recente in italiano de Il Matriarcato è stata pubblicata in più volumi a cura di G. Schiavoni presso l'Einaudi di Torino nel 1988.
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