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LA GLOBALIZZAZIONE, IL MERCATO CINESE, LA CHINAMERICA, Prospettive Future.

Post n°12 pubblicato il 08 Marzo 2011 da m.delladucata
Foto di m.delladucata

Negli ultimi anni il termine "Globalizzazione" è entrato prepotentemente nel linguaggio comune. Sempre di più si sente parlare di globalizzazione, sempre di più i giornali, la televisione, insomma i mezzi di informazione si occupano dell'argomento. Ma esattamente per globalizzazione COSA SI INTENDE? 
Tentiamo una semplice spiegazione.

>>>>LA GLOBALIZZAZIONE

Indica un complesso fenomeno economico per cui tutto il mondo dovrebbe essere un unico mercato entro il quale commerciare beni finanziari, beni reali e servizi secondo il meccanismo della domanda e dell'offerta.
La globalizzazione può essere vista come una internazionalizzazione di determinati prodotti, suscitando una crescente omologazione a livello mondiale dei consumi, una standardizzazione dei comportamenti antropologico-culturali, ai danni delle specificità locali. Il processo di globalizzazione implica una diffusione a livello mondiale di determinati prodotti e attività, implica il distacco del lavoro dalle singole realtà locali, per cui esso viene richiesto e trasportato da un luogo all'altro del pianeta a seconda della convenienza. Tale processo è accelerato e facilitato dalla rapidità delle comunicazioni (Internet). 
Secondo alcuni pensatori, il processo di globalizzazione ha origini molto lontane ed è solo l'estrema evoluzione del fenomeno di colonizzazione iniziato con la scoperta dell'America.

>>>>IL MERCATO CINESE 

Una nuova superpotenza mina gli equilibri storici dei paesi industrializzati: minaccia o opportunità. Sicuramente tutte e due. La Cina è sicuramente un nuovo e potente competitors ma nello stesso tempo un nuovo e immenso mercato. In pochi decenni ha compiuto i passi che il " vecchio continente " ha costruito in 2 secoli. L' apertura verso l' esterno, i semi del capitalismo e il riposizionamento dell' egemonia comunista sono stati passi obbligatori per arrivare all' economia socialista di mercato. Così la Cina che non veniva toccata dalle rivoluzioni industriali, la Cina comunista, chiusa, fondata sull' agricoltura si è svegliata, alle porte del ventunesimo secolo, aprendo un' immenso mercato ( 1.300.000.000 consumatori ) pieno di opportunità. Sullo stesso ha però portato problematiche altamente destabilizzanti, dal bassissimo costo dellamanodopera, allo sfruttamento di vaste economie di scala, al dunping, alla contraffazione ( marchio, brevetto, copyright, modelli ... ) e le conseguenti " sfrenate " esportazioni verso tutto l' occidente, che hanno fatto si, data la stagnazione e il momento di collasso dell' economia europea, di aggravare ulteriormente la situazione e spostare le forze che andrebbero concentrate nello studio delle strategie d' attacco, in un'unica direzione: la difesa.Tanta attività diretta dell'Occidente e del Giappone in Cina non manca di dar luogo a effetti boomerang. Non che in un Paese noto per contraffazioni, pirateria e violazione di segreti industriali simili problemi si rivelino occasionati, anzi. Essi costituiscono se mai l'ulteriore prova di un orientamento molto aggressivo a far leva sulle migliori acquisizioni tecnologiche e diprodotto a livello internazionale. La " Terra di mezzo " è diventata " the world's factory " il suo PIL cresce a ritmi del 9-10 % l' anno, i consumi, le importazioni e la produzione di acciaio e cemento sono a livelli altissimi. I nuovi ricchi aumentano di giorno in giorno, la costruzione di infrastrutture è massiccia e continua. Sono già arrivati al cedimento per quanto riguarda l' approvvigionamento di energia e l' inquinamento. Mai come in questo momento la Cina è sotto i riflettori di tutto il mondo, studiosi, imprese, governi, istituzioni ma se ci si pensa è normale che dopo una chiusura forzata, durata troppo tempo, la Cina faccia le corse per recuperare il gap con l' occidente e parte dell'oriente. Nel Settembre 2010, Inizia il grande patto di mutua assistenza tra i due giganti: 

>>>>LA CHINAMERICA, LE POSIZIONI DI AMERICA E CINA

La Cina importa beni capitali, materie prime e componenti ed esporta manufatti (a ritmo record), soprattutto verso gli Usa, l'unico mercato abbastanza grande da poter assorbire uno stock simile. Da questa politica, però, conseguivano cospicui disavanzi commerciali Usa verso la Cina, tali da prefigurare un rischio di caduta del cambio del biglietto verde nei confronti dello yuan poiché i dollari offerti sono più di quelli domandati.

Il minor valore del dollaro, infatti, frenerebbe le esportazioni cinesi, un qualcosa che Pechino non poteva permettersi se non voleva che la sua politica di urbanizzazione desse vita a un pericoloso effetto favelas. Ecco perché i cinesi hanno mantenuto fisso o semifisso il cambio con il dollaro attraverso una domanda di dollari che si sostanzia in acquisto di attività finanziarie americane.

Ecco quindi lo scenario che si è prefigurato per oltre un ventennio: una crescita record della Cina e una conseguente notevole crescita dei crediti cinesi nei confronti degli Usa, ovvero Pechino accumula grandi riserve in dollari a fronte dei propri avanzi commerciali. Una politica destinata a durare ma non in eterno visto che la Banca centrale cinese, per evitare una letale rivalutazione dello yuan che danneggerebbe il settore strategico dell'export, vende ai cinesi yuan e compra i loro dollari, frutto proprio delle esportazioni con il rischio di aumento della quantità di moneta circolante e quindi di inflazione.

Che fare, quindi? La Banca centrale vende ai cinesi obbligazioni in yuan e ritira contemporaneamente yuan dal mercato: con i dollari, invece, acquista titoli del Tesoro Usa. In tal mondo, la Banca centrale ha accumulato sia obbligazioni in yuan - di fatto passività - che obbligazioni in dollari, iscrivibili come attivi. Il problema è che questo tipo di politica era rischiosa poiché impone la necessità di un cambio assolutamente fisso con il dollaro, poiché se questo si svalutasse, la Cina si troverebbe con un controvalore delle cedole delle obbligazioni da pagare (in yuan) superiore a quello che incassa con le cedole delle sue obbligazioni (in dollari).

Due le strade: aumentare la collocazione di obbligazioni in yuan sul mercato, rischiando però l'aumento degli oneri finanziari futuri, oppure smettere di comprare illimitatamente obbligazioni statunitensi, diversificando anche le riserve (scaricando dollari a favore di altre monete, tra cui l'euro). Oppure ancora, cominciare a comprare anche azioni delle imprese Usa, atto che potrebbe sancire nel futuro prossimo la fine di Chinamerica e del patto di mutua assistenza tra Stati "too big to fail", ma anche a forte rischio implosione l'uno con l'altro.

Il motivo è presto spiegato: comprando obbligazioni, lo Stato compra le cedole Usa che saranno pagate dal Tesoro insieme al rimborso alla scadenza del capitale e le cedole vengono pagate attraverso i proventi delle imposte. Con la proprietà di azioni, invece, la Cina entrerebbe di fatto nella stanza dei bottoni Usa, spesso in settori strategici, influenzandone i comportamenti.

Ora, forse, anche ai meno addentro alle questioni economiche e geopolitiche sarà più chiaro il duro braccio di ferro tra Washington e Pechino sulla necessità di apprezzare lo yuan (di fatto, l'ennesima falsa promessa cinese), i timori crescenti per il possibile scoppio di una bolla immobiliare dovuta proprio alla crescita record e all'urbanizzazione selvaggia cinese (da qui, la restrizione dei crediti immobiliari imposti dalla Banca centrale agli istituti nazionali) e, soprattutto, le minacce nemmeno troppo velate di Pechino di cominciare a scaricare il debito Usa detenendo meno obbligazioni e diversificando le riserve monetarie rompendo il duopolio dollaro/yuan.

Il problema è che ora sembra arrivato il momento dello showdown. In risposta alla minaccia Usa di imporre sanzioni contro Pechino, vista la sua non volontà di apprezzare lo yuan nonostante l'accordo sul peg con il dollaro raggiunto a giugno, Ding Yifan, guru politico del think tank Development Research Centre, ha detto chiaro e tondo che Pechino potrebbe vendere il debito Usa che detiene, stimato in circa 1,5 trilioni di dollari, atto che potrebbe scatenare un aumento ingestibile dei tassi di interesse in Usa. 
GLI ESPERTI COMUNQUE NON CREDONO AD UNA SECONDA "GUERRA FREDDA" ma all'applicazione della vecchia polica del New deal che applicata all'economia Cinese, dovrebbe bastare a sedare le discordie...

>>>>IN DEFINITIVA, LA CINA CRESCE A DISMISURA A DISCAPITO DEL MONDO OCCIDENTALE, PERCHE' NE STA COMPRANDO IL DEBITO PUBBLICO E SEBBENE TENGA TUTTI SOTTO SCACCO, DEVE FARE I CONTI CON L'AUMENTO DELLA RICHIESTA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI, CHE CRESCE IN LINEA CON L'ECONOMICA. PER ESSI, SI ACCENDONO CONTINUE PICCOLE RIVOLUZIONI INTERNE CHE COSTRINGONO SPESSO L'INTERVENTO DELL'ESERCITO. POTREBBE ACCADERE CHE I DIRITTI DEI LAVORATORI, CRESCENDO DI PARI PASSO CON L'ECONOMIA CINESE(QUINDI VERTIGINOSAMENTE) RIPORTI L'EQUILIBRIO ECONOMICO MONDIALE PRIMA DEL PREVISTO. 

(M. Della Ducata e le sue RICERCHE INCROCIATE)

 
 
 
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