Creato da: piccodgl il 29/04/2006
AFFERMANDO LA MARGINALITA' DELLA META; A PATTO CHE SI PERCORRA ONESTAMENTE LA STRADA.

 

 
« LA (B)ega nordLA MOSCHEA, L'ABBAGLIO ... »

Post N° 134

Post n°134 pubblicato il 19 Luglio 2007 da piccodgl
Foto di piccodgl

Sono uscita a sedere sulla sdraio di tela verde fuori dalla mia cucina.
Mi
sono seduta, ed ho iniziato a guardare le nuvole ed a rallegrarmi per
la mia fortuna: abitare in piena campagna mentre tutta la città esala
nei fumi del caldo le proprie fragilità mi ha resa felice.

Mentre
puntavo lo sguardo nel nulla, con la coda dell'occhio ho visto un
movimento scattoso e minuscolo provenire dal selciato di mattonelle nel
mio giardino.

Mi sono avvicinata, ed ho visto un uccellino caduto dal nido.
Era
piccolissimo, senza piume, con quel loro colorito rosa-grigiastro ed il
becco giallo sproporzionato e chiuso. Nemmeno pigolava. Se ne stava a
terra con gli occhi sbarrati (probabilmente cieco) e una colonia di
formiche l'aveva assalito.

Arrivavano
da tutte le direzioni assediandolo le maledette formiche senza nemmeno
premurarsi della sua morte. Gli salivano sopra e camminavano sul suo
corpo. Lui, esanime, trovava la forza di ribellarsi contraendo i
piccoli muscoli a ritmi quasi spasmodici; come in preda alle
convulsioni ed ogni 5/10 secondi stolzava per tentare di liberarsene.


Quando
ero piccola, passando un sacco di tempo fuori di casa e abitando nella
medesima casa di ora; mi capitava di trovare spesso questi uccellini
sfortunati.

Cadono
dal nido tentando pazzamente di volare, qualche volta è la madre che li
becca fino a farli scivolare perché li reputa troppo fragili di
costituzione per sopravvivere alla vita. E così li spinge senza pietà
fuori dal nido.

Cadono
a terra, e muoiono di stenti. Qualche volta, vengono mangiati dai gatti
ma io non avevo gatti. Per evitargli morte certa, li raccoglievo
(quando ero bambina) e li appogiavo in una scatola delle scarpe piena
di ovatta; mettevo dell'acqua su un cucchiaino e appoggiavo la
scatoletta sulla lavatrice del bagno, osservandoli.

Non
volevano bere. Non aprivano il becco ed io credevo avessero fame così
preparavo un impasto di molliche di pane e acqua; ma nemmeno quello
andava bene. Qualche volta ricordo anche di aver vinto lo schifo ed
aver catturato un vermiciattolo...Ma il risultato era il medesimo: il
nulla da parte degli uccellini.

Così, mi dicevo che avevano sonno e che erano stanchi e li lasciavo riposare al buio del bagno.
Ogni volta, quando tornavo a far loro visita, erano più deboli. Pochi, affannosi respiri.
Tassativamente
la mattina dopo, erano sparite dal bagno le scatole. L'uccellino era
morto e mio padre che era il primo ad alzarsi faceva sparire il
corpicino (che iniziava anche a puzzicchiare) di modo che io non lo
ritrovassi lì esanime.

Le
prime volte piansi, poi mi abituai all'idea che forse avevo sfortuna e
gli uccellini che avevo raccolto erano tutti malati. Credevo che se non
lo fossero stati dall'inizio; avrei potuto salvarli in qualche modo.
Pensavo di potermi sostituire ad una madre premurosa e ad un nido caldo
ed accogliente.


Ho
preso un badile di ferro con il manico di legno e ho fatto scivolare il
corpo dell'uccellino sopra di esso, liberandolo così dall'affanno di
doversi divincolare da tutte quelle sadiche formiche. Ha smesso di
contrarsi e si è abbandonato su un fianco.

Ho
portato l'uccellino che pareva sopito dietro il garage di casa, e l'ho
appoggiato sull'erba. Nessun movimento. Solo il torace che andava,
pianissimo, su e giù.

Ho
preso bene la mira, alla testolina, ed ho sbattuto violentemente il
dorso del badile sul minuscolo cranio. Non un gemito, non un sussulto.
Ho guardato senza volere il corpo che rimbalzava sull'erba; mi sono
voltata e sono tornata verso il cortile.

L'idea di seppellirlo, mi è
sembrata cretina anche se nel mio giardino riposano gatti, pesci rossi,
criceti, ranocchie, canarini. Forse anche un cane che non ho mai
conosciuto; compagno dei miei genitori prima che producessero me.

Ho appoggiato il badile di ferro al muro e sono entrata a scrivere questo post.

Inizialmente, non avevo intenzione di ucciderlo; ma nemmeno di tentare di salvarlo.
Volevo
solamente portarlo lontano dalla mia vista, di modo che non dovessi
vedere in diretta la flagellazione del povero animale da parte delle
formiche; o il suo prosciugarsi sotto un sole tremendo davanti al
finestrone della mia cucina al piano di sotto.

Ho detto a mio fratello che mi faceva pena. "Tu
lo sai meglio di me che è proprio così che muoiono i bambini in Africa;
di stenti dopo essere stati abbandonati dai propri genitori sotto il
sole cocente".
Da quel momento l'uccellino mi ha fatto molto meno pena ma in compenso ha acquistato nella mia mente enorme dignità.
Ho capito che non poteva essere salvato. Così, doveva essere soppresso.
Ma ho un'idea diversa sui bambini africani; per inciso si intende.

Sono
tornata subito al PC per scrivere questo post, perché credo che questo
frammento di vita sia significativo della maturazione di una persona:

1)crescere significa ammettere i propri limiti come impossibili da superare.
2)crescere
significa comprendere che non ci si può sotituire agli altri nella vita
di nessuno...Siamo una parte per quanto importante, nella vita di
qualcuno. Non la vita stessa.

3)crescere significa limitare le sofferenze altrui; quando non ci è possibile azzerarle.


Picco e Vale (...e il povero uccellino)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963