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Post N° 270

Post n°270 pubblicato il 23 Gennaio 2007 da GURU1960

Comunicato Stampa

n.01/2007                                                         22/01/07    

La fusione dei ghiacciai alpini
contribuisce al rischio del futuro energetico italiano
 

Nell’arco di un secolo il Ghiacciaio dei Forni, il più ampio ghiacciaio vallivo delle Alpi italiane situato in alta Valtellina, ha perso il 40 % della sua lunghezza, passando dai 6 km dell’inizio del XX secolo ai 3,5 attuali.

La situazione si è aggravata nell’ultimo decennio quando - secondo le informazioni fornite dal prof. Claudio Smiraglia, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio” dell’Università di Milano, Presidente del Comitato Glaciologico Italiano e coordinatore per il Comitato Ev-K²-Cnr dell'area di ricerca glaciologica - l’arretramento della fronte glaciale è stata di decine di metri all’anno. Il fenomeno che investe la quasi totalità dei ghiacciai alpini potrebbe avere conseguenze pratiche a livello di risorse idriche e idroelettriche di vaste aree (va sottolineato che solo in Lombardia i ghiacciai racchiudono una risorsa idrica di oltre 4 km3, pari a una quarantina di grandi bacini artificiali). Effetti si avranno anche (ma in molte aree sono già evidenti) nell’incremento dei dissesti sui versanti costituiti da materiali instabili depositati dai ghiacciai in regresso. Anche l’aspetto paesaggistico dell’alta montagna e la sua capacità di attrarre turisti e alpinisti verrà sicuramente ridimensionato.

I dati raccolti dalla stazione meteorologica automatica AWS1 Forni (foto), la prima stazione fissa su un ghiacciaio italiano installata sui Forni nel 2005 dal  Comitato Ev-K²-Cnr, nell'ambito del progetto SHARE (Station of High Altitude for Research on the Environment), in cui rientrano altre 10 stazioni meteo a quote comprese fra 2.600 e 5.050 metri sul livello del mare,  e dal Dipartimento Ardito Desio dell’Università di Milano, gestita in collaborazione con il e l’AEM (Azienda Energetica di Milano), confermano come la prima parte dell’inverno 2006-2007 sia stata anormalmente calda e secca, favorendo il prolungamento del periodo di fusione del ghiacciaio. 

“I dati mostrano un inverno con condizioni, almeno finora, del tutto anormali sul ghiacciaio”, spiega Smiraglia. “ Se confrontiamo i dati rilevati fra il 10 Novembre e il 4 Gennaio con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente, diventa evidente come la situazione del ghiacciaio stia divenendo preoccupante e di come si stia verificando un’accelerazione dei ritmi di regresso con quelle trasformazioni dell’alta montagna glacializzata ben evidenti in questi ultimi anni anche agli alpinisti e agli escursionisti”.

Alla quota della stazione (circa 2700 m) fra il 10 novembre e il 4 gennaio scorsi si è registrata una temperatura media giornaliera dell’aria di -4,23°C, ben superiore ai -10,9 dello stesso periodo dell’inverno 2005-2006. Spicca anche la differenza fra i due periodi dei gradi giorno (cioè la somma dei valori termici al di sopra di 0°C ), rispettivamente 225,75 °C e  20,1° C. Da osservare anche che, mentre lo scorso anno i giorni con almeno un’ora superiore allo zero erano stati 4, quest’anno si è arrivati addirittura a 17.

Quanto alle precipitazioni nevose, le differenze sono altrettanto significative. Nel 2005 la prima nevicata è stata registrata a Ottobre ed è andata a sovrapporsi ad un accumulo preesistente di 40 cm, mentre nel 2006 la prima nevicata significativa è avvenuta solo il 20 Novembre ed è stata poco più di 10 cm.

“Il ritardo delle nevicate nel 2006-2007, unito alle temperature più elevate, - prosegue Smiraglia -   ha avuto effetti negativi sul ghiacciaio, comportando un prolungamento del periodo di fusione. Fra l’inizio di ottobre e la metà di novembre, infatti,  nei pressi della stazione si è avuta la fusione di circa 1 m di spessore di ghiaccio, che si è sommato ai  4 m del periodo inizio giugno-inizio ottobre”.

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