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I CONDANNATI A MORTE

Post n°10 pubblicato il 02 Maggio 2006 da processo
Foto di processo

Nel 1810 le leggi di soppressione schiacciarono la confraternita della Misericordia che aveva sede nella chiesa di S. Antonino al Carmine. L’arciconfraternita della Carità, Orazione e Morte ottenne il privilegio di assistere i condannati al patibolo. S. Antonino, citata nel celebre breve di Alessandro II del 1065 con un arciprete e clero ed aveva una cura d’anime, essendo chiesa parrocchiale. Nel 1533 era tenuta da un rettore che a causa della povertà delle rendite la cedette al sodalizio proveniente da altra chiesa. I confratri la tennero per circa quarant’anni e infatti nel 1573 si trova l’atto di concessione ai padri Carmelitani che da poco avevano fatto il loro ingresso a Velletri. I confratelli però tennero per i loro bisogni spirituali una cappella della chiesa che venne dedicata a S. Giovanni Decollato allorché chiesero l’aggregazione all’arciconfraternita fiorentina dello stesso titolo. I carmelitani restaurando il complesso isolarono la cappella facendone una chiesetta indipendente e è qui fino al 1810, quando venne soppressa la confraternita, che vi si seppellivano i cadaveri dei giustiziati. Il condannato più famoso che la storia dell’arciconfraternita ricordi fu il brigante Vincenzo Giovanni Battista Vendetta conosciuto nella storia come Cencio Vendetta. Le gesta di questo famoso veliterno sono state raccolte dal prof. Giovanni Ponzo nel volume “Cencio Vendetta, il brigante della Madonna” edito da Ve.La nel 1992. Vendetta dopo una criminoso inizio con l’accoltellamento di una donna alla fontana di piazza del Trivio per una questione di precedenza per prendere l’acqua, uccise sotto palazzo Graziosi (oggi Maggiorelli) in via del Comune il maresciallo dei carabinieri generali. Ormai per lui era pronta la mannaia. Escogitò un piano azzardato ma logico nella sua follia. Rubò l’immagine della Madonna delle Grazie nella basilica cattedrale di S. Clemente e con essa ricattò il governo pontificio per ottenere la grazia per lui, per il fratello Antonio e una pensione di cento scudi al mese per aprire un banco al mercato. Le trattative per la restituzione della sacra immagine iniziarono subito dopo il furto, fu il delegato apostolico mons. Luigi Giordani a trattare con il brigante. La notizia del furto arrivò fino al pontefice che disse che avrebbe concesso la grazia solo dopo la restituzione della Madonna. Il brigante si irrigidì e solo dopo una sommossa popolare consegnò al vescovo suffraganeo Vitali la Madonna venendo arrestato sotto il portone del palazzo dei Conservatori in piazza del Comune. Il tribunale criminale di Roma il 25 agosto 1858 lo condannò alla pena capitale perché responsabile di altri reati, ma principalmente dell’omicidio del maresciallo Antonio Generali. Il ricorso immediatamente presentato dalla difesa venne respinto il 27 novembre, vano fu l’appello alla sacra consulta che il 22 luglio 1858 confermò la condanna di primo grado. Venne tentato anche il ricorso al sommo pontefice ma questi rifiutò la grazia. La mannaia cade sulla sua testa il 29 ottobre 1859 in piazza del Trivio per mano del famigerato boia Mastro Titta. Vendetta aveva rifiutato in carcere i conforti religiosi dei confratelli della buona morte che accettò solo qualche minuto prima della sua esecuzione.

 

 
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