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La Madonna della Carità

Post n°11 pubblicato il 02 Maggio 2006 da processo
Foto di processo

Pesante l’eredità  che viene dal glorioso passato che vi abbiamo raccontato. Traendo spunto da esso fin dai primi anni novanta è partito un cammino di rinnovamento e di rinascita che ci ha portato ai traguardi odierni. Quando lo scrivente è stato aggregato anche l’arciconfraternita veliterna, stava per essere schiacciata da quella fase di oblio iniziata come abbiamo detto dopo il 1870. La perdita dei beni e la morte degli aggregati ci ha fatto trovare il sodalizio amministrato da un gruppo di benemeriti confratelli che con tenacia e abnegazione lo avevano traghettato fuori dalle rovine della guerra e nonostante la loro non più giovane età  continuavano in attesa di consegnarlo alle future generazioni. Così è stato dopo il 7 agosto 1988 quando padre Italo Mario Laracca mi impose l’abito arrivarono le adesioni convinte e fattive di Stefano Scopino (1989), Emanuele Vidili (1990), Umberto Galante (1992), Teodoro Beccia (1994), Andrea Zaccagnini e Emiliano Battisti (1995), Paolo Cellucci (1996). Le fila cominciavano a rinvigorirsi e i nostri grandi vecchi con gli occhi velati dall’emozione iniziavano ad istradarci lungo il cammino di una vita confraternale consapevole e responsabile .Ci diedero subito la massima fiducia cominciammo subito a fare esperienza esercitando alcuni incarichi che poi divennero nostri una volta avuti i requisiti necessari. Ricordo come grazie al Fr. Quirino Gasbarri, oggi guardiano ad onorem, imparai a fare il maestro dei novizi. Fu lui ad insegnarmi tradizioni, consuetudini e regole che sono il tesoro della nostra nobile istituzione. Sull’altare della Chiesa di S. Apollonia c’è come abbiamo detto una bella immagine della Madonna fatta dipingere dalla N.D. Agnese di Castelluzio per volontà testamentaria. Il suo esecutore Angelo Sorci il 10 maggio 1491 diede commissione alla bottega di Antonio Aquili meglio conosciuto come Antoniazzo Romano. Il popolo veliterno prese subito a venerarla e col passare del tempo, identificandola col titolo del sodalizio, prese a chiamarla Madonna della Carità. Padre Italo Mario Laracca nella sua interessante monografia sulla chiesa di S. Martino dice che in precedenza questa immagine era posta sull’altare maggiore dove fu tolta nel 1547 per fare posto al tabernacolo di marmo per il SS.mo Sacramento. La festa era fissata la “Domenica in Albis” (la prima dopo Pasqua) e si celebrava con grande solennità. Nel 1838 il cardinale Bartolomeo Pacca vescovo e governatore di Ostia e Velletri riformò la festa e la spostò alla prima domenica di settembre con la processione alla vigilia. In questa occasione venne realizzato il meraviglioso trono processionale ligneo oggi perduto.Nel 1796 dovrebbe essere accaduto qualcosa di straordinario nella chiesa di S. Martino. Perché tra le lettere componenti l’epistolario privato del cardinale Stefano Borgia si trova menzionato un presunto movimento degli occhi della sacra immagine. Ma il grande porporato veliterno invitava alla prudenza dicendo che poteva essere un riflesso del cristallo che proteggeva l’immagine.Dall’epistolario del cardinale Stefano Borgia

A Giovanni Paolo Borgia, Roma 27 luglio 1796

Caro Fratello,

Vi ringrazio della indicazione del numero delle confraternite. Questa mattina il sig. Giuseppe Calcagna, che è stato da me per licenziarsi, mi ha detto che l’immagine di S. Martino, che si suppone abbia mossi gli occhi, non è della Pietà, ma della Carità. Su questi prodigi non so se siasi praticata qualche legale inquisizione per asserirli con certezza. Nella mia badia di Rossilli seguì lo stesso, e vi fu grande concorso da Segni, Gavignano e tutti dicevano di aver veduto. (…..) Vedete per tanto quanto conviene andar cauti, se poi le immagini fossero munite di cristalli, potendo questi ingannare i sensi (….). Da sempre gli autori di storia locale si sono abbandonati in lunghe disquisizioni sull’attribuzione della tavola di Maria SS.ma della Carità al grande maestro romano che fu Antonio Aquili meglio conosciuto come Antoniazzo Romano. Nella bottega di piazza della Cerasa si lavorò in serie perché, utilizzando come linea guida il prezioso lavoro del prof. Antonio Paolucci edito nella collana “I gigli dell’arte”, si resta ammutoliti davanti alle straordinarie similitudini iconografiche tra la tavola di Velletri ed altre dell’artista. Proprio da questa stranezza, inizieremo questo tentativo di comparazione per arrivare a dimostrare, se i fatti ci daranno ragione, che la Madonna della Carità è il prodotto di uno splendido lavoro di copiatura in serie. La prima opera con cui porremo a confronto la Madonna di Velletri è l’affresco di Santa Maria del Bonaiuto a Roma. Si tratta di un’opera di recente sottoposta a restauro ma in povere condizioni di conservazione. Quest’affresco, datato 1476, rappresenta una tappa importante della vita artistica di Antoniazzo, qui secondo a quanto dice Francesco Negri Arnoldi si vedono le prime influenze di Domenico Ghirlandaio. Nonostante le consistenti incongruenze cromatiche la composizione stilistica e strutturale riporta d’impatto alla tavola di Santa Apollonia. Differenziando solo nell’espressione del viso, siamo davanti ad un Bambino con la stessa capigliatura bionda con boccoli, guance paffute e occhietti vispi, il piccolo di Santa Maria del Bonaiuto non ha il velo che copre il ventre ma una tunichetta che lo riveste. La Madonna invece ha gli occhi aperti e non socchiusi come la Vergine della Carità ma la stessa composizione del viso così anche quella delle mani che tengono il piccolo ritto sulle ginocchia. Identica la mano destra che cinge le spalle del bambino. La mano sinistra differisce solo dalla posizione delle dita. Completamente diverse le mani del Bambino, nella tavola di Velletri il Cristo tiene la mano sinistra benedicente e la destra poggiata su quella della madre, nell’affresco romano tiene la destra poggiata al ventre e con la sinistra prende una sorta di velo che cinge le spalle della madre. L’affresco di Santa Maria del Bonaiuto potrebbe essere il cartone originale con cui Antoniazzo ha lavorato producendo in serie delle Madonne con Bambino praticamente identiche. Ci potrebbe smentire la sola esistenza di opere precedenti al 1476, ma conoscendo l’oculatezza del prof. Antonio Paolucci francamente ne dubitiamo. Scorrendo il catalogo artistico di Antoniazzo dobbiamo fermarci a considerare l’affresco staccato di San Nicola in Carcere databile intorno al 1484. Francesco Negri Arnoldi considerava quest’affresco importantissimo per ricostruire il percorso pittorico di Antoniazzo, qui il compianto critico vedeva influenze toscane riconducibili al pennello del Beato Angelico e di Piero della Francesca. Importante è per la nostra comparazione perché in questa occasione si possono riscontrare similitudini iconografiche e compositive. Siamo ugualmente in presenza di un trono dove la Vergine vi è seduta tenendo sulle ginocchia il figlio. Le differenze saltano agli occhi alla prima superficiale osservazione. L’affresco di S. Nicola in Carcere presenta una vergine con il viso praticamente identico alla Madonna veliterna, gli occhi sono rivolti verso il basso quasi a contemplare il bambino, le mani al contrario della Madonna della Carità sono aperte, l’una sulle ginocchia che sfiora il piede sinistro del piccolo e l’altra la tiene sulla schiena a differenza del piccolo di Velletri, questo è imbracato ed ha una capigliatura diversa da quella del Bambino veliterno, più riccia e più folta. Anche l’espressione del viso è diversa. Sono simili però i panneggi sulle ginocchia della madre e la composizione del manto è la stessa. Straordinariamente simile alla Madonna della Carità, quasi identica, è la Madonna in trono fra i Santi Pietro e Paolo riconducibile al 1488 tre anni prima dell’esecuzione della tavola di Velletri. Mettendo a confronto le due opere si resta letteralmente allibiti dalla loro somiglianza se non fosse per qualche divergenza cromatica e qualche lieve differenza iconografica, potremmo dire che una delle due è stata copiata dall’altra. La mano di Antoniazzo inizia a maturare dopo aver acquistato esperienza e sapienza tecnica, in questa tavola assistiamo ad un mutamento stilistico del maestro che in precedenza si era fatto influenzare nella sua pittura dal linearismo un po’ aspro di Benozzo Bozzoli, alla misura astrattiva di Piero della Francesca oppure dal naturalismo di Domenico Ghirlandaio, fino ad adottare la tenerezza sentimentale degli umbri. Proprio quest’ultima sembra calzare a pennello per la Madonna della Carità che al solo sguardo trasmette tenerezza e la comprensione di una madre. La Madonna in trono e la Vergine veliterna presentano praticamente lo stesso panneggio sulle ginocchia, fino a raggiungere l’identica cromatura. Nei due quadri le ombre coincidono perfettamente sembrano fatte nello stesso momento. La Madonna ha un manto bordato con una greca che cade nello stesso modo di quello della Madonna della Carità formando le stesse pieghe sulla fronte. Stessa è la composizione del viso. Lo sguardo rivolto verso il bambino con materna bontà mentre le mani cingono le spalle del figlio nello stesso modo differenziandolo solo dall’apertura delle dita. Il piccolo è molto più alto di quello veliterno, guarda chi ha di fronte con gli occhietti ben aperti e le guance rosse e paffutelle. Il bacino è coperto con un velo trasparente tenuto a fiocco dalla Madre con la sua mano sinistra. La destra del piccolo è benedicente mentre la sinistra è infilata sotto il manto della madre. Continuando ad esaminare il catalogo delle opere di Antoniazzo si trovano sempre delle straordinarie similitudini con la tavola di Velletri. Quindi l’unica conclusione plausibile che la Madonna della Carità sia opera del grande maestro del quattrocento romano.



 
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