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Il non-finito
Post n°65 pubblicato il 11 Luglio 2006 da SaggiaFollia
Il non-finito è una modalità esecutiva assai frequente nell'arte moderna, legata al concetto di forma, che è quello che nel '900 ha subito le modifiche più macroscopiche. Tradizionalmente si attribuisce all'Impressionismo di fine '800 il definitivo superamento del concetto di forma, intesa come qualcosa di concreto che ha dei precisi confini delimitanti, perchè è l'Impressionismo che porta la forma ad essere un nucleo di chiaroscuro dissolto nell'ambiente atmosferico, soggetto ad un processo dinamico in continuo cambiamento, qualcosa di evanescente in una pittura che aveva abbandonato il segno, nella quale, come diceva Cezanne, era necessario "costruire col colore", anche se proprio Cezanne si oppose alla distruzione totale della forma nell'Impressionismo estremo di Monet, alle sue figure stemperate nella luce, unico, vero tema delle sue opere mature. La forma, non più costretta nel disegno, sottratta alle leggi della raffigurazione, dà luogo ad immagini sospese, incompiute, attraverso il non-finito come scelta volontaria e consapevole, unico modo per esprimere anche il non-detto (dall'artista), oppure, se preferiamo, il non-visto (dall'osservatore), un non-finito, quindi, di valenza fisica e psicologica, un modo per porre delle domande e sollecitare delle risposte, perchè più il discorso dell'artista è incompiuto ed indefinito, più sollecita lo spettatore a completarlo e ad interpretarlo. E' un tema che ha sempre esercitato un grande fascino sugli artisti, Francesco Hayez esegue nell' '800 un "Autoritratto in un gruppo di amici" dove solo i loro volti si definiscono nitidamente, mentre tutto il resto sfuma in un accattivante gioco di finito-non finito che costituisce il motivo di maggior forza del quadro, Medardo Rosso modella le sue morbide sculture in un complesso non-finito in chiave impressionista, Auguste Rodin accentua con il non-finito la drammaticità espressionista delle sue figure, Antonio Gaudì costruisce all'inizio del' '900 la Sagrada Familia, opera non-finita, intenzionalmente incompiuta per una precisa scelta architettonica, opera aperta, tappa di un processo artistico e psicologico in continuo divenire, sempre in corso d'opera e perciò eternamente incompleta. Ma in realtà il non-finito parte da più lontano, da Michelangelo, che fa del non-finito il vero e proprio tema delle sue opere più suggestive e moderne, una per tutte la "Pietà Rondanini", eseguita in più versioni, dove la forma perde contorni e confini, diventa “informe”e lascia spazio da protagonista alla materia, un altro dei grandi temi cari a Michelangelo, che con la materia aveva un rapporto fisico viscerale e sensuale, che amava la materia prima ancora delle statue straordinarie imprigionate dentro di essa, che lui liberava con lo scalpello (“Non ha l’ottimo artista alcun concetto, che il marmo in sé già non contenga”). Gilbert Lascault individua il piacere davanti all'opera d'arte "nello sfumato, nello sfilacciato, nel disperso, nell'impuro, negli abbozzi di descrizioni di particolarità che si rifiutano di venire generalizzate", un piacere lontano dalle certezze, radicato nella polimorfa eterogeneità della cultura moderna, dove è sempre più difficile definire, catalogare, affermare, e dove il non-finito appare più che mai espressione perfetta di una società in mutamento, mai uguale a sè stessa, non-finita, anzi mai-finita. In foto: Michelangelo, Pietà Rondanini
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