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Angiolino Fabbri, un artista burattinaio

Post n°746 pubblicato il 19 Dicembre 2014 da fabbri.giancarlo
 

Mio padre Angiolino, in una mia foto, e un suo poetico sermone in dialetto scritto attorno al 1948

Mio padre Angiolino, in una mia foto, e un suo poetico sermone in dialetto scritto attorno al 1948

Pianoro (Bologna)

Angiolino Fabbri, deceduto a 87 anni il 23 dicembre 1994, era mio padre e in occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa ne ricordo la figura di burattinaio, di scrittore e di artista, “di campagna” come si definiva lui stesso. Nato in Pian di Macina frazione di Pianoro nel 1907, da una famiglia di muratori, artigiani e commercianti.
Abbandonati gli studi magistrali, per una malattia che lo condusse alla sordità, si dedicò alla gestione dell’osteria di proprietà della famiglia. Diventò imbianchino dipingendo e decorando le pareti di casa propria; poi amici e vicini, visto che ci sapeva fare, iniziarono a chiamarlo per rinfrescare le loro case. Già allora disegnava e dipingeva per sé e per amici ritratti, madonne o soggetti storici. Modellò anche alcune statue di cui una, dedicata a San Bartolomeo e inaugurata nel 1928 con una festa, si trova tuttora a Campeggio di Monghidoro.
Come burattinaio Angiolino Fabbri debuttò a Bologna, nella compagnia del fratello Nello, sostituendo uno degli artisti ammalato; fu un successo con l’autore della commedia, presente in sala, che volle congratularsi con loro. Nacque così la Compagnia “Fratelli Fabbri”, che per decenni diede voce alle teste di legno spostandosi nelle località della provincia bolognese. Con Angiolino che dipingeva anche gli scenari e scriveva commedie; ma nel dopoguerra, con l’avvento della televisione, anche quest’arte, un tempo molto popolare nella nostra regione, è decaduta.
Cessata l’attività di burattinaio l’artista, residente a Rastignano dal dopoguerra, riprese a dipingere, tanto che eseguì più di un migliaio di opere. Angiolino, uomo schivo e modesto, non volle mai esporre i suoi lavori in gallerie d’arte. Parenti, amici e anche collezionisti possiedono molti dei suoi dipinti che, in gran parte, raffigurano le nostre campagne o scene di vita agreste; ultimamente era diventato geloso delle sue opere e se ne separava malvolentieri. Si mise poi a scrivere racconti, relativi a fatti curiosi o a persone della Pian di Macina di tanto tempo fa, tuttora pubblicati sul periodico “L’Idea” di Pianoro.
In occasione del primo anniversario della morte era stato ricordato nella prestigiosa “Strenna storica bolognese” con una ricerca dell’etnologo Gian Paolo Borghi, che gli aveva già dedicato alcuni articoli sulla rivista “Città e paesi”. Si era trattato del riconoscimento postumo di un artista che ai suoi burattini, quando entravano in scena, non dava solo il movimento e la voce nascosto dall’alto “casotto”; dava tutto sé stesso.

 
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