Creato da fabbri.giancarlo il 08/08/2012
Giancarlo Fabbri giornalista freelance

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Messaggi del 27/01/2014

Alla Mura un sogno di cinque piani; quattro fuori

Post n°514 pubblicato il 27 Gennaio 2014 da fabbri.giancarlo
 

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San Lazzaro (Bologna)

Alla Mura San Carlo di San Lazzaro (Bologna) il cohousing è al tetto mentre solo quattro mesi fa stavano solo gettando le fondamenta. Il cohousing di cui parliamo è infatti un sogno di cinque piani, dei quali uno interrato, tutto di legno a eccezione delle fondazioni. Si tratta di un edificio sorto all’angolo tra le vie Samoggia e Seminario, come prima casa ecologica condominiale condivisa, solidale e antisismica. Un’iniziativa dell’associazione “È/cohousing” per riproporre in modo innovativo, aggiornato ai nostri tempi, una delle forme più antiche di aggregazione umana come modello sociale, economico e di valori.

L’idea era già nata quattro anni fa, tra amici ecologisti, resa possibile dalla costituzione della “Cooperativa Co-Housing Mura San Carlo” che aveva infine vinto il bando, comunale, per l’assegnazione del terreno in diritto di superficie. Lotto dove in precedenza sorgeva parte della cosiddetta “Casa Andreatta”, al 68 di via Galletta, demolita poi sostituita da due edifici con sviluppo verticale di proprietà comunale.

Come ci aveva spiegato a suo tempo Massimo Giordano, presidente dell’associazione, si stanno completando 12 alloggi, tutti privati, da 93 o 72 metri quadri di superficie con molti spazi comuni, attrezzature e servizi condivisi. Si va dalla lavanderia alla sala musicale, dalla stanza laboratorio per il bricolage all’officina per piccole riparazioni con attrezzi in comproprietà, fino a una sala mensa comune con cucina per pranzare o cenare insieme, quando se ne ha voglia, con un giardino da 600 metri aperto sul parco pubblico senza alcuna recinzione.

L’intento è di promuovere l’idea di vita solidale che prevede percorsi di integrazione sociale con il territorio, anche con “banca del tempo”, l’adozione del verde, attività culturali e sportive collaborando con le realtà singole o associative che già operano sul territorio. Per questo è stata firmata una convenzione che prevede, invece del pagamento in moneta degli oneri di urbanizzazione, la realizzazione nel parco della Pace di un campo polivalente per basket, tennis e volley. E l’impegno, per vent’anni, di realizzare attività culturali a favore della frazione. «Il cohousing – precisava Giordano – è il condividere spazi, attrezzature e risorse per la socializzazione e la cooperazione tra le persone».

 
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Uno, cento, mille Sant’Antonio col porcello

Post n°513 pubblicato il 27 Gennaio 2014 da fabbri.giancarlo
 

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Nella foto da sinistra il collezionista Pierluigi Benassi e la storica Laura Fenelli

Pianoro (Bologna)

Se uno cita Sant’Antonio l’altro potrebbe chiedere: «quale dei due?» riferendosi ovviamente ai santi “da Padova” e “abate”. Scoprendo poi, grazie a una mostra allestita nel Museo di Arti e Mestieri “Pietro Lazzarini” di Pianoro, e alla conferenza di Laura Fenelli svoltasi il 25 gennaio, che di santi Antonio abate  ce ne sono una caterva. Da quello in saio monacale col bastone a “T” (il Tau egizio), attorniato da vari animali, a quello in abiti vescovili con mitra e bastone pastorale.

La conferenza della storica dell’arte medievale e la mostra di santini, con centinaia di Sant’Antonio abate del collezionista Pierluigi Benassi di Monteacuto Vallese (San Benedetto Val di Sambro), ha dimostrato che col tempo il santo leggendario, eremita nel deserto egiziano tra il III e IV secolo dalle troppe reliquie sia stato utilizzato modificandone figura e venerazione a seconda di paesi, usi, costumi e necessità.

Con la mostra che sarà visitabile a ingresso libero, fino al 16 febbraio, il sabato e la domenica dalle 15 alle 18. Informazioni: 051.6529105; info@museodiartiemestieri.it; pierluigibenassi@acantho.it.

Laura Fenelli, studiosa di iconografia religiosa e agiografia, è autrice di due libri sul tema: “Il tau, il fuoco, il maiale. I canonici regolari di sant’Antonio abate tra assistenza e devozione” (Cisam, Spoleto, 2006) e “Dall’eremo alla stalla. Storia di sant’Antonio abate e del suo culto” (Laterza, Roma-Bari, 2011). Dalle ricerche emerge infatti che il santo, cambia ruolo e immagine con un trasferimento di reliquie. La cassa con le sue ossa arriva, nell’XI secolo, nel sud della Francia e Antonio diventa patrono di un potente ordine di canonici regolari, gli antoniani, destinato a diffondersi in tutta Europa.

Con gli antoniani che pretendono il monopolio del culto per il santo, anche per motivi economici, per i tanti che nei secoli si rivolgono al santo chiedendo la grazia e, soprattutto, la guarigione dal fuoco sacro. Gli antoniani erano infatti ospedalieri che si dedicavano all’accogliere e curare i malati affetti dal fuoco sacro, o fuoco di Sant’Antonio. Con Antonio che diventa taumaturgo, padrone del fuoco, che guarisce dalla malattia, ma anche, se offeso, vendicarsi e punire».

Come poi mostrano i santini di Benassi – definito “il re dei santini” dato che ne possiede alcune migliaia – la devozione popolare infine trasforma l’asceta eremita in un santo contadino, protettore degli animali, venerato nelle campagne e nelle stalle. Con tra il pubblico che ha assistito alla conferenza anche lo scrittore e studioso della cultura contadina e montanara, Adriano Simoncini, a ricordare che in occasione della festa del santo, il 17 gennaio, con la benedizione degli animali i parroci di campagna consegnavano anche un fiocchetto rosso da appendere nelle stalle… contro il malocchio; non si sa mai.

 
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