Creato da Ferdinandobiferali44 il 13/03/2014

Silvio Antonini

Parole, suoni e altro dalla Tuscia

 

 

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Antonio Bacciocchi, STATUTO 30, LA RIBELLIONE ELEGANTE. La recensione

Post n°5 pubblicato il 31 Marzo 2014 da Ferdinandobiferali44
 
Foto di Ferdinandobiferali44

 

Antonio “Tony Face” Bacciocchi, Statuto 30, La Ribellione elegante, Biografia modernista a più voci, Milano, Vololibero, 2014, pp. 125, € 13,00.

di Silvio Antonini

“Dopo dieci anni ho rivisto l'amico Bob, con una giacca di cuoio con scritto su Giorno per giorno io vivo: io sono un mod. Era firmato da Bob, uno dei mods". Nel 1965, agli inizi dell’epoca beat italiana, esce questo brano, Uno dei mods, di Franco Migliacci, cantato da Ricky Shayne, per enfatizzare il conflitto che si consumava in quel periodo per le strade della Gran Bretagna. Da una parte i rockers, evoluzione dei teddy boys del decennio precedente, perciò motociclisti con giacche di pelle e atteggiamenti da duri, che in quegli anni, tra l’altro, iniziavano ad assumere posizioni conservatrici e razzisteggianti, a dispetto della musica nera ascoltata e del fatto che a Genova, ad esempio, fossero stati proprio i teds a scatenare gli scontri nel luglio 1960 contro il Congresso Msi. Dall’altra parte i mods, abbreviazione di modernists, contraddistinti, invece, per lo stile e l’eleganza, i parka (quest’inverno tornati di gran moda), gli scooters italiani come mezzo di trasporto, la passione per la musica soul e una visione sociale e politica tendenzialmente progressista. Il brano citato è, quindi, fuorviante: la giacca di cuoio era un capo rocker, come conciato da rocker era il cantante stesso. Da noi, infatti, nonostante il soul avesse trovato subito dei valorosi interpreti, della cultura mod all’epoca arrivò solo qualcosa nel look, confuso però con il beat dei primordi, e poco altro.

Con la fine degli anni Settanta, sempre in Gran Bretagna, il punk azzera tutto e apre la strada a quel revival delle varie culture stilistiche e musicali, compresa quella mod, che caratterizzerà l’ultimo quarto del XX Secolo. Questo è il retroterra che permette, nel 1983, la formazione degli Statuto, dal nome della piazza di ritrovo dei mods torinesi. Siamo negli anni in cui in Italia vedono l’apice la new wave, e, più nel sottosuolo, un punk hardcore politicizzato, detto anarcopunk, destinato a fare scuola in tutto il mondo. Da lì gli Statuto non si sono mai fermati, attraversando, sostanzialmente indenni, trent’anni di cultura musicale, e non solo, italiana, con quel cerchio tricolore proprio dei mods che inizialmente creava qualche disagio, giacché lo si ricordava come stemma dei sambabilini. Andiamo dal periodo del riflusso, passando per il boom dei Centri sociali, fino ad arrivare ai giorni nostri, cioè alla smaterializzazione della musica e al post-contemporaneo, non senza incomprensioni e dissidi del resto inevitabili.

Quando in Italia si dice mod non si può non pensare all’aspetto e ai balletti sul posto del frontman Oskar Giammarinaro, così come quando si dice ska revival non si può non pensare agli Statuto che ne sono stati tra i principali esponenti, ispirati soprattutto dai Madness di cui hanno ripreso movenze e caratteri. Se lo ska ha rappresentato la cifra fondamentale, non sono mancati, tra cover, traduzioni e pezzi originali, il pop, le ballads e, soprattutto, il soul, di non facilissima esecuzione, perché solitamente comporta l’uso di fiati, archi e una notevole estensione vocale.

Nella loro immagine pubblica, gli Statuto hanno ricoperto un ruolo singolare. Smentiscono nei fatti il cursus honorum che Alberto Arbasino ha riservato inesorabilmente ai personaggi pubblici “Giovani promesse - soliti stronzi - venerabili maestri”. Quella statutaria non è infatti la classica biografia del gruppo partito come militante che una volta venuto in contatto con la mondanità rivede il tutto; e si potrebbe elencare una serie infinita di nomi. Gli Statuto non si sono mai sottratti ai passaggi televisivi - si pensi al Sanremo 1992 -, ai contratti con le majors discografiche, così come alle collaborazioni, le più curiose, con i nomi mainstream, o ex tali, senza per questo ritrattare le proprie posizioni originarie. Seppur non ideologico, quello degli Statuto è infatti un impegno quanto mai politico, nell’accezione etimologica del termine, poiché riguarda tutte le problematiche della polis: ambiente (contro la Tav, nella fattispecie), lavoro, razzismo, repressione etc.

Siccome, poi, “A Torino c’è una squadra che si chiama il Torino”, non si può tralasciare la passione granata del gruppo, dichiarata in diverse canzoni e praticata con una costante vicinanza al mondo ultrà. Si pensi anche al sostegno dato alla battaglia contro la Tessera del tifoso.

Questa biografia, a cura di Antonio Bacciocchi, musicista, produttore e scrittore, si divide in capitoli destinati alle diverse fasi storiche della band, in cui all’introduzione dell’autore fanno seguito le testimonianze dirette dei componenti della band. In appendice, gli affettuosi omaggi degli amici.

Ad arricchire la pubblicazione, infine, un denso apparato fotografico dove gli Statuto sono ritratti, nel corso degli anni, sempre e comunque elegantemente rudi.

 

 

 
 
 
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