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IL RAPPORTO INVESTIGATIVO NON HA EFFICACIA PROBATORIA

Foto di Avv.FAZZARI

Il Tribunale di Milano rifiuta l’acquisizione del rapporto investigativo prodotto in giudizio, facendo una panoramica sulle prove atipiche e sulla loro ammissione nel processo.

Capita spesso che per dimostrare i profili di addebito nella separazione, infedeltà o altre condotte, la parte si rivolga ad un’agenzia investigativa la quale espletata l’attività, redige un rapporto che successivamente sarà portato davanti al giudice.

E’ discussa la valenza probatoria di questo tipo di documentazione. Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante il rapporto investigativo non ha di per se valore probatorio dei fatti che vengono narrati. I documenti formati dall’investigatore possono essere qualificati come «scritti provenienti da un terzo» e costituiscono una prova atipica. Le prove atipiche, che sono quelle non incluse nel catalogo codicistico, sono ammesse nel nostro ordinamento, ma non possono essere utilizzate per aggirare divieti o preclusioni sostanziali o processuali, cioè per introdurre elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o per la cui ammissione sono necessarie adeguate garanzie formali.

Che valore probatorio hanno nel processo le scritture provenienti da terzi? Dottrina e giurisprudenza attribuiscono a questo tipo di prova, il valore di presunzione semplice ex art. 2729 c.c. o di argomento di prova (Cass. Civ. n. 18131/2004, Cass. Civ n. 12763/2000, Cass. Civ. n. 8/2000, Cass. n. 4821/1999).

Se il documento in se in se ha valore “neutrale” può costituire un indizio, anche se deve essere supportato da altri elementi probatori (Cass. Civ. n. 23554/ 2008).

Se invece il documento è a contenuto testimoniale allora deve essere acquisito al procedimento mediante prova orale affinchè acquisti valore probatorio, altrimenti si aggirerebbero le norme poste a garanzia dell’andamento processuale. Infatti, il legislatore ha ammesso la testimonianza scritta solo mediante modi e forme tipizzate dall’art. 257 bis c.p.c. Secondo i giudici milanesi, il fatto di introdurre nel processo dichiarazioni di terzi aventi funzione testimoniale, formate fuori del processo, vuol dire violare le norme del “giusto processo”, perché la deposizione scritta entrerebbe nella lite giudiziale senza controllo del giudice e senza il contraddittorio delle parti.

Non c’è dubbio che i rapporti investigativi siano documenti redatti a sostegno delle tesi di una delle parti, e pertanto abbiano una funzione testimoniale. Qui l’ordinanza del Tribunale di Milano compie un ulteriore passo: non è sufficiente la richiesta di prova orale che confermi in blocco il contenuto del documento, ma è necessario che il terzo investigatore sia in grado di narrare fatti precisi, circostanziati e chiari che abbia appreso con la sua percezione diretta.

 
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