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Anonimo il 17/09/06 alle 13:35 via WEB
LE CENERI DI ORIANA FALLACI
Giovedì notte, a Firenze, è morta Oriana Fallaci. Da qualche giorno l’intero mondo dei media, tv e giornali, leva un coro attorno al suo nome. Un coro il più delle volte formale, fatto d’ipocrita cordiglio, a volte di deliranti e infamanti parole, che neanche di fronte a un cadavere riescono a non palesare l’imbecillità di una certa cultura, e di alcune menti spente. Ma è anche un coro di voci lucide e commosse, come quello che appare sulle pagine di Libero, o nello speciale di Matrix. Un coro che si estende a tutte le dichiarazioni – mai come in questo caso visibilmente imbarazzate – dei politici.
È un coro, quello che in queste ore si leva, che forse lei, Oriana, avrebbe chiamato un coro di cicale: un risuonare, stupido e irritante, di voci senza coraggio, di anime svilite in corpi coi cuori vuoti e con le pance piene.
Per fortuna, alla fine di tutto, come sempre, resta la verità. Il vento e il silenzio fanno piazza pulita dell’inutile e dello sporco.
Alla fine, adesso, resta un intellettuale quale la nostra piccola Italia ha conosciuto solo raramente; resta la forza di una scrittura che nelle pagine della nostra letteratura ha fatto capolino solo in un qualche rado verso del passato; resta la lucidità coraggiosa di una storica – perché così Oriana amava definirsi in quanto giornalista vera – che guarda in faccia il presente, senza battere ciglio, sicura che sarà il presente a farlo, non reggendo il suo sguardo. Resta, soprattutto, l’immagine di una donna-guerriera, guerriera con la penna e attraverso la forza della ragione.
Resta, imperitura, la testimonianza di un intellettuale che finalmente non rimane chiuso nella torre d’avorio – presidiata da appoggi politici sinistri – della sua mediocrità. Un intellettuale davvero e finalmente politicamente non-corretto, popolare, dalla cui bocca non vediamo sbavare ideologie preconcette o mosci giudizi sulla terribilità del mondo. Un intellettuale quale lo è stato PierPaolo Pasolini, con la medesima intelligenza critica, con lo stesso indomito coraggio da cavaliere medievale. Pasolini diceva, e ne fu vivente testimonianza, che un intellettuale, quando è sincero e appassionato, è sempre scandaloso, per definizione. Perché vede il dato oscuro delle cose, e lo denuncia. Oriana Fallaci è stata senza dubbio l’intellettuale più scandaloso, in senso pasoliniano, del nuovo Millennio. L’unica scrittrice luterana e corsara del Duemila, in Italia.
Perché Oriana Fallaci ha visto il lato cieco del reale: la faccia nascosta della luna, altrimenti visibile solo da un satellite sull’altro lato del globo. La faccia che gli altri non vedono o non vogliono vedere. O, se la vedono, dicono di non vederla.
Troppi, nell’ascoltare le sue parole, hanno guardato il dito indicante, invece del lato invisibile della faccia lunare. Hanno guardato alla scrittura di Oriana come a una semplice “invettiva”. Ma per favore. Ciò che la scrittura e l’opera giornalistica della Fallaci hanno violentemente posto in primo piano, e all’attenzione del popolo, è il fatto che l’Occidente sta divenendo debole, un’identità friabile. E, divenendo tale, pone in gravissimo pericolo la sua essenza. E quella altrui.
Provo un misto di schifo, rabbia, pena e ribrezzo nei confronti di quanti l’avevano oltraggiata, in vita, e ora persino in morte. Lei, che con tanta lucida crudeltà ha saputo fotografare e descrivere il reale, dava (e continua, a dare, ancora) voce, fierezza e coraggio a tanti – ma anche fastidio a troppi. In Europa, specie in Italia, vige il principio marxista della mediocrità istituzionale. Le eccellenze vanno elise, tarpando loro le ali. Specie nel campo della cultura, luogo gramscianamente egemonico di certe tendenze.
Per questo, l’angelo-ribelle Oriana dava fastidio ai troppi illusi, stupidi idioti, che sventolando bandiere arcobaleno pensano – dal ’68 a oggi – di fare gesti in favore dell’umanità; figli di papà che da 40 anni cianciano di povertà, nichilisti della domenica col bancomat. Ai troppi politici inetti, codardi, disonesti e meschini – che altro non hanno saputo fare che snobbarla, rifiutandole il dovuto riconoscimento (foss’anche solo per le sue imprese giornalistiche) di senatore a vita. Perché un intellettuale come la Fallaci scuote le coscienze, dice il vero e lo dice intero, non velato. E questo dà fastidio – ancora – a molti; nonostante le tante lacrime coccodrillesche scorse in queste ore. Vigliacchi.
La Fallaci dà fastidio ai comici inutili e scemi come Sabina Guzzanti, che grazie agli appoggi politici di un papà in Forza Italia gioca a fare la comunista, inetta in qualsiasi arte teatrale, “oca crudele”. Ai pagliacci come Roberto Benigni, servo del potere; ai giullari come Dario Fo, che in un tempo minimamente civile avrebbe ricoperto il ruolo che nel Medioevo era quello proprio del giullare: due salti per ricevere in ginocchio una nocciolina dal Sovrano seduto sul trono, e che nella nostra era nefanda si leva invece a giudice morale di uno scrittore della levatura di Oriana Fallaci.
Taccia questo cicalio insopportabile.
Oriana Fallaci, con la sua forza dirompente di scrittrice appassionata, di donna con negli occhi gli occhi della Storia, spazza via quella brodaglia culturale che dalla caduta del Fascismo si è imposta nella nostra piccola Italia nelle forme del sinistrismo idiota, del buonismo, dell’attendismo, del relativismo. Del nichilismo, insomma.
Perché Oriana Fallaci, nella sua lunga, complessa carriera di scrittura, manda in cortocircuito sia la destra che la sinistra, non piacendo a nessuno. Se non al popolo. Ed è qui che un intellettuale vero si distingue dal finto ideologo nella sua attività “ermetica” e masturbatoria, da talk show: quando fa vibrare le corde dell’umano, toccando ogni cuore.
Oriana Fallaci ha detto. Con forza, interamente e chiaramente. Ha detto totalmente e perfettamente che oggi l’Islam è il nostro nemico. E l’accorgimento (giusto), che nota che non tutto l’Islam è terrorista e omicida, qui non serve: non vale. Perché il messaggio di cui lei (da sola!) si è fatta interprete sapiente è troppo urgente. Se si muore di una febbre, il bollettino medico non precisa che vi sono febbri non mortali. Perché ne va del malato.
Ma per parlare così serve coraggio, passione, talento, ispirazione. Ed è raro che tutte queste cose coabitino in un solo scrittore. Accade poche volte in un secolo, come qualcuno diceva con la voce rotta ai funerali di Pasolini.
Pasolini moriva ucciso dalla stupidità di un gruppo di neo-fasciscti in una sudicia nottata omosessuale sulla spiaggia di Ostia. Oriana Fallaci muore in un ospedale della sua Firenze, di ritorno da un esilio, quasi forzato, nella capitale mondiale New York.
Oggi mi faccio una domanda, fortissima, che mi accompagna senza resa: senza Oriana Fallaci avremmo davvero capito l’11 settembre? Io, personalmente, credo di no. Perché lei ne intuì per prima, con quella sua intelligenza selvaggia e rigorosissima, la portata storica e antropologica. Contro (e non dopo) l’11 settembre, lei, splendida e guerriera, si è alzata come una fenice dalle ceneri del silenzio in cui aveva scelto di rimanere per dieci anni nel suo esilio newyorchese.
Lei è stata Cassandra e Pantesilea. Profetessa e guerriera, ha strillato, lottando con lo scrivere, che “Ilio brucia!”, come diceva Cassandra giorni prima che la città venisse assediata e distrutta. Ma Ilio, nel suo discorso, è l’Occidente.
Come Nietzsche, in maniera altrettanto “inattuale”, Oriana Fallaci ci ha diagnosticato che l’Occidente patisce una malattia mortale. E questa malattia mortale è il nichilismo, quel non-rifiutare la morte, ma anzi averne il culto, che lei vedeva – non senza ragioni – realizzato nell’Islam contemporaneo.
Altro che ceneri di Gramsci. Le ceneri di Oriana Fallaci, davvero, continuano a bruciare come quelle di un eroe. Un eroe vero.
Atea cristiana. Atea grazie a Dio. Chi legge come degli ossimori queste autodefinizioni della Fallaci sbaglia. Lei era troppo intellettualmente onesta e troppo coraggiosa per non ammettere che il Dio si manifesta a noi proprio nello scandalo della sua assenza. E quello che ci rimane di fronte è lo smarrimento di una domanda più grande di noi stessi. Domanda che non deve essere risolta. È essa stessa, già, teofania. Questa è l’essenza dell’Occidente che Oriana-Cassandra ha denunciato stare perdendosi in una poltiglia di pensiero debole, permissivismo, dimenticanza delle radici, multiculturalismo, progressivismo cieco, relativismo nichilista.
Fiero e commosso. Così mi voglio sentire di fronte alla sua morte. Fiero di averla ascoltata, letta, forse compresa, di certo apprezzata. Commosso dal destino totale che ha cavalcato con indomito coraggio e sapientissimo rigore. Perché un grande scrittore si vede dallo stile: dal suo modo di usare la punteggiatura. E Oriana Fallaci aveva un grandissimo, fortissimo stile. Nella pagina come nella vita.
Da oggi con maggior ardimento, con più passione e più disciplina, allora, torniamo alle sue pagine per declinare la forza della ragione. Abbiamo il coraggio, innanzi alla Storia e persino innanzi alla morte, di provare due cose, sole due cose, in quanto esseri umani: rabbia e orgoglio.
Abbiamo il coraggio di essere uomini. Perché, come lei diceva dandoci forse la cifra di tutto il suo scrivere – non c’è niente di peggio del nulla.
Bruciano splendendo le ceneri eroiche di colei che oppose, con la penna, la vita al nulla; di colei che oppose alla Storia uno sguardo pieno di rabbia e di orgoglio; e, alla morte, fino alla fine, la dignità terrestre e guerriera di essere uomo, di essere nati. Perché essere nati è un irredimibile miracolo. Forse è questo il suo messaggio ultimo, che non cessa di risuonare.
Cesare Catà
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