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(PERCHE') A QUALCUNO (NON) PIACE (PIU' IL) CAL...CIO 3

Post n°564 pubblicato il 09 Ottobre 2014 da mrjbigmat

D’accordo con mia moglie, avevo deciso prima di partire, che Riccardo avrebbe dovuto sapere, per la delicatezza e la gravità di quello che era successo, tutto sotto forma scritta. Avere il tempo e il modo di usare le parole giuste, senza possibilità di errore avrebbero più che compensato la mancanza di un contatto diretto al momento. Decido allora, anche per combattere la Salerno-Reggio Calabria, di dargliela in quel momento.

Quando gli dico di che si tratta, butta i Miss Fraulein metaforicamente, ma nemmeno tanto, nel cesso, mi strappa la lettera dalle mani e comincia a leggere.

(AGGIUNTO ADESSO. ALTRIMENTI VI SARESTE PERSI)

 

“Adorato Riccardo,

prima o dopo avresti conosciuto il segreto, l’ignoranza del quale tanto ti tormenta. Sei un ragazzo intelligente e sensibile. Era normale che non ti bastassero, non ti convincessero le spiegazioni che ti sono state finora fornite. Ho deciso di scriverti per due motivi. Innanzitutto, voglio essere io, tua madre, a farti sapere quello che è successo nella tua famiglia. Per questo motivo, nell’eventualità che mi succeda qualcosa prima, lascerò scritto dove potrai trovare queste righe.

Non voglio, poi, che ci siano parole inopportune o omissioni, che sempre ci sono in un racconto orale. Troppe parole dannose e inutili si sono fatte sull’avvenimento.

Gli avvoltoi dallo stomaco vuoto e dalla vita piena solo di noia e frustrazione ci si sono buttati da par loro. Può bastare.

Io non c’ero, ma è come se ci fossi stata. Puoi immaginare, in un paesino come P., un fatto come quello che ti sto per raccontare fece parlare per mesi e mesi, per anni. Quando conobbi tuo padre erano passati quattordici anni da quel giorno, ma quando arrivai per la prima volta in paese mi accorsi che persino i muri gridavano di dolore e volevano raccontare una storia. Ed era quella.

L’ho sentita tante di quelle volte, ma ogni volta era diversa. Come tutte le cose, si arricchisce di particolari, involontari o voluti, immaginati o solo sognati. Alla fine credo che sia andata così.

 Era una giornata perfetta, una domenica di maggio del 1935. Non c’era una nuvola in cielo, i ciliegi erano in fiore, la natura straripava, accecando con i suoi colori. Sembrava che Dio stesse dicendo: godete, ballate, amate. Di più non so darvi.

Ma forse qualcuno non regge a tanta bellezza. O chi lo sa che cosa.

La tavola era imbandita, non erano molte le occasioni di festa in quei tempi, la guerra era prossima e il regime di lì a poco si sarebbe preso anche l’oro delle mamme. Ma quello era un giorno speciale, era il compleanno di tua nonna Lisa, faceva 40 anni ed era una contadina solare e piena di vita. Era felice e orgogliosa dei suoi figlioli, che le giocavano attorno e ogni tanto correvano a abbracciarla. Attorno, seduti, c’erano tutti i parenti e gli amici. Per cominciare, si aspettava solo tuo nonno, che, stranamente, tardava.

Finalmente arrivò. Era strano. Accigliato, lui che sorrideva sempre.

Si diresse verso la moglie, la baciò, poi indietreggiò di qualche passo e le sparò tre colpi in pieno petto. Puntò il fucile verso i suoi due figli, tuo padre e tuo zio, ma non ce la fece a sparare; si mise la canna del fucile in bocca e si tolse la vita.

Alcuni dei presenti dissero di aver sentito un boato come se il cielo stesso ne fosse stato ferito e poi le gocce violente di un acquazzone. Le lacrime di Dio.

Ma, in realtà, non una sola goccia cadde quel giorno dal cielo, le uniche gocce furono di sangue. Fred le guardava scivolare nel bicchiere in cui l’acqua, come nella parabola, diventava vino.

Gli occhi di Mike diventarono di cenere. Fu come se la vita di tuo padre si fosse bruciata in quell’istante. Dalle parole che ho ascoltato, ho capito un’altra cosa: i due fratelli, abbracciati nel sangue della mamma, si scambiarono una parte di se stessi, diventando due parti complementari di uno stesso uomo. Ognuno dei due rubò all’altro una parte, la meno accentuata, che andò a aggiungersi a quella più sviluppata, creando due uomini a una sola dimensione, due pezzi omogenei, due monoliti, incapaci di cambiare.  

Tuo padre e tuo zio, quel giorno, diventarono una sola persona  . Sono il bianco e il nero, due facce di una stessa medaglia. Sono gli elementi contrari che ogni essere umano ha dentro di sé e che, in situazioni normali, si mescolano agli altri elementi, venendone così stemperati e rimanendo abbozzati o latenti. La disgrazia ha reso ognuno dei due l’esasperazione assoluta di quello che l’altro gli ha trasferito in quel momento. Poi, certo, anche gli eventi successivi sono stati determinanti, ma sono convinta che sia nato tutto là. Qualcuno dice di aver visto una luce quando i due si sono stretti la mano, ma io penso che sia stata la suggestione del momento.

La morte li ha uniti una prima volta, la morte li ha separati momentaneamente e la morte li ricongiungerà per sempre  .

Quando cadde a terra, dalla tasca di tuo nonno, riverso a terra, scivolò via una moneta da 5 cents  , sfiorò appena la pozza di sangue che si era formata vicino al cadavere e si mise a girare su se stessa come una trottola. Tuo padre la lasciò scorrere, non la vide o non la volle vedere. La moneta girò per attimi che sembrarono eterni e in tutta la campagna si sentiva solo il tintinnio del metallo e dell’aria smossa dalla rotazione della moneta. Tutti gli occhi si incollarono su quei 5 cents che sembravano non volersi fermare mai e che ruotando avanzavano lasciando una scia rossa di sangue. Si fermarono solo quando arrivarono fra i piedi di Fred che la raccolse e la mise in tasca. Qualcuno fece in tempo a notare che la moneta aveva unito nel suo cammino il sangue del nonno a quello della nonna.

Questo è tutto.

Vedo Jacopo improvvisamente cresciuto. Come se avesse aspettato da sempre questa notizia per lasciare la sua prima adolescenza.

“E poi che successe?”

“E’ la stessa domanda che feci io a tua nonna. Tuo nonno e zio Fred si trasferirono dalla sorella della nonna, zia Vera. Erano due ragazzi, uno di 14 anni e l’altro di 12. Avevano appena assistito alla cosa più tremenda che a un bambino possa capitare: l’adorato papà che uccide la tua mamma. Cosa ci può essere di peggio?

Gli zii erano brava gente, tutta lavoro e casa. Li accolsero benissimo, ma erano diversi: nulla che non fosse materiale aveva importanza. Tuo nonno non fece fatica ad assimilare quella mentalità, sentiva oltretutto di non poter fare diversamente. Abbandonò presto la scuola e si mise a lavorare con una determinazione feroce: voleva diventare subito indipendente e sentiva la responsabilità del fratello Alfredo, come lo chiamava lui. La tragedia aveva sbattuto fuori dalla realtà, il più piccolo dei due. La protezione di papà permise a zio Fred di diventare quello che poi è diventato, ma allo stesso tempo lo condannò a rimanere fuori dal mondo.

Papà non ne parlò mai con nessuno. Come nessuno per tanto tempo ha mai saputo che, di nascosto, si recava in un centro di igiene mentale dove conobbe tua nonna, che lì lavorava come psicologa. Mamma mi disse che papà le fece immediatamente l’impressione dell’ostrica, che nasconde dentro la conchiglia il gioiello. Ma nessuno riuscì ad aprire mai quella conchiglia. Solo lei riuscì a intravedere per pochi attimi la perla  .

Nemmeno zio Fred ne parlò mai, ma per lui era diverso. Per zio Fred non era successo niente. I genitori erano morti in un incidente stradale dopo la più bella giornata della loro vita: il compleanno dei 40 anni della nonna.

Una volta cercai di saperne di più da lui, gli chiesi di questa giornata speciale. Zio Fred mi disse più o meno le stesse cose che tu hai appena letto, poi al momento tragico me la raccontò così.

“Arrivò mio padre, bello e sorridente come sempre, noi gli corremmo incontro e lui ci abbracciò forte. Ci fece vedere il suo fucile, ci disse che potevamo stare tranquilli che era scarico. Poi ci baciò come sempre e andò a sedersi vicino a mia madre. Baciò anche lei e iniziammo a mangiare. Alla fine del pranzo le regalò un anello per il suo compleanno”.

 
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