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Post n°563 pubblicato il 09 Ottobre 2014 da mrjbigmat

2 capitolo

Quello che mi è sempre risultato incomprensibile è come era possibile     che lo stesso evento, all’epoca non sapevo quello che era successo, ma l’atmosfera mi rendeva sicuro che qualcosa di terribile era accaduto, gli stessi genitori, il medesimo ambiente, avessero prodotto mio padre e zio Fred, vale a dire due fratelli senza niente in comune, come se fossero uno il negativo dell’altro. Era qualcosa che mandava all’aria anni di teorie sull’importanza del codice genetico nello sviluppo di un essere umano, ma nello stesso tempo anche quelle sull’importanza dell’ambiente in cui si sviluppa la personalità. Era un mistero.

Che mio padre fosse il figlio maggiore e quindi portato ad assumersi tutte le responsabilità quando morirono nell’incidente   stradale i nonni, all’epoca questo era quello che mi veniva risposto alle mie domande insistenti, e loro due furono affidati agli zii, a questo ancora ci arrivavo. Ma non bastava. Non bastava a spiegare una diversità così totale, quasi matematica. Come se uno fosse un numero pari e l’altro un numero dispari. I dispari sparigliano ciò che i pari hanno l’illusione di mettere in ordine.

Zio Fred aveva un modo sarcastico quando si rivolgeva al fratello, ma la verità era, lo capii molto tempo dopo, che nutriva per lui un amore e un rispetto sconfinati. Lo considerava una specie di eroe silenzioso, uno di quelli che sacrificano la vita, quello che zio Fred considerava degno di essere considerato vita, per la sopravvivenza di chi gli sta vicino. Era un esempio troppo grosso per lui, per imitarlo, e poi non c’era bisogno di un altro come papà. E, soprattutto, non ne sarebbe stato capace. Anche mio padre adorava zio Fred, penso lo vedesse come un cucciolo indifeso, inadatto a schivare gli agguati della vita.

Zio Fred viveva con noi. Era una persona splendida. Aveva il cuore di un bambino, ma il cervello di un genio  .

Era strano vedere quest’uomo così colto, di un’intelligenza acutissima, perdersi completamente quando si trovava alle prese con elementari problemi pratici. Non era raro vedergli abbozzare un sorriso quando avrebbe dovuto irritarsi o viceversa prenderla male a sproposito. Non perché era sciocco, assolutamente no, ma aveva difficoltà a rapportarsi agli altri; non teneva conto dei rapporti di forza, degli atti dovuti, per lui non esistevano: esisteva solo l’atto puro, da fare o no indipendentemente dall’interlocutore. Tendeva ad accettare tutto quello che gli si diceva negli argomenti che lo interessavano poco, anche quando sapeva di avere di fronte un mentecatto, ma non mollava un millimetro sulle questioni che gli stavano a cuore.

Sulle questioni pratiche aveva l’ingenuità che devono aver avuto gli indigeni davanti ai primi conquistadores.

Ricordo di aver letto che in una lingua africana esiste una parola intraducibile nelle altre lingue con un solo termine e che significa più o meno: uomo che lascia correre (perdona) le prime due offese, ma non la terza. Ecco, zio Fred è così. Solo che le volte che lasciava  correre erano più di tre, a volte anche decine. Poi, però, quando arrivava l’ultima si allontanava senza dire niente, semplicemente perché non gli andava più di frequentare quella persona. Non era un giudizio parte sua, è che non ci sarebbero state più le “condizioni di verità”, come le chiamava lui. In realtà, zio Fred non chiudeva mai, non era in grado di chiudere, di troncare qualcosa  , e allora si allontanava perché sapeva che non si sarebbe riuscito a comportare come avrebbe richiesto la situazione. A volte, chi lo vedeva colloquiare con uno di quelli da cui si era allontanato, lo giudicava falso. Ma non era così: la verità è che zio Fred era incapace di non essere gentile con chi era gentile con lui. Era un aspetto del suo carattere che odiava, per lui era solo vigliaccheria.

Parlo al passato perché sono tutte cose che appartengono al passato: zio Fred, adesso, si è isolato, vive in campagna con i suoi cani; due volte a settimana va una donna a fare le pulizie. Insieme al postino che gli porta i giornali è l’unico contatto che ha con il mondo. A parte quando scendiamo noi ovviamente. La sua famiglia.

 Mi insegnò l’importanza della lettura. “La grandezza di un libro, di un bel libro, è che tu hai la possibilità di parlare con i migliori. O meglio, i migliori parlano a te.

L’essere “autenticamente splendido dostoevskjano”, che fa accadere le cose senza la minima coscienza di essere lui a provocarle, che parla senza capire perché, dopo averlo fatto, tutti lo guardano con stupore. Un alieno.

Era diverso da tutti, dotato di una sensibilità speciale, disinteressato alle cose materiali, ingenuo, capace, come tutti i timidi, di improvvise e pericolose aperture verso gli altri. Aperture di cui si sarebbe pentito dopo qualche tempo perché pochi, anzi nessuno poteva capire l’Idiota di Dostoeveskij. Estraneo alla vita, la vita gli era estranea. Inadatto ecco. Viveva come una persona capitata sulla terra per caso, privo di un qualsiasi senso pratico, anche minimo.

Le uniche cose che teneva in conto erano la libertà e la lealtà, anche se ammetteva di non aver risolto la contraddizione fra le due.



 

 
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