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Post N° 600

Post n°600 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pianosindaci
Foto di pianosindaci

5.3 La Banca d’Italia nello scenario attuale e futuro
La Banca d’Italia è parte integrante del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) che ha al vertice la BCE, organo che ha in esclusiva la definizione della politica monetaria unica per tutti i paesi membri dell’UEM.

La Banca d’Italia può in sostanza definirsi una delle filiali della BCE. A questo risultato si è giunti per tappe con l’adeguamento della legislazione italiana alle disposizioni del Trattato e dello Statuto del SEBC. L’adeguamento definitivo dello Statuto è avvenuto nel marzo del 1998[19] e le modifiche sono state recepite da un decreto presidenziale alla fine del mese successivo.

Il ruolo della Banca di Italia è ancora in evoluzione, e va ad inserirsi in un quadro molto coerente e complesso. Ciò scaturisce dal disegno di legge di riordino delle Authority, dal decreto per le liberalizzazioni del ministro Bersani, negli accordi per creare la Borsa Globale, nella nuova direttiva MiFID[20]: un sistema monetario fondato sulla moneta elettronica completamente nelle mani delle banche private, un unico ente centralizzato che ha il potere di decidere la politica monetaria, rigorosamente indipendente da tutto e da tutti, liberalizzazione della contrattazioni dei titoli, e la creazione di una serie di autority che controllino il settore finanziario.

Il 2 febbraio 2007, appunto, il Governo ha approvato il disegno di legge che interviene a modificare il sistema composto dalle Autorità indipendenti.

Nella “relazione illustrativa” del disegno di legge di riordino delle Authority si legge, in materia di vigilanza: “ Secondo il nuovo disegno, la Banca d’Italia diventa il soggetto regolatore e vigilante unico in materia di stabilità degli operatori (bancari, assicurativi, finanziari), mentre la Consob è regolatore unico in materia di trasparenza e di informazione al mercato (quindi anche sull’offerta dei prodotti assicurativi e pensionistici). L’Isvap, la Covip e l’UIC sono soppressi e le competenze attuali sono ripartite tra BI e Consob (ciò si giustifica anche in ragione degli assetti proprietari delle assicurazioni e della componente finanziaria dei nuovi prodotti assicurativi). “

L’articolo 8 del decreto legislativo di riordino delle Autority, trasferisce quindi alla Bankitalia le competenze dell’UIC (Ufficio Italiano Cambi), nonché quelle dell’Isvap[21] e Covip[22], da condividere con Consob[23]. Alla Banca d’Italia andranno ancora poteri di controllo e vigilanza sugli intermediari, i quali tuttavia avranno molta più libertà nel gestire la collocazione dei titoli sul mercato. Le Banche d’Affari potranno, in maniera indipendente, creare una borsa valore e vendere Titoli, accompagnati da un quadro di sintesi che spiega l’offerta pubblica: saranno le Banche stesse a fare i controlli e non più Consob per esempio, ma senza acquisire alcuna responsabilità nell’emissione.

Il 27/01/2007 Fulvia Novellino scrive, su Rinascita,[24] un articolo sullo scenario futuro offerto alla nostra banca centrale: “A rendere la Banca d’Italia un Istituto meramente burocratico è stata l’Unione Europea, con la creazione della Banca Centrale Europea, al cui interno è stato concentrato il potere della politica monetaria, uno dei più potenti e fondamentali poteri che uno Stato detiene nell’esercizio delle funzioni che gli conferisce il popolo.

Le banche centrali nazionali sono state così retrocesse a stanza di compensazione, a organo burocratico delle stesse banche private, con poteri di vigilanza senza esercitarli completamente.

La Banca di Italia sarà così l’ente burocratico dell’alta finanza, più che un Istituto di emissione monetaria in quanto la sola moneta emessa sarà delle Banche private, ed era alquanto anacronistico pensare di rendere pubblico un’entità che comunque non può essere controllata dallo Stato. La moneta ormai è destinata a perdersi nei circuiti internazionali, i titoli nella Borsa Globale, e le leggi nelle direttive comunitarie: la nuova usura sarà l’essere solamente un utente.

I banchieri hanno così costretto a far scegliere al governo tra pagare ventitrè miliardi per l’acquisto delle azioni, cosa assolutamente impossibile visto lo stretto controllo dell’OCSE[25] e della UE sui conti pubblici, e chiudere il contenzioso con le liberalizzazioni e il decreto per creare le borse valori delle banche (MIFID).”













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[1] DE MATTIA R , Storia del capitale della Banca d’Italia e degli istituti predecessori, Banca d’Italia, Roma (1977)

[2] La Nazionale sarda era nata dalla fine del 1849 dall’attuazione di un disegno unificatorio alla cui accettazione aveva concorso Cavour sia presso gli amministratori e i principali azionisti che presso il governo piemontese, prima ancora che egli stesso ne entrasse a far parte.

[3] Circa il mutamento della denominazione sociale le fonti tacciono. Non vi fu un provvedimento specifico che sancì il cambio della ragione sociale.

[4] Nel 1870, con l’ingresso degli italiani in Roma, la Banca degli Stati Pontifici (fondata nel 1850) cambiò la ragione sociale in Banca Romana: la sua liquidazione , decretata nel 1893, fu affidata alla nuova Banca d’Italia, che la concluse nel 1912.

[5] Tratto da http://www.cronologia.it/mondo28s.htm

[6] Tratto da http://digilander.libero.it/afimo/breve_storia_di_bankitalia.htm

[7] Consob: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

[8] Statuto della Banca d’Italia , 2006 ; Approvato con delibera dell’Assemblea generale straordinaria dei partecipanti al capitale del 28 novembre 2006, approvata con D.P.R. 12 dicembre 2006 (G.U. n. 291 del 15 dicembre 2006)


[9] R & S, Ricerche & Studi di Mediobanca, 2003, pag. 1.149

[10] La Grassa è stato docente di Economia nelle Università di Pisa e Venezia fino al 1996. Convinto marxisista. Da anni scrive libri e ha pubblicato innumerevoli articoli su varie riviste italiane e straniere

[11] LA GRASSA G.(2007), Finanza o metastasi polico-culturale? , in EFFEDIEFFE giornale online.

[12] L'Istituto per la Ricostruzione Industriale (o IRI) era un ente pubblico nato nel 1933 per volere dell'allora governo fascista per salvare dal fallimento le principali banche italiane, ossia Banca Commerciale Italiano e Banco di Roma.

[13] Inps: Istituto nazionale di previdenza sociale

[14] A.B.I., Associazione Bancaria Italiani, costituita nel 1919.

[15] Aduc: Associazione a difesa dei consumatori e utenti

[16] ovvero Belgio, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia

[17] DE CHIARA A. e SARNO L., Dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale d’Europa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, (2001)


[18] Tratta dal sito ufficiale della BCE, http://www.ecb.int/ecb/orga/capital/html/index.it.html

[19] D.lgs. 10 marzo 1998, n. 43

[20] MiFID: Markets in Financial Instruments Directive

[21] ISVAP: Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo.

[22] COVIP: Commissione di vigilanza sui fondi pensione.

[23] CONSOB: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. Vigila su ogni promoter e si occupa dell'apposito Albo.

[24]NOVELLINO F. , Bankitalia e moneta elettronica, tratto da qui

[25] OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.


postato da Sal @ 19.59

TESI - Il Signoraggio (CAP.2)

IL SIGNORAGGIO

1.LA NASCITA DEL SIGNORAGGIO
Il Signoraggio è un termine che deriva dal francese "seigneur", che in italiano significa "signore". Nel Medio Evo infatti erano i signori feudali i titolari del diritto di battere moneta e i beneficiari del guadagno che ne derivava. Oggi gli economisti intendono per signoraggio, i redditi che la banca centrale e lo stato ottengono grazie alla possibilità di ricreare base monetaria in condizioni di monopolio.

Nell'antichità, quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, chiunque disponesse di metallo prezioso poteva portarlo presso la zecca di stato, dove veniva trasformato in monete con l'effigie del sovrano. I diritti spettanti alla zecca e al sovrano erano esatti trattenendo una parte del metallo prezioso. Il signoraggio in tale contesto è dunque l'imposta sulla coniazione, noto anche come diritto di zecca. Il valore nominale della moneta e il valore intrinseco delle monete non coincidevano, a causa del signoraggio e dei costi di produzione delle monete.

L'imposta sulla coniazione poi serviva a finanziare la spesa pubblica. Nel caso in cui lo stato possedesse miniere di metallo prezioso, il signoraggio coincideva con la differenza tra il valore nominale delle monete coniate e i costi per estrarre il metallo prezioso e coniare le monete. Già con i romani, da Settimio Severo[1] si può parlare di signoraggio: questo imperatore dimezzò la quantità di metallo prezioso contenuto nelle monete, mentre lasciò invariato il valore nominale.

Ma le vere origini del signoraggio risalgono al 27 luglio 1694, quando il massone e banchiere londinese William Paterson fonda con alcuni fratelli la prima banca centrale al mondo: la Old Lady of Threadneedle Street, meglio conosciuta come Banca d'Inghilterra.

Non si tratta della prima banca in assoluto, perché già nel 1163 a Venezia esisteva un Monte fruttifero privato creato per favorire il commercio, per non parlare del Banco (o Casa) di San Giorgio del 1407 a Genova, vera e prima banca pubblica d'Europa.

La Banca d'Inghilterra è invece la prima Banca Centrale al mondo; la prima che stampò 1.200.000 sterline («notes of bank»), corrispondenti al debito di 700.000 sterline-oro che il Re Gu­glielmo d'Orange aveva contratto proprio con essa. In pratica ha iniziato l'attività comprando il debito della Corona.

Proprio inerente alla Banca d’Inghilterra possiamo citare un passo di un famoso critico dell’economia politica, Karl Marx, che nel 1885 scriveva, nella sua opera Il Capitale[2] , a proposito di questa banca centrale:

“ Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta con cui la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato . A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa. “

La banca di Paterson si trovava quindi, oltre ad essere proprietaria di un capitale sul quale percepiva gli interessi, a disporre di una massa monetaria fittizia non corrispondente a nessuna ricchezza reale, con la quale può intraprendere fruttuose operazioni finanziarie o concedere prestiti sui quali percepire altri interessi.

Per il governo inglese, che rinuncia a battere cartamoneta in proprio, comincia così la lunga e mai terminata sequela di interessi da versare alla banca, e per l'economia inglese è consentita la circolazione di denaro inventato, col quale illegittimamente si promuovono speculazioni finanziarie. L'esempio inglese, nei secoli successivi, è seguito da tutti i governi del mondo, fino alla situazione attuale, in cui nessun popolo è proprietario della moneta che utilizza, e dove tutti sono debitori delle banche private che battono moneta. Le banche, nel momento stesso della loro nascita, iniziano a creare moneta fittizia culminante con l'immensa massa di denaro virtuale oggi circolante nel mondo, dando vita a una colossale truffa ai danni dei popoli.

Emblematica è anche una frase detta nel 1773 da Amschel Mayer Rothschild, massimo finanziere tedesco, il quale dichiarava “la nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici. Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e quindi, sempre di più sotto il nostro potere”.

Ancora è possibile citare Maurice Allais, Premio Nobel per l’economia nel 1988 per i suoi contributi determinanti per la teoria dei mercati e l'utilizzo efficiente delle risorse, che disse: “l'attuale creazione di denaro operata ex nihilo dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. In concreto, i risultati sono gli stessi. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto" [3].


2.IL SIGNORAGGIO OGGI
Storicamente, abbiamo visto che il "signoraggio" era il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effigie impressa sulle monete, la purezza e il peso dell'oro e dell'argento. Ogni cittadino poteva infatti portare alla Zecca metallo prezioso per farlo trasformare in denaro e il sovrano tratteneva, come signoraggio, una percentuale del metallo.

Ciò che viene oggi indicato come "reddito monetario" in effetti non è altro se non l'antico signoraggio. Se dunque un ente statale si prendesse la briga di stampare moneta, diffonderla, controllare l'operato degli Istituti bancari, certamente sarebbe legittimo istituire una tassa per coprire le spese necessarie al buon funzionamento di quell'ente. Ma la dimensione del moderno signoraggio va ben al di là di una semplice tassa. Il reddito monetario di una banca di emissione è dato infatti dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa, sostenuto per la produzione del denaro.

Esempio in “soldoni” del signoraggio[4]:

“Lo Stato prende in prestito una banconota da €100 euro dalla Banca Centrale e la «paga» con una «obbligazione» da €100. A fine anno dovrà «drenare» dalla popolazione quei €100 per restituirli al legittimo proprietario (che è il Banchiere Internazionale), più gli interessi, diciamo un 2,5%. La Banca Centrale ha stampato quella banconota spendendo (tutto compreso) 30 centesimi di euro (quindi era solo un pezzo di carta, una merce come un altra, come un biglietto del cinema) mentre la banconota da €100 (+2,5%), che lo Stato restituisce alla Banca Centrale, l'ha tolta a noi ed essa è frutto del nostro lavoro, delle nostre fatiche, del nostro sudore, insomma è pregna di valore e impegno umano! La Banca Centrale è una tipografia e si comporta come se fosse la padrona della banconota!

Ergo: il signoraggio su una singola banconota è di €102,5 - €0,30 = €102,2 “



3.SOVRANITA’ MONETARIA
Dall’epoca della Rivoluzione americana e francese è principio fermo in ogni democrazia e comune convinzione che la "sovranità" non appartiene al monarca ma esclusivamente al popolo. Così è in tutte le democrazie liberali dell’occidente. L’Italia non fa eccezione infatti l’art.1 della nostra Costituzione stabilisce: "La sovranità appartiene al popolo il quale la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Per sovranità popolare si intende il potere politico nella sua radice primigenia, da cui traggono legittimazione il potere legislativo (il Parlamento), quello esecutivo (il Governo) e quello giudiziario (la Magistratura).

Derivazione diretta della sovranità popolare è la sovranità monetaria che determina il potere di chi detiene il controllo del credito e della moneta.

La moneta dovrebbe nascere di proprietà del cittadino, perché è lui che, accettandola, ne crea il valore. Purtroppo nella realtà non è così, perché il popolo, e quindi lo Stato, non detiene il potere di emettere moneta; potere che è stato delegato ad “altri”.

Nel momento in cui la moneta viene messa in circolazione dalla Banca centrale, sarebbe necessario che essa diventasse di proprietà di tutti i cittadini, i quali hanno contribuito in un modo o nell'altro alla crescita dell'economia reale.

E’ il popolo che produce, consuma, lavora, fa girare l’economia. Tutte queste attività ed altre ancora sono alla base della vita economica del paese e perciò sembra logico che i benefici derivati dalla messa in circolazione della moneta non debbano essere un'esclusiva di pochi banchieri bensì vadano distribuiti a tutti quei soggetti che concorrono nella vita economica del paese.

Come spiega il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila Bruno Tarquini in un suo libro[5], il popolo ha perso la sovranità monetaria. Contrariamente a quanto accade nel rapporto tra Stato e cittadini con l'emissione dei titoli fruttiferi, in quello che viene a stabilirsi tra Stato e la Banca Centrale, con l'emissione della moneta bancaria (banconota), si coglie in tutta la sua drammaticità la rinuncia da parte dello Stato alla sovranità monetaria ed al conseguente esercizio del potere di "battere moneta"; si avverte sopratutto la stranezza di una situazione che poteva trovare una valida giustificazione in altri tempi, quando la moneta aveva un proprio valore intrinseco perché costituita da pezzi coniati in metalli pregiati, o quando essa, pur rappresentata da simboli cartacei, aveva tuttavia una copertura nelle riserve auree o argentee delle banche: allora era frequente che il re o il principe (cioè lo Stato), non avendo a propria disposizione risorse finanziarie (metallo pregiato) per sostenere, ad esempio, le spese di una guerra, ricorresse ai banchieri per ottenere i necessari prestiti.

Ma nell'attuale momento storico, in cui la moneta è costituita soltanto da supporto cartaceo, privo di qualunque copertura aurea o valutaria[6], non si comprende la ragione per la quale lo Stato debba richiedere ad un apposito istituto bancario privato il mutuo, sempre oneroso, di banconote create dal nulla e prive quindi di ogni valore intrinseco, trasferendogli in tal modo, con la sovranità monetaria, non solo il potere di emettere moneta, ma anche il governo di tutta la politica monetaria, attraverso il quale, come si è già esposto, non può non influire in maniera assolutamente determinante su tutta la politica economico-sociale del governo nato dalla volontà popolare.

Peraltro è bene sapere che lo Stato, oggi, per mezzo dei propri stabilimenti della Zecca, provvede alla creazione ed alla messa in circolazione di tutta la monetazione metallica, del cui ammontare (anche se di modestissimo valore rispetto a tutto il circolante cartaceo di banconote) esso non è debitore di nessuno, tanto meno della privata Banca d'Italia. Così come, fino a pochi anni fa, provvedeva, nello stesso modo, alla creazione ed alla messa in circolazione di carta moneta di cinquecento lire e, prima ancora, anche di mille lire (figura 2) ,

Figura n.2 - banconota da 500 lire stampata dallo Stato[7]


neanche in relazione delle quali ovviamente sorgeva in capo allo Stato alcuna obbligazione di restituzione né di pagamento di interessi, poiché di esse lo stesso Stato non si indebitava, provvedendo direttamente alla loro creazione ed alla loro immissione in circolazione.


4.VALORE INDOTTO DELLA MONETA
Il Professore Giacinto Auriti[8] ha effettuato molti studi sul signoraggio, proponendo un rilevante esperimento sulla moneta complementare e ha elaborato un'originale e discussa teoria riguardante la moneta.

Questa teoria si esprime col concetto di valore indotto della moneta.

Secondo Auriti la moneta è una fattispecie giuridica. Due sono state infatti le definizioni date della moneta: valore creditizio e valore convenzionale. Poiché convenzione e credito sono fattispecie giuridiche, non v'ha dubbio che la moneta costituisca oggetto della scienza del diritto.

L'ostacolo di fronte al quale tutti i monetaristi si sono trovati basa sull'errore iniziale di non aver definito la moneta come fattispecie giuridica e lo stesso diritto come strumento o bene esso stesso: come espressione cioè di un valore proprio diverso da quello del bene oggetto del diritto.

Su questo equivoco iniziale si è preteso di giustificare il valore monetario sulla base della riserva d'oro, confondendo e spacciando sotto la parvenza di valore creditizio il valore indotto, ossia configurando la moneta come titolo di credito rappresentativo dell’oro.

Secondo Auriti questa tesi è clamorosamente errata perché basata su una concezione materialistica del valore. Quando si parla dell'oro si concepisce il cosiddetto valore intrinseco come una proprietà del metallo. Anche l'oro ha valore non perché sia tale, bensì perché ci si è messi d'accordo che lo abbia.

In breve anche il valore intrinseco altro non è che valore indotto.

Siccome questo metallo è stato considerato tradizionalmente come simbolo monetario, per consuetudine gli è stato attribuito il valore indotto. Ciò significa che anche l'oro ha valore per il .semplice fatto che ci si è messi d'accordo che lo abbia. Poiché la convenzione è una fattispecie giuridica ed ogni unità di misura è convenzionalmente stabilita, la materia prima per creare moneta è esattamente la medesima che serve per creare fattispecie giuridiche, e cioè spazio e tempo; tempo è la previsione normativa, ovvero il giudizio di valore corrispondente alla titolarità del diritto e spazio è la materia con cui si manifesta (la cosiddetta forma del diritto). Questo elemento materiale può essere l'oro o qualsiasi altro simbolo di costo nullo, come carta ed inchiostro.

Da ciò si evince che il valore della merce utilizzata come simbolo monetario è del tutto irrilevante.

Per comprendere le differenze fondamentali tra moneta e credito basta muovere dalle seguenti considerazioni:

1) il credito si estingue col pagamento, la moneta continua a circolare dopo

ogni transazione, perché, come ogni unità di misura è un bene ad utilità ripetuta;

2) nel credito, come in ogni fattispecie giuridica, prima si vuole il precetto normativo e poi lo si manifesta; nella moneta, prima si crea la manifestazione formale, cioè i simboli monetari e poi le si attribuisce il valore all'atto dell'emissione. Chi crea il valore della moneta non è infatti chi la emette, ma chi l'accetta. Come nell'induzione fisica nasce l'energia elettrica con la rotazione degli elettrodi, cosi nell'induzione giuridica nasce il valore monetario all'atto dell'emissione cioè quando inizia la fase dinamica della circolazione della moneta;

3) il valore del credito è causato dalla promessa del debitore, come avviene nella cambiale in cui l'emittente è il debitore. Il valore della moneta è causato dall’accettazione del primo prenditore perché egli sa, come membro della collettività nazionale, che gli sarà accettata da tutti i partecipi della convenzione monetaria, cioè dalla collettività che crea appunto per questo il valore indotto della moneta;

4) il valore del credito è sottoposto al rischio dell'inadempimento. il valore monetario è attuale e certo perché per l'induzione giuridica la moneta, pur essendo un ben immateriale, è un bene reale oggetto di diritto di proprietà. Poiché il valore del titolo di credito è causato dalla promessa del debitore, sottoscrivendo il simbolo monetario sotto la parvenza di una falsa cambiale, il Governatore della Banca Centrale induce la collettività nel falso convincimento che sia lui stesso a creare il valore monetario.

Pertanto il prof. Auriti arriva alla denuncia secondo la quale la Banca Centrale non solo espropria ed indebita la collettività nazionale del suo denaro, ma acquisendo la sovranità monetaria va ad usurpare anche la stessa sovranità politica.

 
 
 
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