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Post N° 602

Post n°602 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pianosindaci
Foto di pianosindaci

7.2 Trattato di Maastricht e BCE
Il Trattato sull'Unione Europea (noto come Trattato di Maastricht) venne firmato nella cittadina olandese sulle rive della Mosa di Maastricht il 7 febbraio 1992 dai 12 paesi membri dell'allora Comunità Europea, oggi Unione Europea ed è entrato in vigore il 1 novembre 1993.

Secondo alcuni studiosi attraverso il trattato di Maastricht è stato possibile trasferire il potere sovrano dei popoli europei ad un’entità virtuale, che decide per loro attraverso euroburocrati non eletti, liberi da controlli e responsabilità, scelti da poteri finanziari sovranazionali. Un trattato diretto a realizzare un governo europeo centralizzato, sul quale tali poteri possono più facilmente esercitare la loro egemonia e la loro pressione, lontano dal controllo elettorale dei popoli.

Secondo i sostenitori dell’Eurosistema il trattato sull'Unione europea (TUE) segna una nuova tappa nell'integrazione europea poiché consente di avviare l'integrazione politica. L'Unione europea da esso creata comporta tre pilastri: le Comunità europee, la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonché la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in materia penale (JAI). Il trattato istituisce una cittadinanza europea, rafforza i poteri del Parlamento europeo e vara l'unione economica e monetaria (UEM).

Le banche centrali delle singole nazioni europee, prima del Trattato di Maastricht, avevano un'indipendenza dal potere politico variabile tra il 40 e il 65 %; oggi, dopo i cambiamenti determinati dall'avvento dell'Euro, hanno raggiunto il 90%.

Dunque, mentre nessuna influenza può giungere dal potere politico alla BCE, dai vertici monetari giungono al potere politico continue indicazioni, parametri cui attenersi, precisi paletti che coinvolgono l'intera economia delle nazioni.

È davvero singolare come il Trattato di Maastricht si sia preoccupato di definire la BCE esclusivamente per ciò che riguarda la sua indipendenza.

Francesco Papadia e Carlo Santini, nel loro “La Banca centrale europea”[15], ricordano: «Dalla lettura del Trattato emerge la particolare collocazione della Banca centrale europea nell'assetto istituzionale dell'Unione europea. L'articolo 4, infatti, non la menziona tra le istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia e Corte dei conti) della Comunità. Alla Banca, però, il Trattato conferisce personalità giuridica e lo Statuto riconosce la più ampia capacità di agire in ciascuno degli Stati membri. Sotto il profilo giuridico-formale, la Banca centrale europea non è, dunque, un'istituzione comunitaria [...], i suoi atti non sono imputabili alla Comunità. La Banca centrale europea è inserita in una cornice giuridica che ne stabilisce e ne tutela l'indipendenza nell'attuazione della politica monetaria».

Ulteriore prova di come i Governi dei Paesi del SEBC abbiano perso la loro sovranità monetaria, e quindi la possibilità di influire nelle decisioni di politica monetaria dell’Ue, possiamo citare alcuni articoli del Trattato.

L’art.105 del trattato di Maastricht, infatti, prevede che “la BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità.”, e l’art.107 aggiunge che “nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti loro attribuiti… né la BCE, né una BCN, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri, né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari, nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.”

Ancora, all’art.108 A.1, si legge che “ la decisione (della BCE) è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati”. Un vero e proprio potere assoluto, in materia di politica monetaria, nelle mani della BCE che, giova ripetere, è un Ente privato sovranazionale.

A questo punto viene da chiedersi se norme di tale portata non sono in contrasto con i principi contenuti nella prima parte della costituzione italiana, specie con quello sancito dall’Art.1, dove si afferma che la sovranità appartiene al popolo.

Pertanto, le Banche centrali nazionali aderenti all’Eurosistema su autorizzazione della BCE, prestano agli Stati ed alle Banche ordinarie la moneta (l’euro) creata dal nulla (cioè senza una corrispondente copertura), richiedendo non solo il pagamento degli interessi, ma anche la restituzione del valore che l’euro medesimo ha acquistato per effetto della sua circolazione (ricordiamo che i simboli monetari entrati in circolazione, al momento dell’emissione, non avevano alcun valore, essendo stati creati dal nulla). I simboli monetari, invero, hanno incorporato il loro valore nominale, il loro potere d’acquisto, soltanto quando i popoli ne hanno accettato la circolazione (peraltro, nel caso dell’Euro si dovrebbe parlare di “accettazione imposta” e non di libera autodeterminazione di volontà).

L’Eurosistema appare quindi come una federazione di società per azioni le cui deliberazioni sono adottate dagli organi decisionali della BCE. Ad essa (cioè ad un “privato”, espressione di poteri finanziari sovranazionali) gli Stati membri hanno trasferito la propria sovranità monetaria e di conseguenza il controllo della politica economico-sociale delle nazioni.


7.3 Contabilità e debito pubblico
La banca - oggi la Banca Centrale Europea, prima la Banca d’Italia - stampa le banconote e iscrive al passivo nel proprio bilancio il loro ammontare, come se fosse una somma di proprietà della Banca e conferita da questa allo Stato.

Quindi, dal punto di vista contabile, la BCE risulta debitrice della moneta emessa, per tutto il tempo della sua circolazione; rappresentando pertanto un debito, tale moneta viene inserita fra le poste passive.

Allora, non ci si spiega perché percepisca interessi su di essa, pur essendo un debitore, visto che gli interessi andrebbero corrisposti al creditore, cioè al proprietario. Ne consegue che la BCE, essendo debitrice della moneta emessa, ne trae un utile non giustificabile, perché i veri creditori, cioè i proprietari, sono i popoli europei. Se poi si voglia assumere che la BCE è proprietaria della moneta emessa, anche prima del momento in cui la pone in circolazione (assurdo logico ed etico, in base al quale il valore della moneta non sarebbe l’effetto di una convenzione, bensì l’espressione della volontà totalitaria imposta da una struttura privata, direttamente dipendente dai gruppi di potere della finanza sovranazionale) si deve anche convenire che la medesima commette un illecito contabile allorquando la pone in bilancio fra le poste passive.

Dal Ministero del Tesoro la Banca incamera titoli di Stato e iscrive il loro ammontare all’attivo del proprio bilancio.

A questo punto tali titoli vengono “piazzati” presso le banche e gli istituti di credito che, a loro volta, li vendono ai loro clienti. Con questa operazione, la Banca centrale incassa subito sul mercato le somme che ha “prestato”allo Stato, il quale poi questi stessi titoli li rimborserà alla scadenza.

Dal canto suo lo Stato (contestualmente alla Banca centrale e per la medesima partita) iscrive al passivo nel proprio bilancio le somme che la Banca gli ha “prestato“, quelle banconote che in realtà appartengono ai cittadini e quindi dovrebbero essere iscritte all’attivo del bilancio dello Stato.

Per documentare quanto sopra si può esaminare il bilancio della Banca Centrale Europea contenuto nel Rapporto Annuale della BCE per il 2004, analizzando lo stato patrimoniale e il conto economico di gestione. Ricordo che le stesse analogie sono ripresentabili per i bilanci degli anni precedenti o successivi al 2004.
Se il bilancio 2004 fosse stato redatto conformemente alla realtà economico-giuridica , ossia alla inesigibilità verso la banca emittente delle banconote emesse, la voce passiva ‘Banconote in circolazione” dello stato patrimoniale, di oltre quaranta miliardi di Euro, sarebbe stata soppressa, e si sarebbe messa, nel conto economico, tra i ricavi, la posta “Sopravvenienza attiva € 40.100.852.165”; la quale porterebbe a un utile di esercizio di € 38.464.823.463 - utile da riportarsi nello stato patrimoniale in luogo della perdita. Anzi, l’utile di esercizio sarebbe molto maggiore, perché questa enorme variazione del patrimonio netto attivo porterebbe a ricavi proporzionalmente maggiori (circa € 1.000.000.000 al T.U.S. del 2,5%) come interessi attivi (e ciò non solo per l’anno 2004, ma anche per tutti gli anni precedenti, in cui la voce passiva fasulla era presente).


Inoltre, tutto l’incremento annuale della massa di banconote circolanti - circa € 5.200.000.000 – andrebbe ad aggiungersi agli utili di gestione.

Si noti che, in questa riscrittura del bilancio, si sommerebbero, per l’anno 2004, alcune voci attive straordinarie (la sopravvenienza attiva del controvalore delle banconote circolanti, e la conseguente sopravvenienza attiva degli interessi attivi per tutti gli anni precedenti al 2004), e alcune ordinarie, ossia destinate a ripetersi (gli interessi attivi o gli altri utili derivanti dal maggiore capitale netto; il profitto del signoraggio, ossia dell’emissione di nuove banconote).
La gigantesca somma delle passività inesistenti costituisce il valore non manifesto del patrimonio della BCE, quindi del patrimonio delle Banche Centrali che ne fanno parte. La quota competente alla Banca d’Italia, al netto, è € 4.796.563.485,84 – pari alla stima del patrimonio di Banca d’Italia come stimata nel proprio bilancio consolidato dalla sua partecipante Banca Popolare di Lodi.
Il bilancio della Banca d’Italia è fatto secondo i medesimi metodi che occultano reddito e ‘negano’ cespiti patrimoniali.

In sintesi, la Banca centrale nel mentre che iscrive al passivo del proprio bilancio i biglietti di banca emessi (anche se essi non rappresentano una perdita, perché la moneta, essendo l’unità di misura del valore dei beni, ha sempre e soltanto valore convenzionale, mai creditizio) addebita gli stessi, invece di accreditarli, ai popoli che, accettandoli, ne determinano il potere di acquisto.

Questo meccanismo che realizza un sistema usuraio, sia perché la Banca centrale, quando “presta” denaro, si arroga un diritto di proprietà, che non ha, su tutta la moneta circolante; sia perché i cittadini, da proprietari, diventano debitori della moneta che essi stessi creano. Da proprietari, e quindi creditori, a debitori: ecco l’usura praticata dal sistema delle Banche centrali che, allorquando prestano, invece di accreditare, il danaro stampato, ne caricano il costo del 200%.

Tutto ciò che è stato sopra analizzato seguendo il bilancio della BCE lo si potrebbe fare analizzando con gli stessi criteri il bilancio della Banca d’Italia.

Come si evince dal bilancio[16] presentato dal governatore Mario Draghi il 31 maggio 2006:

Figura n.6 – Passivo dello Stato Patrimoniale della Banca d’Italia



È la Banca d’Italia stessa che nella definizione delle “BANCONOTE IN CIRCOLAZIONE” ci racconta che esse sono un REDDITO.

Infatti a pagina 441 del bilancio bankitalia 2005 troviamo:

“ BANCONOTE IN CIRCOLAZIONE

La BCE e le dodici BCN dell’area dell’euro, che insieme compongono l’Eurosistema, emettono le banconote in euro dal 1° gennaio 2002 (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 15 sulla emissione delle banconote in euro, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.52-54, e successive modifiche). Con riferimento all’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese l’ammontare complessivo delle banconote in euro in circolazione viene ridistribuito sulla base dei criteri di seguito indicati.

Dal 2002 alla BCE viene attribuita una quota pari all’8 per cento dell’ammontare totale delle banconote in circolazione, mentre il restante 92 per cento viene attribuito a ciascuna BCN in misura proporzionale alla rispettiva quota di partecipazione al capitale della BCE (quota capitale). La quota di banconote attribuita a ciascuna BCN è rappresentata nella voce di stato patrimoniale Banconote in circolazione. La differenza tra l’ammontare delle banconote attribuito a ciascuna BCN, sulla base della quota di allocazione, e quello delle banconote effettivamente messe in circolazione dalla BCN considerata, dà origine a saldi intra Eurosistema remunerati. Dal 2002 e sino al 2007 i saldi intra Eurosistema derivanti dalla allocazione delle banconote sono rettificati al fine di evitare un impatto eccessivo sulle situazioni reddituali delle BCN rispetto agli anni precedenti. Le correzioni sono apportate sulla base della differenza tra l’ammontare medio della circolazione di ciascuna BCN nel periodo compreso tra luglio 1999 e giugno 2001 e l’ammontare medio della circolazione che sarebbe risultato nello stesso periodo applicando il meccanismo di allocazione basato sulle quote capitale. Gli aggiustamenti verranno ridotti anno per anno fino alla fine del 2007, dopodiché il reddito relativo alle banconote verrà integralmente redistribuito in proporzione alle quote, versate, di partecipazione delle BCN al capitale della BCE (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 16, sulla distribuzione del reddito monetario delle BCN degli Stati membri partecipanti a partire dall’esercizio 2002, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.55-61, e successive modifiche).

Gli interessi attivi e passivi maturati su questi saldi sono regolati attraverso i conti con la BCE e inclusi nella voce di conto economico interessi attivi netti.

Il Consiglio direttivo della BCE ha stabilito che il reddito da signoraggio della BCE, derivante dalla quota dell’8 per cento delle banconote a essa attribuite, venga riconosciuto separatamente alle BCN il secondo giorno lavorativo dell’anno successivo a quello di riferimento sotto forma di distribuzione provvisoria di utili (Decisione BCE 17 novembre 2005, n. 11, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 311 del 26.11.2005, pp.41-42). Tale distribuzione avverrà per l’intero ammontare del reddito da signoraggio, a meno che quest’ultimo non risulti superiore al profitto netto della BCE relativo all’anno considerato o che il Consiglio direttivo della BCE decida di ridurre il reddito da signoraggio a fronte di costi sostenuti per l’emissione e la detenzione di banconote. Il Consiglio direttivo della BCE può altresì decidere di accantonare l’intero reddito in discorso o parte di esso a un fondo destinato a fronteggiare i rischi di cambio, di tasso di interesse e di prezzo dell’oro. La distribuzione dell’acconto sugli utili da parte della BCE, corrispondente alla quota di reddito da signoraggio della BCE stessa riconosciuta all’Istituto, è registrata per competenza nell’esercizio cui tale reddito si riferisce, in deroga al criterio di cassa previsto in generale per i dividendi e gli utili da partecipazione.

Per l’esercizio 2005 il Consiglio direttivo della BCE ha deciso che l’intero ammontare del reddito da signoraggio resti attribuito alla BCE stessa. “

Ora letto quanto sopra riportato, ovvero un testo presente nel bilancio 2005 di Bankitalia e firmato dallo stesso Governatore Draghi, si evince come le banconote in circolazione rappresentino un reddito per la stessa Banca d’Italia..

L’ingegner Lino Rossi dopo delle attente ricerche ed analisi, arriva a delle conclusioni per certi versi dimostrate, per altri versi sconvolgenti per i dubbi che suscitano. Egli afferma che nel momento in cui si pongono nelle passività i suddetti “redditi” succede che gli stessi vengono sottratti al CONTO ECONOMICO, così come definito dall’art. 2425 del C.C.. Significa, secondo Rossi, due cose:

1) il reddito così trattato non viene sottoposto a nessun tipo di imposizione fiscale, né a nessun tipo di rientro nelle casse dello Stato;

2) lo stesso viene fatto sparire dalla contabilità per prendere (addirittura) la misteriosa via del “nero”.

Dal un libro universitario di economia aziendale (Produzione e Mercato - A. Birolo G. Tattara - Ed. Il Mulino - 1991) si legge: "Si osservi che il biglietto di banca rappresenta un debito della banca centrale nei confronti di chi lo possiede. Quando un biglietto torna alla banca centrale, il debito che esso rappresenta è automaticamente estinto; l'eliminazione del debito comporta dunque la distruzione della moneta".

Pertanto secondo questa analisi Bankitalia si sarebbe sbagliata a definire le “banconote in circolazione” come “reddito” perché in realtà è un debito e quindi fa benissimo a mettere quelle somme nelle passività.

La banconota che torna alla banca centrale viene distrutta.

Vengono spontanee, secondo l’Ing. Rossi, porsi alcune domande:

a) da quando in qua un soggetto percepisce gli interessi di un debito da esso stesso contratto?

b) quando un debito non viene richiesto da nessuno è ancora tale? Nessuno infatti ha titolo per andare alla Banca d’Italia ad esigere la restituzione di quel “debito”.

c) da quando in qua un debitore “distrugge” il credito altrui? Quelle banconote sono della collettività e servono per scambiare i beni che la collettività stessa produce.

Dai bilanci ufficiali presenti sul sito della nostra banca centrale troviamo:



Tabella n.3 – Dati prelevati dai bilanci ufficiali della banca d’Italia sulle Banconote in circolazione

Anno
Banconote in

circolazione [€]

1996
54.799.175.735

1997
58.914.304.307

1998
63.220.005.474

1999
70.614.050.000

2000
75.063.752.000

2001
64.675.772.000

2002
62.835.488.000

2003
73.807.446.000

2004
84.191.125.720

2005
94.933.679.360

2006*
100.000.000.000*


* stima

Nascono serie perplessità quando leggiamo da diverse fonti quali:

- nella seconda edizione di “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez che “alle isole Cayman sono stati trovati i seguenti conti:

700 26891 A01 N BANCA D'ITALIA UFFICIO RISCONTRO VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA, ITALIA

709 27154 A01 N BANCA D'ITALIA SERVIZIO RAPPORTI CON L'ESTERO, UFFICIO RISCONTRO 2484 VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA; “

- sul web - http://spazioinwind.libero.it/cobas/finanzaloro/bancaditalia.htm - La Banca d'italia nel 1994, tramite l'Ufficio italiano cambi (Uic), è entrata -con 100 miliardi di dollari- in una società controllata dall'Hedge Fund Ltcm e costituita nel paradiso fiscale delle CAYMAN ISLAND dai soci promotori dello stesso Ltcm !!!

- nel Corsera del 26-10-95 - Il Financial Time ha scritto che per questo investimento la Banca d'italia ha perso la sua "credibilità morale";

- ne Il Sole 24 Ore dell’ 8-10-98 - "E' assurdo utilizzare riserve nazionali per investire su un fondo come Ltcm,che era chiaramente speculativo",dichiara Edward Thorp, "padre" degli Hedge Fund americani;

- nel libro “Il Potere del denaro svuota le democrazie” di Giano Accame, ed. Settimo Sigillo – un esplicito riferimento alla presenza della Banca d’Italia alle isole Cayman.

Valutare la veridicità di queste fonti, se pur citate da autorevoli testate economiche quali Il Sole 24 ore o il Financial Time, può risultare secondario al problema, nonché rappresenta un compito arduo anche perché andare a rintracciare i fondi neri è sempre un’impresa complessa. Ciò che conta è che quei soldi non sono dove dovrebbero essere, ovvero nelle casse dello Stato a lenire il nostro enorme debito pubblico.

Tutte queste operazioni producono un debito pubblico in continuo aumento.

Esempio: “se lo Stato restituisce 98 e non 102 cosa succede? non è che può fare molto.. può solo chiedere un nuovo prestito, stavolta di 104 (100 per le spese previste per il nuovo anno, 4 per il debito non pagato l'anno precedente).

Naturalmente a fine anno dovrà restituire 104 + gli interessi = 106 (circa). Ora si possono seguire due strade: o si aumenta la pressione fiscale, oppure si mantiene stabile la tassazione per motivi di ordine pubblico (un popolo che si vede aumentare le Tasse e poi scopre come vengono sperperati i suoi soldi tende, storicamente, a non tollerare questi “errori”) ma si aumenta il ricorso all'indebitamento pubblico, tramite il prestito privato dalle banche centrali.”

Questa situazione si è ripetuta e tuttora si ripete tutti gli anni.

Tabella n.4 – Debito pubblico italiano dal 2002 al 2005 [17]

Anno
Debito pubblico
PIL

2002
1.367.169
1.295.226

2003
1.392.285
1.335.354

2004
1.442.994
1.388.870

2005
1.510.826
1.417.241



Come si vede dalla tabella, dal 2002 al 2005 il debito pubblico è sempre aumentato e continuerà ad aumentare. Infatti anche quello stimato per l’anno 2006 sfonda la quota dei 1600 miliardi di euro, secondo quanto riporta il supplemento Finanza Pubblica al Bollettino Statistico della Banca d'Italia.

Siccome alla BCE è stata data (come a Bankitalia S.p.A. prima di essa) totale autonomia nella decisione del tasso di sconto[18], questo significa che: «chi» presta decide anche a «quanto» presta.

Questo comporta un aumento del costo del denaro e quindi un aumento degli interessi sui prestiti.

Si sente spesso dire alla radio che « il deficit pubblico è aumentato per un imprevisto dilatarsi della servitù sul debito». Il vero significato di quest’ultima frase sta nel fatto che il banchiere aumenta il tasso di sconto e lo Stato si ritrova costretto ad inventarsi qualche tassa nuova o aumentare una di quelle esistenti per far fronte al Debito Pubblico.

Quindi, essendo il creditore – la banca centrale - sempre lo stesso soggetto (grazie al trattato di Maastricht e grazie al tacito rinnovo che lo scorso 31 dicembre 2005 ha permesso a Bankitalia S.p.A. - socia 15% della BCE - di proiettare la fine del contratto che la lega allo Stato Italiano in qualità di "Servizi di Tesoreria dello Stato" al 31 dicembre 2030) ed essendo il debitore – i cittadini - impossibilitato a rivolgersi altrove e/o a stamparsi moneta propria si viene a creare, persistendo in questa situazione, uno Stato sovrano debitore in eternum.

 
 
 
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