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Post N° 605

Post n°605 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pianosindaci

9. DENUNCE REALIZZATE CONTRO LE BANCHE
Non numerosi ma certamente eclatanti sono gli episodi che raccontano i tentativi di denuncia intrapresi da singoli individui e associazioni contro le banche.

Potrei cominciare citando la celebre causa intentata dal già citato prof. Giacinto Auriti, il quale in data 8 marzo 1993, ha presentato un esposto-denuncia per truffa, falso in bilancio, associazione a delinquere, usura e istigazione al suicidio, contro la Banca d’Italia e contro l’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi, alla Procura della Repubblica.

La controrisposta della Banca d’Italia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Vittimberga e Sergio Luciani e dal dott. proc. Marco Mancini dell'Avvocatura della Banca stessa, in sede giudiziaria, fu la seguente:

“ La visione della moneta e delle funzioni monetarie che l'attore intende accreditare è palesemente distorta e completamente infondata. Da un punto di vista logico, è innanzitutto ben evidente che l'accettazione da parte della collettività, lungi dall'essere causa del valore della moneta, ne rappresenta in realtà solo l'effetto, sicché il sillogismo deve essere rovesciato: non è vero che la moneta vale in quanto è accettata, ma semmai, come la storia e la cronaca stanno a dimostrare, che essa è accettata solo in quanto abbia un valore. Di qui la necessità che tale valore, rispondendo ad un fondamentale interesse pubblico, sia difeso e garantito dalle Pubbliche Autorità, funzione nei moderni stati affidata alle banche centrali.

Sotto il profilo giuridico, poi, il batter moneta ha da sempre rappresentato e rappresenta tutt'ora una delle più evidenti e indiscusse espressioni della sovranità statale, sicché può correttamente affermarsi che il valore della moneta trae il proprio fondamento solo ed unicamente da norme dell'ordinamento statale, che, per solito, disciplinano minutamente la creazione e la circolazione della moneta, ne sanciscono l'efficacia liberatoria, ne sanzionano la mancata accettazione in pagamento e tutelano la fede pubblica contro la sua falsificazione ed alterazione.

Anche in Italia, questa fondamentale prerogativa sovrana dello Stato è compiutamente disciplinata dal legislatore sia per quanto attiene all'attribuzione della funzione di emissione, che in ordine alle relative modalità di esercizio.

La funzione di emettere moneta, affidata nella sua quasi totalità alla Banca d'Italia, sulla base di un rapporto avente natura concessoria, dall'art. 28 aprile 1910, n. 204, ha successivamente assunto il carattere di un'attribuzione istituzionale della Banca centrale, a seguito del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 371, e dell'art. 1 dello Statuto della stessa Banca, approvato con R.D. 11 giugno 1936, n. 1067, e successive modificazioni, a norma del quale essa è un istituto di diritto pubblico che, quale unico istituto di emissione, emette biglietti nei limiti e con le norme stabilite dalla legge.

In ordine alle modalità di esercizio di tale funzione, l'art. 4 del T.U. n. 204/1910 e il D.P.R. 9 ottobre 1981, n. 811, prevedono che alla fabbricazione del biglietto concorrano la Banca d'Italia e lo Stato, tramite il Ministero del tesoro, in modo che ne l'una ne l'altro possano formare un biglietto completo.

Mentre per la fabbricazione l'Istituto di emissione e il Ministero del tesoro hanno competenze congiunte e coordinate, le decisioni riguardanti la quantità dei biglietti da immettere nel mercato ed i tempi dell'immissione competono alla sola Banca quanto strumentali all'esercizio delle funzioni di controllo della liquidati del sistema e di salvaguardia del valore del metro monetario, affidatele nell'ordinamento italiano (T.U. n. 204/1910 e Statuto della Banca d'Italia, ma anche art. 47 della Costituzione) e ora trovanti fondamento, anche a livello comunitario, nell'art. 105 del Trattato di Maastricht sull'Unione Monetaria Europea.

Sia in ordine alla fabbricazione che all'emissione monetaria, l'attività della Banca d'Italia, pur caratterizzandosi per una forte discrezionalità tecnica, non è esente da vincoli e da controlli riguardanti la produzione dei biglietti, l'iter di emissione, l'annullamento e la distruzione delle banconote logore o danneggiate. In particolare, i tagli dei biglietti che possono essere emessi dalla Banca d'Italia sono stabiliti con legge, mentre le caratteristiche e le quantità dei biglietti da stampare vengono stabilite con distinti decreti del Ministro del tesoro. L'intera attività della Banca in questi campi è poi sottoposta alla vigilanza del Ministro del tesoro e di un'apposita commissione permanente di cui fanno parte, fra l'altro, anche sei parlamentari (artt. 108 ss. del T.U. n. 204/1910).

A ciò si aggiunga l'evidente carenza di interesse ad agire dell'attore, il quale ha promosso un'azione di accertamento senza che esistesse alcuna situazione di incertezza da rimuovere tant'è che l'emissione della moneta è compiutamente disciplinata dal legislatore in modo da non lasciare spazi all'immaginazione o alla fantasia né alcun pregiudizio, anche soltanto potenziale, per l'attore in proprio o per l'associazione che lo stesso asserisce di rappresentare.

La domanda attorea è poi, anche nel merito, destituita del benché minimo fondamento.

Essa muove, infatti, dalla premessa, completamente errata, secondo cui difetterebbe nel nostro ordinamento una norma di legge che indichi il proprietario della moneta all'atto dell'emissione, sicché l'appropriazione della stessa da parte della Banca d'Italia si baserebbe su una consuetudine interpretativa contra legem.

Ebbene, alla stregua della puntuale disciplina della funzione di emissione, i biglietti appena prodotti dall'officina fabbricazione biglietti della Banca d'Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese (art. 4, comma 5, del T.U n. 204/1910). Essi acquistano la loro funzione e il valore di moneta solo nel momento, logicamente e cronologicamente successivo, in cui la Banca d'Italia li immette nel mercato trasferendone la relativa proprietà ai percettori.

Tale immissione, che rappresenta uno dei principali strumenti a disposizione della Banca centrale per l'esercizio delle cennate funzioni di regolazione della liquidità del sistema e di tutela del valore del metro monetario, avviene tramite operazioni che l'Istituto di emissione, in piena autonomia conclude con il Tesoro, con il sistema bancario, con l'estero e con i mercati monetario e finanziario, operazioni tutte previste e compiutamente disciplinate dalla legge e dallo statuto della Banca d'Italia (artt. 25 - 42 del T.U. n. 204/1910 e artt. 41 - 53 dello Statuto)

Alla luce di quanto sinora precisato, è del tutto abnorme e campata in aria l'affermazione dell'attore secondo cui esisterebbe una consuetudine interpretativa contra legem, in base alla quale la Banca centrale all'atto dell'emissione "mutua allo Stato italiano ed alla Collettività Nazionale, tutto il danaro che pone in circolazione". Come visto, la moneta viene infatti immessa nel mercato in base ad operazioni legislativamente previste e disciplinate, a seguito del compimento delle quali la Banca d'Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell'Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute, ecc.) che vengono, invece, appostati nell'attivo.

Tali operazioni trovano evidenza, come prescrive la legge, nella situazione della Banca d'Italia mensilmente pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.

Se si considera oltretutto che, come già osservato, le spese di fabbricazione dei biglietti e l'imposta di bollo sono a carico della Banca centrale e che gli utili annuali da essa conseguiti, effettuati i prelevamenti e le distribuzioni di cui all'art. 54 dello Statuto, ai sensi dell'art. 23 del T.U. n. 204/1910 vengono devoluti allo Stato, si evidenzia altresì l'assoluta inconsistenza ed insensatezza delle tesi attoree, secondo cui l'erogazione della moneta sarebbe effettuata dalla Banca d'Italia addebbitandone allo Stato ed alla collettività l'intero ammontare senza corrispettivo.

Ne consegue, pertanto, che non è dato riscontrare alcunché di arbitrario o di illegittimo nelle prerogative esercitate in campo monetario dalla Banca centrale, perché, contrariamente a quanto preteso dall'attore, l'intera materia e compiutamente disciplinata dal legislatore, in modo tale che nessun aspetto attinente all'attribuzione o all'esercizio della funzione di emissione può dirsi regolamentato da consuetudini interpretative e, men che mai, da consuetudini contra legem.”

La denuncia di Auriti viene respinta e il Tribunale condannò il professore al pagamento di 10 milioni delle vecchie lire.

In seguito a questa sentenza vi furono due progetti di legge, il n.1282 dell'11 gennaio 1995, presentato dal senatore Luigi Natali e il n.1889 dell'11 febbraio 1997 del senatore Antonino Monteleone,i quali riproposero le tesi di Auriti, anche se il Senato non le discusse mai.

In merito all’esito della sentenza che ha scagionato Bankitalia dalle accuse del prof. Auriti molti hanno sostenuto tesi avverse alla conclusione della disputa.

Rileggendo il testo di difesa degli avvocati della Banca di Via Nazionale, alcuni hanno pensato che se un'autorità afferma che "La moneta è accettata in quanto vale, perché sempre è stato così", nasce spontaneo domandarsi "Così come?", e l'autorità risponde: "Precisamente così: i biglietti (banconote) nascono come merce, prodotta dall'OFFICINA (della banca centrale, cioè la tipografia della Zecca), ma acquistano valore di moneta solo DOPO essere stati emessi"; per certi aspetti sembra una risposta illogica, poiché se il cittadino intende accettare dall'autorità una moneta perché ha valore, significa che ha valore PRIMA che egli l’accetti, altrimenti non sarebbe così stupido da accettarla.

Infatti, se è vero come afferma Bankitalia che la moneta ha valore solamente DOPO l'emissione, è vero anche che fino al momento in cui l’autorità la mette in circolazione, essa non vale alcunché. Perché dunque, attraverso l'emissione, essa viene addebitata, e con gli interessi? Che tipo di OFFICINA è quella che addebita il costo del denaro-merce non solo del tasso di interesse, ma anche del 200%, perché trasforma un credito, cioè il dovuto (+100%) in un debito (-100%) senza contropartita?

Il Procuratore dr. Ettore Torri ,della Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, ha riconosciuto che era stata data la prova dell’elemento materiale dell’avvenuto reato, ma soggiunse, che mancava il dolo, perché nell’attuale sistema monetario era stato fatto sempre così. Una conclusione da Ponzio Pilato, che non solo non risolve nulla , ma conferma ed aggrava il problema per le seguenti ragioni :

a)la continuazione del reato, è già un’aggravante e a maggior ragione costituisce una responsabilità penale.

b)Prima della denuncia si poteva parlare di buona fede, dopo diviene malafede, perché esiste la consapevolezza e la certezza del reato che è stato fatto, e che continua ad essere commesso.

Tra le varie, possiamo citare anche un’altra sentenza, quella promossa da Adusbef[28] .

Il Giudice di Pace del Tribunale di Lecce, dr. Cosimo Rochira, nella causa civile iscritta al n. 3712/04, ed intentata da Giovanni De Gaetanis, associato Adusbef difeso dal vicepresidente Avv. Antonio Tanza, ha emesso una clamorosa sentenza depositata in cancelleria il 26 settembre 2005 al numero 2978/05, contro la Banca Centrale Europea e, per essa, la locale articolazione individuata nella Banca d’Italia.
Per effetto di tale sentenza, la Banca d’Italia, accusata di essersi appropriata indebitamente di una somma enorme, pari a 5 miliardi di euro sotto la voce “reddito da signoraggio”, avrebbe dovuto restituire alla collettività per un importo pari ad 87 euro per ogni cittadino residente in Italia alla data del 31 dicembre 2003, neonati compresi.

La banca d’Italia, dopo questa sentenza che la condannava, fece ricorso in Cassazione e vinse.

La Cassazione ammetteva il ricorso della Banca d’Italia, affermando che non compete ai giudici sindacare il modo in cui gli Stati svolgono le funzioni di politica monetaria, di adesione ai trattati internazionali e di partecipazione agli organismi sovranazionali.

La Corte di Cassazione annulla senza rinvio una sentenza che nel 2005 aveva condannato la Banca d'Italia per "esproprio illecito" di moneta: secondo il magistrato onorario che accolse l'esposto di un cittadino pugliese, la Banca centrale europea e "la sua articolazione italiana, ovvero la Banca d'Italia", si erano appropriate illegalmente della moneta italiana con l'emissione dell'Euro, e che quindi, a suo dire, "non esisteva il debito pubblico, trattandosi invece di credito pubblico" e "la massa monetaria messa in circolazione nell'ambito dei paesi aderenti al sistema dell'euro apparterrebbe alla collettività dei cittadini con la conseguenza che ciascuno potrebbe rivendicare il reddito, pro quota, derivante dalla stampa e dalla circolazione di questa massa monetaria, oggi invece percepito dalla Banca Centrale Europea e poi ridistribuito tra le diverse Banche centrali nazionali".
Su tale originale premessa il giudice di pace condannò Bankitalia al pagamento di 87 euro per "sottrazione del reddito da signoraggio monetario" nel periodo compreso tra il '96 e il 2003.

Contro la sentenza del giudice di Pace la Banca d'Italia ha presentato ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento oltre che la condanna al risarcimento danni per "lite temeraria" per il cittadino pugliese.

Le sezioni unite civili della Suprema Corte, cassando punto per punto le motivazioni del giudice di pace, hanno accolto il ricorso di via Nazionale sottolineando, tra l'altro, che accettare un simile pronunciamento, comunque, metterebbe in discussione "le scelte con cui lo Stato, attraverso i suoi competenti organi istituzionali, ha configurato la propria politica monetaria, in coerenza con la decisione di aderire ad un sistema elaborato in ambito europeo e di fare parte delle istituzioni create all'interno di detto sistema".

Nella depositata oggi, i giudici di Piazza Cavour sanciscono quindi che tra le funzioni che rientrano nelle prerogative della sovranità degli Stati (come le politiche monetarie, nel caso specifico), non può interferire alcuna giurisdizione, sia civile che penale, tanto meno amministrativa o dei giudici onorari.
L'autore della citazione in giudizio per la Banca d'Italia è stato quindi condannato al pagamento di circa 1500 euro per le spese processuali.

La Suprema Corte non ha accolto la richiesta di risarcimento danni per "lite temeraria", constatando la buona fede del cittadino pugliese.

A seguito della sentenza Bankitalia ha esposto sul suo sito ufficiale[29] una comunicazione che riporta quanto segue:

“In riferimento alle iniziative, giudiziali e stragiudiziali, coltivate nei confronti della Banca d’Italia al fine di rivendicare la proprietà collettiva della moneta e il relativo reddito da signoraggio, l’Istituto informa che la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza depositata il 21 luglio 2006, n. 16751, pronunciata a sezioni unite – la più alta espressione del supremo organo giurisdizionale, accogliendo il ricorso proposto dalla Banca d’Italia, ha integralmente cassato la sentenza del giudice di pace di Lecce n. 2978/05, che aveva disatteso l’orientamento giurisprudenziale, consolidatosi prima dell’adozione della moneta unica, contrario all’accoglimento di tali pretese.

Il Supremo Collegio ha, in primo luogo, escluso in radice che la Banca d’Italia, convenuta in giudizio quale “articolazione locale” della Banca Centrale Europea e, come tale, destinataria della relativa pronuncia di condanna del giudice di pace leccese, sia munita di legittimazione processuale sostitutiva della Banca Centrale Europea. Ciò in quanto tali istituzioni costituiscono soggetti giuridici diversi, ancorché istituzionalmente e funzionalmente collegati, ciascuno dei quali dotato di ben distinta personalità giuridica, sia sul piano del diritto sostanziale che di quello processuale e attesa, del resto, la mancanza di una norma che abiliti le banche centrali nazionali a stare in giudizio per conto della Banca Centrale Europea.

In secondo luogo, ad avviso della Suprema Corte, resta preclusa in senso assoluto la proposizione, nei confronti della Banca d’Italia in proprio, di azioni volte a rivendicare una quota proporzionale del signoraggio (reddito monetario; art. 32 dello Statuto del SEBC e della BCE), stante il carattere metagiuridico della pretesa azionata, volta a mettere in discussione, sulla base di argomenti di carattere storico ed economico, “le scelte con cui lo Stato,attraverso i suoi competenti organi istituzionali, ha configurato la propria politica monetaria, in coerenza con la decisione di aderire ad un sistema elaborato in ambito europeo e di fare parte delle istituzioni create all’interno di tale sistema”. Ed infatti l’attribuzione del reddito monetario alla Banca d’Italia costituisce l’effetto di una scelta di politica monetaria consacrata nella normativa comunitaria di rango primario (Trattato CE, artt. 105 e segg.; nonché Statuto del SEBC e della BCE), al cui rispetto lo Stato italiano si è vincolato. Sussiste pertanto un difetto assoluto di giurisdizione – sia del giudice ordinario sia del giudice amministrativo – in ordine alla pretesa azionata in quanto “a nessun giudice compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione ad organismi sopranazionali” e, del resto, in relazione a tali funzioni “non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto”.

La pronuncia, confermando l’orientamento già manifestato con riguardo al previgente sistema di emissione della lira, ha, dunque, recisamente escluso che possa individuarsi alcun giudice titolare del potere di emanare una decisione di merito in ordine a tali azioni di rivendica, ivi compreso il giudice di pace, non potendo sostenersi che l’attribuzione a tale giudice del compito di decidere secondo equità le controversie di cui all’art. 113, II comma, c.p.c., consenta al medesimo di emettere pronunce che eccedono i limiti generali della giurisdizione.

Alla luce delle superiori considerazioni questo Istituto respingerà ogni ulteriore richiesta di pagamento di quote del reddito da signoraggio e farà valere la decisione delle Sezioni Unite in ogni procedimento giurisdizionale allo stato pendente o che in futuro dovesse essere instaurato nei suoi confronti. “ .

Secondo l’Adusbef, però, questa battaglia sul signoraggio è stata, nonostante la pronuncia della Cassazione, di estrema importanza in quanto ha contribuito a creare un dibattito nel paese e sugli organi di stampa, contribuendo a creare una maggiore coscienza del problema anche da parte di coloro che non sono addetti ai lavori.

Nonostante la sentenza della Cassazione, il problema non appare ancora risolto. La Suprema Corte infatti non entra nel merito, ma chiarisce solo la carenza di competenza del giudice: in altre parole, dice soltanto che non è compito dei giudici sindacare le funzioni statuali di politica monetaria e di adesione ai trattati.

Tra le denuncie espresse contro le banche per motivi di signoraggio si possono ricordare anche quella realizzata in Canada: John Ruiz Dempsey, criminologo ed esperto in vertenze forensi, ha intentato una causa collettiva (ovvero una class action che consente ad un'intera collettività di costituirsi parte ci­vile) per conto del popolo Canadese, nella quale si asserisce che alcuni istituti finanziari so­no dediti alla creazione illegale di denaro.

L'accusa, presentata venerdì 15 aprile 2005 alla Cor­te Suprema della British Columbia a New Westminster, asserisce che tutti gli istituti finanziari che erogano prestiti, sono coinvolti nel piano deliberato volto a defraudare i borrower (soggetti cui viene concesso un prestito) dando in prestito denaro inesistente, creato illegalmente dal "nulla" dagli istituti stessi.

Dempsey sostiene che le transazioni derivano dalla contraffazione e dal riciclaggio di denaro, in quanto tale denaro, se fosse stato davvero anticipato e depositato nei conti correnti dei clienti, non può essere rintracciato, né giustificato, né rendicontato.

Dempsey sostiene che la creazione di denaro dal nulla e ultra vires (aldilà del potere legale) dei convenuti in giudizio e di conseguenza nullo, e che tutti i prestiti concessi con la frode trasgrediscono il Codice Penale.

La causa, che é la prima di questo genere mai intentata in Canada e che potrebbe coinvolgere milioni di cittadini canadesi, sostiene che i contratti stipulati fra il popolo (i "borrower") e gli istituti finanziari erano nulli o invalidati e non hanno validità né effetto in virtù della loro rottura anticipata e per la mancata divulgazione di fatti concreti. Dempsey afferma che la transazione costituisce contraffazione e riciclaggio di denaro in quanto la fonte del denaro stesso, se è stato realmente connesso in prestito dai convenuti in giudizio e depositato sui conti dei borrower. non poteva essere rintracciata né se ne poteva rendere conto.

La causa cita come cospiratori civili Envision Credit Union, Laurentian Bank of Canada, Roval Bank of Canada, Canadian Imperial Bank of Commerce, Bank of Montreal, TD Cana­da Trust e Canadian Paymont Association.

La parte civile sta cercando di recuperare il denaro e le proprietà, persi a causa di pignoramento per accumulo di "debito" illegale e soddisfazione della garanzia.

Una specie di denuncia, questa volta non svolta in ambito legale, bensì parlamentare, è stata avanzata nel Parlamento italiano da un deputato, Teodoro Buontempo[30], il quale ha promosso alla XIV e nuovamente alla XV Legislatura una proposta di legge sulla Proprietà popolare della moneta e conto di cittadinanza. La proposta (atto camera n. 788[31]) è composta essenzialmente di cinque articoli, dei quali riporto i primi due che spiegano essenzialmente i punti cardine della proposta del deputato:

Proposta di legge del deputato Buontempo:

Art. 1.
(Princìpi).

1. La moneta appartiene al popolo che la usa per perseguire gli scopi garantiti della Costituzione.

Art. 2.
(Conto personale di cittadinanza).

1. Tutti i valori emessi dalla Banca d'Italia appartengono al popolo italiano.

2. Presso la Banca d'Italia è attivato un conto personale per ogni cittadino italiano, denominato «conto di cittadinanza».

3. L'accensione del conto di cittadinanza avviene automaticamente entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per tutti i cittadini italiani, e successivamente a tale data entro tre mesi dalla nascita del cittadino o dal giorno in cui la persona diventa cittadino italiano.

4. Sul conto di cittadinanza non sono permesse operazioni se non quelle previste dalla presente legge.

5. Per il proprio conto di cittadinanza il singolo cittadino maggiorenne, o il tutore legale del cittadino maggiorenne incapace, può indicare un singolo conto corrente di riferimento presso un'istituzione bancaria.

I restanti articoli trattano circa le operazione da effettuare sul conto di cittadinanza e le disposizioni di attuazione.

Come ho avuto modo di chiarire con uno degli estensori della proposta di legge del deputato Buontempo, Marco Lombardi, gli ostacoli al passaggio di tale proposta non sono pochi. La risposta alla mia domanda che interrogava sulle cause dell’indifferenza mostrata in Parlamento su tale iniziativa è stata la seguente che cito con testuali parole:

“la maggior parte delle persone e dei deputati non hanno ancora compreso il problema; coloro che hanno gli strumenti culturali per comprendere il problema o protestano o hanno interesse a mantenere lo stato attuale delle cose. Tra i membri del parlamento prevale il secondo gruppo di persone”.

Ancora in ambito italiano, possiamo citare un’interrogazione parlamentare, questa volta nei confronti della Banca Centrale Europea.

Infatti il 17 ottobre 2005, l’on. Antonio Serena, ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’ Economia Giulio Tremonti chiedendo di chi sia realmente la proprietà dell’ euro al momento dell’ emissione.

Il quesito si basa sul presupposto dell’interrogante secondo il quale “il valore della moneta è causato non dall’ organo di emissione, ma dall’ accettazione da parte della collettività”.

Ed aggiunge: “Il trattato di Maastricht si limita a considerare solo la prima fase, quella dell’ emissione, e non è presente alcun riferimento al diritto di proprietà sull’euro e come questo debba essere attribuito. Se è dimostrato dunque che crea il valore della moneta non chi la emette ma chi l’ accetta, prestare denaro all’ atto dell’emissione significa imporre un costo del denaro del 200 per cento, con conseguente indebitamento degli europei verso la BCE pari a tutto l’ euro in circolazione”.

L’on. Serena non ha ricevuto alcune risposta a seguito di questa interessante interrogazione rivolta all’allora ministro Tremonti.

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