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La Ricerca

Post n°9 pubblicato il 04 Luglio 2007 da TamaraRufo
 

Lo aveva cercato allungo.

Instancabilmente.

L’appuntamento era fissato: la stazione dei treni, la folla perfetta a riempire i silenzi, persino il sole estivo si poggiava su di lei rendendola fluida.

Languida.

Lo vide all’uscita dei treni, poggiava contro il manico della valigia standosene inclinato di traverso su una spalla: lo sguardo gli vagava tra la gente alla ricerca di qualcosa, un completo scuro troppo sbiadito non dava di lui l’impressione che fosse un uomo elegante, i capelli erano radi e brizzolati, l’altezza era priva di qualche spanna ed invitava a girargli al largo.

Si chiamava Mario, lui la riconobbe subito. Lei. Una figurina alta e snella, curata, un riflesso cangiante in quel mare di occhi e capelli che attraversano il passaggio tra la zona binari e lo spiazzo esterno.

Altrettanto, gli occhi di lei furono catturati dall’ostinato tentativo di trovare attorno dell’uomo. Lo sguardo d’impatto le celò un immediato disappunto ma al primo gesto di lui, il disgusto della prima impressione le lasciò solamente parole semplici da dire, quando lui la prese sottobraccio e le disse “andiamo”, lei lo seguì.

Un invito chiaro a cui una ragazza garbata, di animo nobile, non era capace di ostentare un rifiuto, anche se la volontà di tornarsene a casa continuava a deragliarle i movimenti del corpo e delle palpebre.

Dubbio.

Sconcerto.

Delusione.

Disagio.

Alla fine la ragazza restò comunque, “almeno parleremo” – si ripeteva, lei non è superficiale non si lascerà fermare dall’insuccesso di un’apparenza.

Lo aveva cercato allungo.

L’uomo le aveva parlato così tante volte al telefono e lei ora riusciva a riconoscere solamente la voce, calda, dialettale, derisoria.

Si erano detti, pur mostrandosi ugualmente interessati, che le pretese della fisicità avrebbero potuto fargli cambiare idea.

Era possibile che non si piacessero.

Ma almeno dovevano provarci, dovevano darsi una possibilità.

Mario la condusse all’uscita laterale della stazione, lì prenderanno un taxi, parleranno durante il viaggio, poi vedranno – si convince lei fra sé e sé.

Quando si dovrebbero avere domande, non ne arrivano mai di precise: l’agitazione aveva iniziato a far perdere alla ragazza la connessione con la realtà. Lei continuava ad ascoltarlo, ponderava – cercando di restare il più serena possibile – quanto fosse seria ed accettabile l’idea che quello sconosciuto la portasse lontano da lì in un posto che si riservava di non comunicarle.

Non era un azzardo il suo – o forse sì? – faceva parte del gioco.

Lei si chiamava Silvia, stava cercando di capire che tipo di persona fosse, si preparava a mettersi in pista. Era sposata e non lo negava neppure, riteneva fosse corretto così; credeva nella famiglia e nei valori di antico retaggio, lei, spiegava sorridendo, era una ragazza un po’ contorta, voleva quella vita, l’amava, ma con molta fatica era cresciuta dentro di lei la consapevolezza che c’era un’altra strada che ancora non aveva intrapreso e questa le covava nell’intimo come un sogno imparziale, ambizioso, spingendola pericolosamente alla ricerca della medesima.

Mario sapeva quel poco che si erano detti ma lei lo intuiva, il suo fiuto gli stava dicendo che non si era ingannato, averla sottobraccio gli suggeriva che dopo tanto peregrinare la sua odissea era alla fine approdata alle spiagge di Itaca.

“Per favore sali” le chiede cortesemente indicandole la portiera del taxi.

 

Continua…

 
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