Creato da TamaraRufo il 03/07/2007
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« L'involucroImpulso »

La confessione

Post n°32 pubblicato il 06 Ottobre 2007 da TamaraRufo
 

Nel corso degli anni avrebbe avuto molte occasioni per ripensare a come sarebbe cambiata la sua vita se avesse permesso all’autista di riaccompagnarla a casa, ma Laura non poteva certo lamentarsi per come erano andate le cose. Aveva sempre ottenuto tutti i successi sperati, la sua carriera era andata alla grande, aveva vissuto un’esistenza che si sarebbe detta serena. Non mancava proprio nulla alla donna con l’abito dal rifinito taglio sartoriale che stavo osservando. Mostrava un’eleganza cucita addosso, un’affabilità nell’incedere dei gesti riconoscibile già dall’aria con cui si rivolgeva alle persone.Solo da piccoli dettagli, nella posizione in cui mi trovavo, potevo cogliere il lamento vano della solitudine che cresceva dentro di lei.La guardavo rimanere composta, gli occhi sempre puntati sulla sua ventiquattrore, ma in tutto quell’essere perfettamente misurata emergeva come un’incongruenza il continuo mordere del labbro superiore, l’affiorare dei denti sulle labbra rosse. La capigliatura folta le incorniciava il viso rivelandone l’espressione lontana e i pensieri probabilmente sui passi del destino che si era prefissa affinché le regolassero la vita. Laura aveva sempre nascosto il suo lato introverso, essere sicura e razionale erano garanzie di successo secondo la sua visione del mondo e la vita gliela aveva dato ampiamente ragione.

Laura si era persa, per quanto la sua vita fosse allestita con una incredibile varietà di eventi bizzarri, il disordine della sua personalità continuava a muoverla dentro, girandole nel sangue, stipandole in fondo alla mente chi era davvero.

La seguii per le strade della città tenendomi sempre a debita distanza. Laura camminava talmente sicura del suo bel castello in aria che non avrebbe mai ammesso la verità della notte in cui ci separammo, dieci anni fa, quando disse all’autista che poteva andarsene tanto lei non sarebbe rientrata.

Era una calda, surriscaldata notte d’estate, il mio albergo era dietro l’angolo quando istintivamente Laura mettendo una mano nelle mie mi attirò nella hall. La situazione si presentò eccitante, era una notte bellissima e Laura sfolgorava un incontenibile ardore davanti a chiunque si fermasse a osservarla.

Quando l’ho rivista pochi mesi fa mi sembrò che non fosse cambiata, aveva la stessa aria svagata di allora, usciva dall’ingresso del grande centro commerciale e presi a seguirla.

Per settimane e settimane l’ho osservata, Laura si ostinava a fingere di divertirsi, manteneva la freddezza necessaria per restarsene lontana dal ricordo, lontana da me, lontana dall’indugio che la coscienza continuava a suggerirle.

L’ho seguita fin dove abitava, un quartiere del centro che si allineava con l’idea che il suo viso e il suo corpo intendevano far credere all’esterno: essere una donna corazzata e difficile da abbattere, una donna insidiosa nelle forme come nell’armonia nervosa con cui affrontava i pensieri.

L’ho vista giocarsi il dolore giornalmente mettendo i piedi nella cosa meravigliosa che era il mondo e le sue metamorfosi improvvise. Voleva spingersi verso la rinascita ma non riusciva, perché era sempre lei l’unico arbitro di se stessa e non poteva funzionarle.

Non avere nessuno che interferisse era solo un modo per non pensare.

Laura era riuscita ad incastrare bene le cose, era una fotografa freelance ambita sul mercato delle opere d’arte, era un’amante degli oggetti la cui natura morta non la costringeva a giustificarsi.

Aveva imparato a raccontarsela e quando mi piantai davanti alla porta di casa sua, fermandola prima che si allontanasse, lei nemmeno si ricordò di me ma il peggio era che invece  io c’ero dentro del tutto.

       Ti vedo stanca Laura.

Le dissi inchiodandola sul pianerottolo di casa senza ricevere risposta. Il silenzio le toglieva l’aria, il terrore di quell’infiltrazione nella sua vita la faceva soffrire.

       Non devi giustificarti con me Laura. Ti prometto che non me ne andrò, non ti sentirai più sola.

Si accasciò come una bambola di pezza, una costruzione malfatta che cominciò a tremare, ma io risi alla sua reazione e risi forte. Era così patetica, mi faceva rabbia, non meritava nessuna compassione.

Avevo passato gli ultimi dieci anni della mia vita in gabbia per colpa sua, a causa della sua testimonianza e di chi l’aveva aiutata a far credere a tutti che avessi ucciso io la ragazzina, quella puttanella che le faceva l’occhiolino dall’angolo della strada dietro il mio albergo.

Laura se l’era voluta portare a letto quella notte. “Ci divertiremo vedrai” aveva detto, afferrando la chiave della stanza e facendo cenno alla ragazza.

E all’inizio ci divertimmo pure ma poi l’atmosfera cambiò, ad un certo punto la ragazza volle andarsene. Voleva più soldi per tutta la notte e Laura non era d’accordo. Cercava ripetutamente di trattenerla. “Sei solo una puttana” le urlava contro, protestando ormai fuori di sé per spaventarla.

I soldi non sarebbero stati un problema ma Laura diversamente non si sarebbe accontentata. Sembrava essere diventata pazza.

La ragazza cercò più volte di sottrarsi ma Laura continuava a spintonarla lontana dalla porta, sempre più agguerrita ad averla vinta.

Ad un certo punto si mise a strillarle di stare zitta, “zitta troia! zitta!”, ed è stato allora quando tentai di fermarla che caddi a terra senza rendermene conto e Laura e la ragazza finirono sul balcone. Dopo… ricordo solo un grido disumano e la disperazione.

Credetti di sentire io il terrore del cemento.

Ecco, è così che iniziò tutto.

       Ricordi, non è vero Laura? Non va troppo male, sai? Ma non importa, non importa! Sai com’è una prigione Laura? Dieci lunghi anni, dieci fottuti lunghissimi anni… –

La sua indifferenza al pensiero di quanto avessi sofferto mi mandò in bestia.

       Ricordi i miei capelli Laura? Ricordi quanto ti piacevano? Me li hanno dovuti tagliare, sai? Dicevano che lì dentro non potevo portarli.

La donna che era di fronte a me, quella donna che aveva recitato una vita, era miserabile vedere l’orrore con cui mi guardava.

Non mostrava avvisaglia alcuna, ma sapevo che dietro quella maschera ben congegnata si nascondeva la donna che avevo conosciuto quella notte. Una furia omicida.

Mi avvicinai e ne colsi improvviso il profumo sottile, l’odore congestionato dal calore della paura, era rimasta una bella donna. Mi soffermai sul respiro, i minuti silenziosi ne scandivano il ritmo martellante mentre il suo odore di animale in trappola mi stordiva il cervello.

La vidi scuotere la testa, ancora un paio di volte, era sempre più vicina ma poi il suo sguardo svanì definitivamente dalla mia vista.

 
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