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« In quel giardinoLa confessione »

L'involucro

Post n°31 pubblicato il 05 Ottobre 2007 da TamaraRufo
 

Ditemi dell’abbandono quando basta, con la faccia in mezzo all’erba, sedotta dalla voce di uno spazio che invade i sensi.
Ditemi del fingere quando non serve a niente, tanto la musica non tace e il cielo torno torno resta a smembrare le parole anche se solo osassi. Andare.
Andare oltre respirare.

So di chiedere melodie ad alleggerire i rigorosi battiti sprecati pronti a scorrere nel sangue, ma questo canto unico si apposta tra la vita e il varco morituro di un enigma, è l’involucro di una storia sfatta al punto da restare asciutto.
I corpi hanno ondeggiato sulle costanti del destino e spinti verso la rovina hanno mancato la sommità del volo e tuttavia, tuttavia ditemi del palpito e della sensualità ridotta a grumi tra gli intrecci consumati e i brodi di morale.
Ditemi delle confidenze incustodite divenute raggrumati adagi tra il baluardo degli sguardi e la punta delle dita lentamente concitate.
Lasciatemi ai rivoli infuriati delle lacrime, prima che mutino tra i ghiacci per incorniciare il fascino del fuoco e ditemi, ditemi l’affanno che è del corpo quando è incapace di risorgere.
La realtà è lo sbigottimento di una moltitudine di scene di malinconia, svanisce inspiegabilmente tentando di rallentare la scomparsa dell’organo inarcato tante e tante volte subentrato. E' il simulacro di un divino sbocco, davanti ad una schiena contro schiena, aspettando l’impeto intrecciato ora rimasto solamente un solitario unisono.
Un triste isolamento.
Un'estinzione al culmine di lontananza, quando il fiato è segregato per mancanza d’aria e non c’è più che lentezza e lentezza rallentata.
Lentezza inesorabile di fronte alla pietà restante di uno sgravio, di ogni residua vibrazione priva di equilibrio.
Con le braccia supplichevoli puntate dove si raccoglie l’avanzo di un afflato, e il pianto, allorché non si accovaccino  mai i giorni ma si tormentino tesi fino al bordo del sogno.
Questi giorni luminosi ed indiscreti, traditi e senza risultato.
Ditemi del grembo coraggioso che si dilunga nello spasmo con la speranza, prima o poi, di un piacere che ricada l’un nel petto dell’altro.
L’ultima grazia, l'evanescente senso, di un inesprimibile mancanza.

 
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