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Come sei finita quaggiù?

Post n°42 pubblicato il 08 Dicembre 2007 da TamaraRufo
 

Gli oggetti sono cose che non dovrebbero commuovere, perché non sono vive. Non sapeva quando aveva raggiunto la rivelazione ma da quel momento l’ondina timorosa si ritirò con il mare verso una meta più importante. Il fondale.

La paura l’aveva placata, non si era sentita in pace con la coscienza ed aveva deciso di cambiare. Si spinse lontano, nell’oscurità silenziosa e non senza una leggera apprensione.

Non si avvistava più l’azzurro dei cieli né si riusciva più a scrutare il sole, del resto non era sola, aveva la compagnia dei branchi, creature dalla carica micidiale che per catturare la preda l’attraversavano devastandola.

Si sentiva triste in un mondo di estranei, nei momenti in cui riusciva a strasene tranquilla si posava oltre le profondità marine. Scendeva e scendeva fino a quando il freddo non la spingeva a tornare indietro.

Con il passare degli anni si confuse alle altre voci del mare, dimenticandosi di quello che era stato il suo destino.

Finché un giorno non si sentì chiamare, era il relitto di una nave e ondina lo raggiunse. Cominciò a stargli vicino. La grande sagoma scura sembrava dormire sulla superficie dell’abisso, nera, più nera del nero.

“Dimmi” le chiese, “come sei finita quaggiù?”

“E’ accaduto all’improvviso, stavo nuotando a perdifiato, gareggiavo con il mare e poi il mare alla fine ha vinto. Sono precipitata mentre cercavo di inseguirlo.”

“Inseguirlo? Che stolta sei stata, come può una creatura della superficie sfidare l’immensità delle acque marine?”

“Sono stata costretta” ribadì la nave, “il mare cominciò a rubarmi il sonno, mi chiamava, mi scuoteva, pretendeva di interferire con il viaggio. Spintonava la chiglia, riempiva gli oblò, rastrellava a babordo. Il mare bussava ad ogni mia porta, insisteva sottocoperta ed io stavo per infilare la chiave nella toppa quando sentii la serratura aprirsi dall’interno. Un’onda riuscì a mandare giù i battenti, la cambusa si riempì d’acqua e non potetti fare altro. Seguii il flusso dell’acqua.”

“Un’onda ha fatto questo?” I pensieri di ondina presero a correre più in fretta, si sentì scrutare l’anima, era lei stessa e tornava a caccia dei suoi pensieri più intimi.

“Oh, sì! sono debitrice a quell’onda” rispose il relitto dal fondo della sua carena, “quando si piomba nella disperazione si ha l’opportunità di scoprire la propria vera natura.”

“Cosa stai dicendo? Eri una nave maestosa e avresti potuto salpare fino a scoprire il largo, alla luce del sole, godendo i respiri del vento”.

“E’ vero e finché ho potuto l’ho fatto, ma sono cresciuta a metà fra due mondi: il cielo ha risuonato infinite volte sopra le mie vele, limpido e forte, ma il segreto delle profondità ha accarezzato i sogni che nascondevo sin dall’inizio. Quell’onda coraggiosa mi ha dato l’opportunità di cambiare corso alla mia vita.”

La nave parlava diretta al cuore e ondina cominciò a ricordare. Tornarono i pensieri, la scorribanda notturna che ebbe luogo quel giorno, con le altre sue compagne, fino a comporre la grande onda. Raccolsero molte adesioni quella volta e l’onda fu la più grande mai stata, un trionfo: la distruzione. Uno sbaglio irrimediabile.

“Oh nave, come potrai mai perdonarmi” piagnucolò, “ora non puoi più tornare indietro e a cosa è servito tutto questo, non ci sono tesori quaggiù oltre il buio.”

“Invece sì, mia cara amica, ho potuto esaudire il mio sogno. In quella notte di speranza ho capito che percorrere la propria strada è tutto, non importa che ci sia un prezzo. A guardare bene, non c’è mai abbastanza tempo per amare la vita e sprofondare e sprofondare almeno ci restituisce al sonno, così finalmente possiamo sognare di tutto.”

 

 

 
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