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Io speriamo che me la cavo

Post n°39 pubblicato il 24 Novembre 2007 da TamaraRufo
 

Non è molto che sono qui. Trieste è Trieste. Non è Tobruk. Ma ci si fa l’abitudine. C’è poca roba in casa e i documenti non sono pronti, ma lo dissi ad Asad, almeno mi avesse ascoltato, l'organizzazione di Pepo ha aiutato suo cugino, ma quelli come noi non resistono a lungo nelle organizzazioni umanitarie, prima o poi devono muoversi.

Trieste è Trieste. Asad non si rassegna, il viaggio è stato lungo e qui, a Trieste, lui vuole restarci. Così si arrangia, ha chiesto un po' di prestiti in giro e adesso va forte. Per un po’ l’ho aiutato a vendere cd per la strada, poi siamo entrati in cantiere, aspettiamo i materiali e li distribuiamo, in un mese abbiamo messo insieme 600 euro. Non è molto. Ma sufficiente per pagare da dormire una stanza.

 

Quando sono arrivato, mi hanno affidato a una di quelle organizzazioni per la gente come me. Loro in qualche modo ti sistemano, prima ancora di capire dove ti trovi, loro fanno i dovuti controlli. Ti arrestano.

A me e ai miei fratelli, ci hanno presi tutti. Tranne Asad, lui va forte, è riuscito a liberarsi prima dello sbarco, buttandosi lungo la costa occidentale. Più a sud.

Asad è uno che non gli frega niente, sa come fare.

A noi altri ci hanno trattati come delinquenti, ci hanno tirato giù dal barcone con i fucili puntati. A noi che eravamo disperati e bagnati, le cerate appiccicate alla pelle, loro ci hanno detto di restare fermi.

Salehe è svenuto non appena ha toccato terra, i piedi nella sabbia molle e boom, è andato giù, ho pensato che fosse morto, finché ieri, o forse l’altro giorno, non l’ho rivisto in camerata che alzava una piccola rivolta. Chiedeva di uscire, ha roba da vendere, lui. “Che roba?” gli hanno chiesto gli uomini in divisa. “Roba mia” ha risposto, Salehe, “ho i contatti, io; uno che sta fuori di qui” diceva. Bè, si faceva capire.

A noi ci denunciano già prima di partire, in anticipo ci bloccano in mezzo alla strada, raccontano che siamo con le mani nel sacco, perché la polizia prende soldi per venirci a pescare. A noi ci cacciano, perché la polizia non vuole storie; la polizia si divide il traffico, uomini, donne e bambini.

Ma a me non frega niente, basta che esco di qui, voglio fare come Asad, scappare e mettermi in moto. Sono stanco di stare fermo. Ci so fare io, sono furbo io. Mentre sto qui, penso a mia madre prima che salissi sul barcone, ci siamo abbracciati, ho promesso di non tornare senza pensare alle necessità della famiglia. Frega niente a me, all’ignoto che ho davanti rido in faccia. Penso a mia madre e ai miei fratelli, quando sono partito mi hanno detto di andare dritto. Dovevo arrivare sulla costa, e sarebbe andata come sarebbe andata.

Agli stranieri non piacciamo noi, ci guardano nei pantaloni e ci tengono l’arma addosso. Pensavo che saremmo stati accolti, siamo partiti per trovare una vita nuova ma abbiamo trovato la guerra. La polizia ci sta addosso, infastidita dalla nostra fame e dalla nostra stanchezza, ci allontana rimandandoci a casa. “Spostati!”mi hanno detto, “puzzi di marcio”. A noi la gente ci mette contro vento.

Ho visto tanti fratelli disperarsi, nessuno sa come finirà, loro chiedono l’elemosina davanti alle auto dei carabinieri, si trascinano nella tristezza, e nessuno vede la dignità di lavare vetri a un semaforo. Pregano per la loro famiglia, spaventati per il viaggio, vorrebbero tornare indietro ma indietro non c’è nulla che li aspetta.

 
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