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Shadows of the Damned - La Recensione

Post n°43 pubblicato il 05 Luglio 2011 da TerminusGamesPc
 
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Shadows of the Damned – La Recensione

 

-Neil-


Ci sono tre cose nella vita che mi ero ripromesso di non fare mai: paracadutismo, cercare di comprendere la passione nipponica per il tentacle rape, e giocare di nuovo un survival horror.

E visto che questo non è un blog sugli sport estremi, né tantomeno, purtroppo, sugli hentai del Sol Levante, parliamo di questa terza imposizione che mi ero fatto quando ancora ero giovane ed un cieco avrebbe potuto leggermi dai brufoli le indicazioni per il centro città.

Ero reduce da quei due capolavori di Resident Evil e Clock Tower sulla mia amata Playstation, e proprio per questo motivo non dormivo con la luce spenta da giorni. Sentivo i Cerberus sotto al letto, vedevo occhietti rossi dappertutto e la voce della sveglia di Goku, che amabilmente ogni ora ti ricordava che ore fossero, continuava a suonarmi in testa come un eco.

Perché fondamentalmente, ero e sono un cacasotto.

E da buon cacasotto, da lì in poi mi sono sempre tenuto lontano da tutto ciò che potesse essere anche solo vagamente dipinto come un survival horror. Quindi niente più Resident Evil, Silent Hill, F.E.A.R., Rule of The Rose e compagnia. Solo tanta pucciosità, tanto Final Fantasy e tanto, ma proprio tanto Pro Evolution.


Poi, all'alba dei 29 anni, succede l'impensabile.

Succede che quel genio/deficiente ribelle di Suda 51 (Killer 7, No More Heroes, Contact), annunci un progetto assieme a Shinji Mikami (Resident Evil) e Akira Yamaoka (Silent Hill, musiche). E fin qui, gaudio a palate. Cavolo, il creatore del titolo più “punk” e cazzuto per WII e PS3 insieme a due mostri sacri dell'industria videoludica possono dar vita solo ad un capolavoro, è come se gli sviluppatori di FIFA e PES stringessero alleanza per sfornare il titolo definitivo!

Suda-Yamaoki-Mikami

Ma... due maestri delle atmosfere horror ed il maestro del gioco malato, a cosa potrebbero dar vita? Nel mio cuore speravo mille cose diverse. Speravo in un gioco di macchine sceme; speravo in un manageriale sulla pallavolo femminile; speravo in uno sparatutto in soggettiva per una volta dalla parte dei vietkong.

Ma sotto sotto, neanche troppo sotto sennò è molestia però, sapevo che cosa avrebbero creato le menti di questi tre elementi messe assieme: un fottuto, odioso, disturbante,

SURVIVAL HORROR.

Da qui il dilemma: perdersi il nuovo gioco di uno dei propri idoli, o passare sopra alle proprie reminiscenze di terrore ed insonnia e vedere se la fifoneria di un quattordicenne è svanita?

Oppure mangiarsi una pizza?

Mangiata la pizza, la decisione: metter Shadows of the Damned in un sacchettino, portarlo a casa, attendere fino a sera e dimostrare al mondo la propria virilità, per una volta senza dover fare delle foto con il culo fuori da un finestrino. Quindi, dopo tutto questo preambolo, una settimana e mezzo di improperi e tre pizze a domicilio, ecco a voi la recensione del nuovo gioco di EA e Grasshopper Studio!

Prosciutto e Funghi

"My Name Is Garcia Fucking Hotspur...”

C'è qualcosa di più importante, all'interno di una qualsiasi storia, del protagonista della storia stessa? Nulla. La trama può essere già vista e già sentita, i colpi di scena piatti ed annunciati, ma se il protagonista ha carisma, ha carattere e soprattutto è FIGO, i difetti appena citati diventano imperfezioni appena visibili. Lo insegnano, andando a ritroso i vari Duke Nukem, Grayson Hunt, Rico Rodriguez, Travis Touchdown, personaggi così “cool” da salvare i loro stessi giochi da varie povertà grafiche, ripetitività del gameplay, pecche di qualsivoglia genere. Chiaro, se poi il gioco fosse esente da difetti giganteschi E con un signor protagonista sarebbe meglio, sarebbe...

Shadows of the Damned!

Impersonerete Garcia Hotspur, un cacciatore di demoni professionista tatuato dalla testa ai piedi con chiare origini ispaniche, e sarete accompagnati dal fido teschio parlante ex-demone Johnson, utile tanto nel dispensare consigli sul da farsi quanto nel tramutarsi in torcia o arma all'occorrenza.

La vostra missione consisterà nel cercare la vostra amata, Paula, in lungo e in largo per tutti gli inferi per riportarla con voi (facendo così il verso a quel Dante's Inferno che Suda 51 aveva definito un gioco banale con un inferno noioso), e per farlo dovrete strapparla dalle mani del perverso (e per perverso intendo proprio porco) Signore dei Demoni, l'occhiuto Fleming.

E dopo il breve tutorial iniziale, è proprio qui che finirete, sulla Highway to Hell (!) in sella al buon Johnson per l'occasione in formato chopper, per varcare alla velocità del suono le porte della città infernale.

Suda aveva promesso un inferno più... “vivace”, ci sarà riuscito?

Assolutamente si.

Già dai primi passi nella decadente cittadina di periferia che circonda il Castello della Rottura l'aria di morte e sangue che si respira è forte, calda e densa, capace di immergere chi vi si avventura senza però farlo sentire però troppo oppresso, quasi a voler fare assomigliare più il tutto ad una macabra gita fuoriporta piuttosto che alla canonica missione suicida in terra nemica a cui troppi sceneggiatori ci hanno abituato.

I nemici che ne popolano le strade sono, almeno inizialmente, ostici solo se affrontati in branco, ma acquisiscono pericolosità a contatto con il loro elemento naturale nonché vostro nemico peggiore, l'oscurità. Talvolta, questa sorta di buio magico avvolgerà gli ambienti di gioco, potenziando gli avversari ed indebolendo voi, fino a portarvi ad una rapida morte salvo trovare dei buffi candelabri-capra che colpiti con il Boner (una delle vostre armi iniziali) riporteranno la luce e la calma.

Ed è proprio questo continuo gioco di luce ed ombra che si inseguono a fare da leitmotiv per tutto il corso dell'avventura, sia nelle normali fasi di esplorazione, che di normale, a furia di battute e grezzerie varie hanno sempre ben poco, sia negli scontri con i boss. Proprio su di loro bisogna soffermarsi per un attimo: premesso che il gioco, per avere un grado di sfida adeguato vada settato in modalità Cacciatore di Legioni (Difficile), gli scontri con i boss sono tra i più galvanizzanti del genere, e pur presentando quasi sempre gli stessi pattern, risultano sempre elettrizzanti ed impegnativi, e non lesinano colpi di scena ogniqualvolta s'è certi di aver mandato al tappeto il bestione di turno.

E mentre la trama si dipana lineare e trasheggiante come un film di Rodriguez, le varie fasi del gameplay (cinque, fondamentalmente) si alternano frenetiche per rinfrescare continuamente un' esperienza che già non avrebbe bisogno di espedienti per non risultare stantia.

Queste cinque fasi, per spiegarle in maniera semplice, alternano cinque generi totalmente diversi ma ben inseriti in modo da non risultare mai fuori posto. La prima, e più presente, è chiaramente la fase d'esplorazione, fulcro del gioco, con la fase dei boss a coronamento di ogni fase centrale dei vari atti. In mezzo ad esse, intermezzi con semplicissimi puzzle resi più “nervosi” dalla costante presenza dell'Oscurità, inseguimenti dove la preda, a discapito delle apparenze, sarà proprio il buon Garcia. Ultima, ma non per divertimento e soprattutto per la bellezza con la quale è realizzata, è la fase a mo' di shooter a scorrimento, come un R-Type o Xevious dipinti a schermo con una tecnica che ricorda quella delle marionette di carta, la stessa che permea anche le schermate di caricamento e quelle di avanzamento sulla mappa.

Fondamentalmente, sembra che Suda, Yamaoka e Mikami abbiano riversato tutto quello che potesse essere divertente ai loro occhi, mescolando stili grafici e musicali, di gameplay e narrativi, per creare un gioco che possa essere apprezzato anche da chi, come il sottoscritto, non vive propriamente a pane e Resident Evil, ammesso che abbia un minimo di senso dello humour per apprezzare le crudeli battute e le frequentissime citazioni. A proposito di queste, il gioco ne è pieno, e vanno dalle evidenti prese in giro nei confronti del massacrato Dante's Inferno, a quelle storiche che chiamano in causa Ghost 'n' Goblins, a Silent Hill e No More Heroes, solo per citarne una minima parte.

Sidescrolling

...hunter of demons and slayer of pendejos!”

I tre geni dietro al progetto lo avevano definito, in tempi ancora non sospetti, un “punk rock psychological action thriller”, e detto schiettamente non avevo capito per bene che cosa intendessero. Ora, perlomeno posso darmi una spiegazione. Fondamentalmente, è un viaggio violento e grezzo si negli inferi ma anche nella stessa mente di Garcia, pieno di pallottole e sangue che riporta alla mente altri due capolavori di Suda Goichi: No More Heroes, per l'anima punk, e soprattutto Killer 7 per ciò che concerne il plot ed i dialoghi rock e malati.

E da questi giochi, Shadows of the Damned prende in prestito non solo l'anima, ma anche i difetti.

Tecnicamente, infatti, Shadows of the Damned non è “inadeguato” su X360 e PS3 e PC come NMH lo è stato su PS3, ma dopo aver apprezzato perle come Killzone 3, L.A. Noire o Portal 2, si vede come Grasshopper non riesca mai a tenere il passo delle software house più grandi. Alcuni bug e glitches poi, addirittura in corrispondenza del boss di fine gioco, infastidiscono e fanno sempre ricordare che i titoli di Suda, che sacrificano la tecnica in virtù dello stile, hanno sempre quel vago sapore di “perfezionabile” che va a permeare tutta la durata dell'esperienza fino all'ultima schermata, laddove, di solito, tutto va a cancellarsi lasciando solo un sorriso ebete e soddisfatto.

DMD

 

Let the bloodbath begin!”

Insomma, tirando le somme di questo gioco, mi sento in dovere di dire, com'è ormai consuetudine, che Shadows of the Damned non è un gioco per tutti. Non apprezzate lo humour nero e i doppisensi spinti? Non compratelo. Non apprezzate le brutalità e la mancanza costante di un approccio tattico al genere dei survival horror? Non compratelo. Non vi interessano gli esperimenti di mix di più generi per creare un sottogenere diverso dal solito? Non compratelo.

Ma se invece avete senso dell'umorismo, volete provare un'esperienza di survival horror diversa dal solito e vi diverte fare strage di zombies senza star troppo a pensare all'approccio, questo è sicuramente il gioco per voi. Come i suoi creatori, così il gioco. Geniale, innovativo, divertente, ma anche grezzo, spigoloso ed imperfetto. Fatevi un favore: provatelo, ne vale la pena.

DMD2

...e per chi fosse un cacasotto come me, andate tranquilli, se sono sopravvissuto io, voi potrete mangiare dei carnosi hamburger mentre giocate (ma questa la capirete solo alla fine del gioco).

 

VALUTAZIONE FINALE:

GAMEPLAY: 9
AUDIO: 8
GRAFICA: 6
DURATA: 7
SGARGIULLEZZA: 9
___________________________________
VOTO COMPLESSIVO
SHADOWS OF THE DAMNED: 8

 

-Neil-

 

Goku Sveglia

 

 
 
 
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