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Glenn Hughes "BURN"
Glenn Hughes in alcuni minuti di "BURN" dei Deep Purple, dopo un codino di "YOU KEEP ON MOVING' " a Trieste, il 5 agosto di quest'anno. Si tratta di un video fatto col cellulare, al volo. Transitavamo per Piazza Unità, abbiamo sentito un sound noto, iscritto nel DNA, e io mi sono precipitata sotto il palco... Quindi la qualità è quella che è, in più la registrazione si interrompe per cedimento di batteria, sigh!... Ma ha un valore affettivo e gli amanti del genere e/o dell'uomo potranno apprezzare il gesto...
Mi piacerebbe parlare con qualcun'altro che l'ha sentito dal vivo quest'estate o in altre occasioni. Un grande!!!! Aspetto notizie!
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c'e' vuoto nel vuoto.
nel vuoto cade un sassolino
il vuoto si rende conto di se'
il sassolino diventa il suo specchio
resta sospeso nel vuoto e diventa il suo centro
attorno si coagulano pensieri che prima non esistevano
diventano materia
e non sei piu' com'eri il giorno prima.
il pieno e' grasso e gonfio.
galleggia in autonomia autocompiacente
respinge qualsiasi proposta
s'infila l'ago di un cactus
il pieno si rivolta, scoppia
proietta tutto se stesso fuori
resta il nulla in attesa
che si faccia il vuoto.
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ABU IL PESCATORE
Abu era figlio di pescatore e nipote di pescatore. Da bambino aveva visto mille e più volte gli uomini del villaggio partire in mare aperto con le barche, con ogni tempo e in ogni stagione, per poi ritornare col pescato e fare festa nel villaggio. Era la vita da pescatori e nulla cambiava.
Un giorno suo padre e gli uomini della sua barca non tornarono dal mare. Una tempesta restituì solo molto più tardi dei pezzi di scafo.
Crescendo, Abu non ne volle sapere di uscire in mare. Imparò tutto dei pesci, i nomi, le varietà, le caratteristiche. Aiutò suo zio pescivendolo in negozio e lavorò anche in locanda, dove imparò a cucinarli. Ma non volle mai andare in mare a pescarli.
Abu crebbe e, per vivere di pesce, com’era tradizione nel villaggio, si mise ad allevarne una specie d’acqua dolce in una vasca che si costruì apposta dietro casa. Gli affari andavano a gonfie vele. Abu era conosciuto in tutta la regione per i suoi pesci prelibati, richiesti anche da molto lontano. Abu era felice e ogni giorno ringraziava Dio per la fortuna che gli aveva concesso. Non doveva uscire in mare, non doveva fare a pugni col tempo, non doveva mantenere la barca. Era sufficiente tenere pulita la vasca e assicurarsi che i pesci si moltiplicassero e avessero cibo a sufficienza. Era l’uomo più felice della terra.
Successe però che i pesci si ammalarono e morirono. Abu se ne fece portare degli altri che morirono anch’essi, subito dopo. Nel villaggio si mormorava che l’acqua del pozzo di Abu fosse inquinata. Allora Abu, con grande dispendio di denaro ed energie, portò l’acqua da un altro pozzo. Ma i pesci morirono lo stesso.
Abu desistette. Non poteva più vivere di pesci. Ora si arrabbiava ogni giorno con Dio per la peste che gli era toccata. Si lamentava con tutti della propria sorte. Era diventato irascibile e scorbutico e pian piano tutti lo abbandonarono, la gente smise di aiutarlo e di sostenerlo. Cadde in miseria e si ammalò. Un giorno ne ebbe abbastanza e volle farla finita. Decise di buttarsi dalla scogliera. Prima di lanciarsi nel vuoto stette a lungo con lo sguardo fisso all’orizzonte. Poi urlò a Dio: “Che vita mi hai destinato? Che senso ha tutto ciò? Non voglio più vivere così. Questa non è vita!”
Dio gli rispose: “Non è vita nemmeno quella vissuta nella paura. Chi vive nella paura muore prima. Non si può scambiare il mare con una vasca. La vita insegna altrimenti.”
Abu stava comunque per morire, perciò ascoltò quelle parole. La morte apre il cuore e la mente, fa cadere tutte le corazze. Abu sentì e capì…
Non morì quel giorno ma molti anni dopo, con la pelle arsa dal sole e dalla salsedine, con gli occhi pieni del blu più profondo del mare con cui si era riconciliato…
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SORRIDERE, e perché dovrei?
L'altro giorno ho scritto ad un amico da poco ritrovato, che cerco di non lesinare sorrisi, perché un sorriso non costa niente e fa tanto bene a chi lo fa.
Ti sei accorto, gli ho scritto, che se sorridi, anche sforzandoti, il tuo cielo interiore muta, almeno un pochino? E’ matematico, il movimento del sorriso ti mette in moto un processo chimico-psichico…. Ed ho concluso mandandogli un sorriso.
L’amico ritrovato non mi ha risposto più. L’ho perso di nuovo, è scomparso dall'orizzonte.
Ho imparato che un sorriso può anche fare fuggire. Ma non gli amici.
Non i CUORI aperti e curiosi.
Fugge da un sorriso chi ha paura. Chi ha interesse a covare rancore, livore, rabbia. Lo dico, perché nella mia vita ho indossato anche quest’abito, per un bel po’.
Cito qui una frase che ho letto sul profilo di ILBRANDANO, alla quale mi sono permessa di aggiungere una parola fra parentesi, e che riassume benissimo quanto sopra.
“Sorridi sempre anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste, c’è la tristezza di non saper (più) sorridere”.
Del Messico ricorderò tante cose, ma una su tutte mi è rimasta impressa: la lezione delle persone che ti sorridono sempre. Ti guardano negli occhi, li cercano proprio, i tuoi occhi, per salutarti, per sorriderti, per ricordarti che sono qui davanti a te, per questi brevi istanti, e qualsiasi cosa tu abbia nell’animo, sorridere è la prima medicina, è la prima nota blues. Avevo quasi vergogna a guardarli, schivavo gli sguardi, perché non riuscivo a rispondere ai sorrisi semplici e disarmanti dei passanti, degli inservienti, delle cassiere, delle mamme. Ma me le sono portate indietro dal viaggio tutte quelle perle bianche, quegli occhi tondi e caldi. Mi hanno perseguitata, come un incubo al contrario, finché non ne ho compreso il messaggio.
Anni dopo, in Irlanda, ho trovato la terra degli occhi che ridono, un’altra terra generosa ed accogliente, dove le persone si aiutano e si sorridono, così, senza secondi fini. Mi sono ricordata dei miei Messicani. Seduta su uno scoglio sull’oceano, vicino all’erba più verde che c’è, ho sorriso e ci siamo finalmente abbracciati aldilà della grande acqua.
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