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LA LOGICA DEL "MI PIACE"

Post n°131 pubblicato il 18 Gennaio 2013 da Heart.and.Soul
 
Foto di Heart.and.Soul

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Facebook, si sa, è più popolato di una piazza nell'ora di punta, specialmente se di persone ne conosci (o ne "fai amiche") tante. Non solo! In una piazza bisogna fare qualcosa di molto evidente se si vuole che la gente si accorga di te. Facebook è lì. E tutti, scorrendo nella propria "home" devono per forza vedere ciò che tu hai pubblicato. Distrattamente, con più o meno attenzione, però hanno visto. E poi c'è lo strumento che per molti è un vero e proprio credo, una chimera, il termometro della tua accettazione. Il "mi piace".


L'altra sera parlavo con mio cugino tredicenne . Età che non puoi comprendere a fondo nemmeno se l'hai già vissuta. Tant'è che riflessa negli altri, se si ha pazienza e la curiosità, non smette mai di sorprenderti. 
Lui è uno di quelli che i napoletani chiamerebbero "guappo". Ama piacersi e piacere per un semplice smodato bisogno di approvazione. Per lui l'immagine è tutto. Apparire, e farlo in un certo modo, a suo parere, è la chiave che apre tutte le porte. Fa guadagnare due cose molto importanti: l'approvazione delle ragazze e il rispetto degli altri maschi della zona.
Ed è a questo punto che il social network inizia a giocare un ruolo fondamentale. La discussione si è fatta interessante e allora mi sono fatto spiegare questa "logica del mi-piace". È un sistema studiato a puntino sulla scelta, l'uso e la condivisione della propria foto profilo. 
Bisogna partire da un presupposto, all'apparenza banale ma essenziale, che è quello di avere una bella foto. La foto deve mettere in mostra ed esaltare i punti forti del tuo aspetto e far sparire, come fossero qualcosa da ripudiare, i propri punti deboli. 
Deve esaltare l'altezza, prima di tutto: alle ragazze piace il "tipo" alto. I muscoli sono molto importanti, soprattutto petto e spalle. L'abbigliamento deve dar forza ai due elementi precedenti e suggerire bella vestibilità e bella presenza. I capelli e gli accessori sono fondamentali, devono essere di tendenza e richiamare icone della moda, del calcio o dello spettacolo. Anelli, tatuaggi, piercing, catenine e catenacci. Infine, sperando di non dimenticare nulla, l'espressione. Il duro funziona, ma fino ad un certo punto, il sorridente mostrerebbe un bravo ragazzo e quindi un potenziale "senza palle". Ce n'è una che le batte tutte 10-0. La bocca assume una forma strana, è serrata e si inarca su un lato fino quasi a sollevare uno zigomo. Gli occhi tendono a chiudersi creando l'aria da furbetto della serie: "Sì, l'ho rubata io la marmellata, e farlo è stato fighissimo". Riassumendo, la faccia di Kevin quando scopre per la seconda volta che i genitori sono andati in vacanza e non se lo sono portato dietro. Eccolo lì. Quello.

Dopodiché si passa alla pubblicazione. E così, allo stesso modo con cui un discografico o un manager aspettano i dati sulle vendite del disco del proprio artista di punta, ci si mette seduti davanti allo schermo un paio di minuti e si attende che inizino letteralmente a fioccare i "mi piace".
Le prime 24 ore sono fondamentali. È quello grossomodo il periodo di giacenza di un post sull'homepage dei "più popolari". Quest'opzione consente di alleggerire la quantità di informazioni da visualizzare inserendo solo le pubblicazioni che hanno ricevuto abbastanza "mi piace" o commenti. Se entra lì, il gioco è fatto. Una sorta di hall of fame temporanea. È provato che più "mi piace" ci sono su una foto, più possibilità si hanno che un nuovo visualizzatore aggiunga il proprio apprezzamento.

Dopo un tot di giorni si tirano le somme. Quanti mi piace ha ottenuto la foto che ho pubblicato? E le altre?
Il fatto che una foto abbia raccolto un determinato numero di consensi non indica soltanto che lo scatto in sé sia stato particolarmente apprezzato, ma, più d'ogni altra cosa, è la prova tangibile che la massa virtuale che popola il social network ti sta dando consenso.
Più alto è il numero degli apprezzamenti, maggiore è la considerazione nella quotidianità.

La verità però è che, nel bene e nel male, tutti abbiamo bisogno che qualcuno ogni tanto ci ricordi che siamo unici, che contiamo davvero, che non siamo un numero su una statistica.
Non è il giovane cuginetto a rappresentare una presunta decadente generazione di giovani d'oggi. Nah... Ci siamo dentro tutti. Forse leggere di come i ragazzi stanno imparando a gestire questa cosa, di come realizzino addirittura dei piani per crearsi l'illusione dell'accettazione e il loro farne quasi un mantra ci stupisce, ci lascia perplessi o ci fa scuotere la testa. Ma non è molto diverso da quello che succede nella nostra mente. È un po' meno strutturato e sovrastrutturato, però è lì.

Tutto questo è diventato un bisogno insaziabile dal quale non ci si può e non ci si riesce a tirar fuori. Come una droga. A volte si va in debito di approvazione, si pensa di aver perso la propria forza attrattiva, di non essere più considerati abbastanza o del tutto, di non riuscire a stare al pari con gli altri, di essere troppo flaccidi o troppo scapigliati o troppo malvestiti o non all'altezza di qualcosa.
Finché non arriva quella che amo definire "la chance": un matrimonio, una festa, una serata in discoteca, una cena tra amici, una vacanza in cui improvvisamente...TAC! Lui. Come un fulmine a ciel sereno, con la stessa potenza del flash che lo ha illuminato. È LO SCATTO GIUSTO. Quello che ci ricorda che non siamo la feccia della zona, del gruppo, della comunità, che esalta quanto sono belli i nostri capelli, i nostri occhi, il nostro sorriso. Quello che ci fa dire: "Ecco, cazzo, nonostante tutto è così che sono o che vorrei sentirmi tutti i giorni".
Lo prendiamo e lo pubblichiamo on line. Lo sbattiamo letteralmente in faccia agli altri utenti che hanno la possibilità di farti sapere se la comparsa del tuo primo piano sul loro schermo abbia suscitato in loro  interesse o meno.
È come un'iniezione perendovena di fiducia, una consolazione. Un cucchiaino di Nutella ingoiato con foga alla faccia di chi ci dice che fa male.

Alla fine, però, tutto questo è solo un frammento di un brutto sogno. Un dramma andato in scena nel teatrino privato della nostra mente dove siamo gli unici spettatori impotenti di ciò che si sta rappresentando. Censori e recensori sono banditi:"È una tragedia? È la mia. Per cui mi piace!". 
Ma non è poi così vero...Non ci piace per niente. E come se non bastasse non abbiamo la più pallida idea di come uscire da lì. Le vie di fuga sono serrate. La chiave per aprirle è nascosta sotto una piastrella. Alcuni sanno dov'è, eppure fanno finta di non saperlo. Potrebbe arrivare qualcuno a darci qualche suggerimento su come trovarla, ma il più delle volte li ignoriamo spudoratamente o speriamo soltanto che, senza troppi giri di parole, quelle porte vengano aperte e ci liberino. Ma aggirare l'ostacolo non è la soluzione giusta.
E poi cambio di inquadratura. Un carrello che a 180º passa da una soggettiva a un primo piano. Il volto che vediamo è il nostro, ma il viso è pulito: non c'è barba, non c'è trucco, non c'è piega sui capelli, non ci sono rughe, calvizie o segni dell'età. C'è un adolescente di 13 anni. Non si piace, non sa dove mettere le mani, come comportarsi, quando intervenire e quando stare zitto, teme i cambiamenti, come quelli che stanno prendendo forma nel suo corpo.
Sta assistendo ad un dramma. Ci sono delle porte apparentemente chiuse e una mattonella nasconde una chiave che permette di aprirle tutte quante. Solo che non sa dove sia. Al di là di quelle porte c'è la fiducia in se stessi, c'è l'ottimismo, la consapevolezza, la fiducia, l'integrità. Dentro, invece, nient'altro che quest'ignobile show della paura la cui prima replica si ripropone come un loop.
Per provare a distrarsi, nel frattempo, pubblica una foto su Facebook, sperando che il mondo, lì fuori, risponda al suo richiamo. 
È muto tra i pixel, ma nella sua mente è un urlo nel vuoto.

 
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