beskersi

Ho il mio blog!. Durante la mia Infanzia, vivevo quattro cinque mesi dell’anno su nelle montagne dell’Appennino, e se pure sentivo la mancanza dei miei amici, erano giorni felicissimi.

Figlio  di carbonaio, ho bevuto a incontrollate sorgenti, ho mangiato polenta arrostita sulle vive braci, ho dormito in “rapazzole” in capanne di “piote”, ho seguito mio Padre alle 4/5 del mattino per raggiungere il luogo di lavoro, e lì mi “infilava”dentro una balla e io mi addormentavo nuovamente sul caldo terreno delle piazze delle carbonaie, e sotto il “Vaglio” per ripararmi dalla guazza mattutina; quanta strada ho percorso!. Ma mai avrei immaginato che un giorno tanta tecnologia fosse a mia disposizione.

Durante la giornata avevo il compito di andare alle sorgenti più vicine per raccogliere acqua fresca, comunque passavo anche molto tempo a rincorrere farfalle ed altri insetti, ma l’impegno che più mi piaceva era quello di costruire piccole carbonaie e con piccoli pezzetti di carbone, che riuscivo produrre, contribuire ad una maggiore produzione, dicevo io, e il mio babbo mi assecondava dicendo “è davvero un bell’aiuto!”.

Sul mezzo del giorno arrivava mia Madre con il pranzo. Un povero e spartano pranzo, che però mia Madre, con le sue capacità, che erano notevoli, riusciva sempre a renderlo appetibile, riservandoci anche qualche piccola piacevole sorpresa. Io  arrivavo con l’acqua fresca, ci sedevamo all'ombra del bosco, mio Padre si metteva la giacca sulle spalle perhè sudato, la mia mamma ci serviva su una piccola tovaglia  posta sopra una  pietra; quindi un breve sonnellino per mio Padre, prima di riprendere il lavoro.

Poi calava la sera, mia Madre andava in anticipo alla capanna per accendere il fuoco e preparare la cena che per lo più, consisteva in polenta che mangiavamo assieme a formaggio o  pancetta di maiale, l'arrostivamo al fuoco e poi la stropicciavamo sulla fetta di polenta o di pane per una maggiore riuscita del companatico, lasciandone poi un piccolo pezzetto per il “boccone finale”

Il fuoco emanava un piacevole tepore, le fiamme con il loro inseguirsi verso l’alto, producevano, nel buio tra le piante di faggio, figure strane che a volte mi sembravano bellissime e a volte mi incutevano timore; allora piano, piano mi rifugiavo tra le rassicuranti braccia di mio Padre, “ma il babbo è stanco” mi rimproverava mia Madre “lascialo fare fa freddo” aggiungeva mio Padre, poi mi stringeva a se e mi copriva con la sua giacca che aveva un piacevole odore di carbone. Era il momento più bello, al  sicuro dal freddo e dal timore di figure malvagie, continuavo ad accompagnare le fiamme che si inseguivano su, su, verso il cielo, finche il mio sguardo incontrava le stelle. Libera da ogni altro pensiero, la mia mente vagava tra di esse, e la fantasia correva velocissima, costruendo e  distruggendo, alla ricerca di una qualsiasi spiegazione dell’universo.

Poi il sommesso parlare dei miei genitori(di noi figli,del tempo che restava ancora per il lavoro,delle provviste necessarie per l’inverno), il  crepitare del fuoco, il frinire degli insetti, il caratteristico“glu,glu,glu, dell’allocco, erano tutti rumori miei amici  e in compagnia di essi, mi addormentavo.

Quanta felicità mi danno ancora i ricordi della mia infanzia !, forse è vero il detto "La vecchiaia è come un conto in banca, si preleva ciò che si è accumulato"!