Creato da baubo_a il 11/04/2012

Baubo

eros e gioco

 

 

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in fondo alla piramide

Post n°11 pubblicato il 15 Luglio 2012 da baubo_a
 
Tag: baubo

 

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Appisolata sotto le coperte. Improvvisamente mi vedo: ragazzina dalla pelle amaranto, vestitino dorato con grandi greche turchese sul bordo e sulle spalle. Snella, capelli dritti e neri. Occhi grandi neri, spalancati e allungati. Strisciolina azzurra che serra i capelli sulla fronte.

Dietro a me una guardia, meglio un ragazzino con una leggera armatura, sandali allacciati, una lancia. Complice. Mi sta accompagnando lungo una stretta scala di pietra che scende ripida e buia fino al cuore della piramide.

Arrivo saltellando leggera, stanza alta di pietra, spoglia e seria, scura, solo un grande letto addossato a una parete. In fondo, sul pavimento, una tavola di legno che copre una larga botola.

L'uomo è qui, spesso abita questa stanza che è sua, la impregna della sua presenza. Non molto alto, un po' rotondo, senza capelli, pelle scura, serio, severo.

Lui è un sacerdote del tempio e nello stesso tempo è uno dei costruttori della piramide per cui sa di numeri, forze, equilibri, di morti, di mummie, di intrugli; di parole e riti e rituali. Sa di corpi, di menti e pensieri.

Il soldatino se ne va con la porta che si chiude alle mie spalle. Non sento paura, molte volte vengo qui, lui mi chiama, mi fa venire a prendere lassù al villaggio dove vivo e, dalle stradine piene di sole, di voci e risate, mi fa condurre qui. Solo un leggero tremito avverto. Mi piace e spaventa, essere qui. Ogni volta così. Fa fresco, i miei occhi ancora son presi dalla luce del cielo libero lassù, quaggiù l'ombra, il gioco, il tremore, il brivido dell'inconosciuto che il mio corpo, lo so, aprirà.

Lui sta guardando dei rotoli, seduto all'angolo del letto. Sfoglia, gira, rotola e srotola, preso dalle sue carte. Io, in piedi, aspetto e cerco di sciogliere un po' il calore del corpo alla frescura della stanza.

Ancora col rotolo tra le mani mi fa cenno d'avvicinarmi. Siedo. Mi cinge i fianchi.

Sta, col braccio sul mio vestito, solo una leggera pressione ogni tanto. Io respiro. Aspetto, una leggera attesa che sale.

Posa il rotolo, si gira verso me, guarda il mio vestito, guarda ancora, ora il mio corpo. Non guarda me. Mi fa alzare, prende il bordo della veste e la solleva, la sfila dalle braccia. Sono nuda davanti a lui. Un tremito, chiudo gli occhi. Mi sta scrutando, avverto che alza la mano, tocca la mia spalla, scende con le dita lungo il petto, scivola sul seno, fino al capezzolo. L'altra mano improvvisa sull'altro capezzolo. Li stringe, mi fa male. Tento di scostarmi, mi prende, sento la forza della presa. Mi stende sul letto, s'avvicina con la bocca alla mia fronte e alita su di me. Scende sulla mia bocca, la tappa con la sua con un impatto deciso, trattiene, sono senza respiro. Tento di girare la testa, non riesco, mi sollevo con il petto, devo respirare, prende con le mani i seni e mi costringe ancora sotto di lui. Lascia un seno e mi accarezza i capelli, dall'alto del mio capo, lentamente, fino alle spalle, lentamente, a lungo. Scosta appena la bocca, l'aria entra, s'allenta l'ansia e il mio corpo già è docile, sul letto.

Si pone accanto a me, il suo viso sopra il mio, mi guarda, con le dita allarga le mie palpebre e dice: «Apri». Apro gli occhi e il suo sguardo è dentro me, le sue pupille nere, le dita sulle mie tempie, le sue ginocchia premono sui miei fianchi. Mi scruta in fondo, lo sento. Sono sospesa, tesa. Aspetto. Scende con le mani sul petto, le unisce sullo sterno e preme, preme, fa male. Continua e io incasso la spinta, con una mano scende, la poggia e preme sul mio pube. Sento tirare tra il petto e il ventre, quasi una corda sottile e dura che brucia e continua più sciolta e tiepida oltre il pube, scivola, scende verso la mia vagina. Come se qualcosa di liquido, caldo, intensamente percepibile scorresse dal ventre alla vagina, dentro, allagasse le mie grandi labbra, oltre, alle piccole labbra, e scende e s'insinua caldo e intenso nella vagina. Le mie gambe si aprono.

Lui si spoglia, s'allunga sul letto accanto a me, una mano sotto la mia nuca, prende i capelli e mi tira indietro la testa con forza. Il mio collo teso, con l'altra mano è sul capezzolo, lo gira e rigira tra le dita, stringe, strizza fa male.

«Fai male »

«Io lo so qual'è la chiave. Stai buona». E stringe.

Mi piace e sento dolore, resisto; ogni volta che lui affonda nella carne, in fondo al dolore s'apre un piacere, intenso. Cerco di reggere perché il punto del piacere è vorticoso, forte. A volte è troppo e reagisco, mi scosto: «Vai piano, fai male»

«Zitta!» Più lui affonda...

Insiste, il gioco duro continua, io che rotolo e mi dimeno, sento e m'accendo.

...

...

La stretta sul seno, bloccata tra le sue braccia, le mie mani dentro di me...

Insisto, sento la forza prendermi i fianchi, il bacino, restringersi e concentrarsi sul coccige che scatta e sale quasi a inseguire l'onda che sta arrivando. Il bacino si muove, si alza. Lui insiste e stringe, lo sento ansimare su di me. La sua testa su di me: «Vieni, vieni... » Ancora le dita ... sento quasi perdere la sensibilità tanto è intensa l'onda. La sento arrivare, so come fa, sento che sto aspettando che dilaghi dal coccige ... che mi sollevi la schiena, che mi faccia inarcare le spalle, che esca l'urlo stretto e gutturale, pieno.

Mi fermo un momento, voglio aspettare, voglio ascoltarmi in questa attesa piena di desiderio, voglia e turgore che sale, oh, so bene come si fa ad ascoltare i movimenti interni del corpo! So bene che accade laggiù, lo so qui, nella mia testa, è nella mia testa che mi godo il piacere più grande, che io chiamo folle tanto è libero e nuovo ogni volta. Ciò che mi gusto di più è il sentirmi la regista dei miei orgasmi. Lui continua, avverte la mia pausa e strizza con più lentezza e intensità, mi raggiunge anche nel mio sostare, m'accompagna nel mio fare e decidere come se stesse percorrendo e conoscendo di me luoghi reconditi, sconosciuti ma che lui sa che ci sono. E vuole esserci, li vuole, s'aspetta quello che c'è quaggiù, non tanto nella mia fica esposta laggiù, quanto nella fica-femmina che sta nel mio inconscio, nella mia testa quando sventra la soglia e va e mi scatena in posture, scatti, umori, parole, nudità dell'anima dei quali egli si nutre.

Sì, quasi mi mangiasse l'anima. E io so che, solo sapendo che gliela lascio, me la salvo l'anima. Solo dandogliela tutta, così, resta anche mia. E io quaggiù, al di là delle parole, dei fatti, del nostro mondo di fuori, quaggiù quando lui tutto vede di me, lui è scoperto e io vedo lui.

Ecco, colto nella sospensione, questo mi riempie più di un orgasmo, già scatta calda e forte l'onda larga che travolge, che mi sposta, m'attraversa come un lampo ma anche si fa godere, si fa sentire e gustare in tutta la sua lunghezza ed intensità; non scappa veloce, faccio in tempo a vederla, a sentirla, è oltre me ma la posso anche gestire, la fermo un attimo per gustarmela ancor più, poi la lascio andare ancora un po', sale, prende e accende la carne.

Sale, alla pancia, ai seni che scattano sotto la sua presa. Lui fermo a sentire l'onda del possesso di me per me stessa che mi trapassa, e se la beve. Come se la facesse entrare in sé, la aspira. Così, mentre io vengo e mi prendo, lui mi prende, sono sua in questo mio essere ciò che sono, nuda di dentro e domata.

Lascia i miei capezzoli, ora prende i seni tra le mani, se ne riempie, avverte i miei scatti e le mie pause. Lascio che la forza salga, forte, dura, rapace e generosa. Allaga sui miei seni, sui capezzoli, sui palmi delle sue mani che stringono dolcemente, ora. Sale il grido, roco, gutturale pieno fino alla gola, esce. Uno scatto, la testa all'indietro, le gambe lanciate lontano «Piano, piano... » Lo sento dire.

Continua l'onda a tratti più lenta e sospesa poi di nuovo con vigore, si espande, esce da me e m'allunga in un filo dorato che prosegue dalla mia testa, oltre, verso l'aere, sfonda le spesse pareti scure di questa stanza e vince la notte. Sono nel sole. Intanto l'onda s'è data anche il percorso inverso e la sento scaldarmi le gambe, attraversare le ginocchia e tornirle, sedurle. Scivola verso i piedi e esce, s'allunga oltre il letto e scappa veloce dentro il pavimento, oltre, trapassa la terra e scende veloce a farsi una col cuore della terra.

Lo vedo, verde e cristallino, il plasma al centro della Terra che avvolge e assorbe il fascio di luce partito dal mio corpo, lo riconosce e lo fa suo, lo amalgama col sangue verdazzurro della Terra e me lo ritorna ricco di forza. Mi riaggancia la saetta, torna in me, scatta nuovamente tra ... e il coccige, intensa, assale la mia pelle, riempie perfino le orecchie, mi riavvolge su me stessa, dilaga nuovamente in me e l'orgasmo continua, sale alla testa, mi fa spalancare gli occhi, guardo lui, lo trattengo nello sguardo. Trattengo te, uomo, nello sguardo tanto quanto nella fica.

Non so se sa, non è importante. Tanto dopo saprà.

Lui si sposta, sta sopra di me... E mi penetra. Affonda, scava dentro me, lo sento spingere, chiudo gli occhi e mi concentro laggiù. Prendo, lascio, chiamo, succhio, tiro, lascio andare, lui s'alza, scorre, sembra uscire spinto dai miei muscoli ma ecco, ci ripenso, voglio richiamarlo qui, aspiro, stringo e il gioco riparte in fondo, lontano, e assolutamente vicino. Mio.

Lo lascio guidare mentre un tunnel lungo, profondo arriva ai miei occhi, un tempio? Qui ti porto, nel tunnel, e stringo laggiù, lo chiamo con i muscoli stretti, sento la forza del mio saperlo prendere, chiamare e tenere. Anche lasciar andare. Così nel mondo di dentro come nel mondo di fuori. E lo so. Il mio potere di femmina è più grande di ogni mondo di fuori. La mia femmina che sta qui tra .. e la mia testa, lei è una col mondo e sa quand'è il momento di aprire ogni paratia, di fare di ogni velo, di ogni zona d'ombra o d'inciampo uno scalino di torpore, un'occasione di perverso e sano nutrimento. Sto nel tunnel, nel canale della ...  che, a te sembra un banalissimo pezzetto di carne invece è un portale, un passaggio per fare di te un uomo uno col cosmo.

Così vivo la mia vagina e così t'arriva il sentire. E stringo e apro la testa a far sì che laggiù solo le forze della terra che sono agiscano, e ti portino a rovesciarti dentro me.

Sono una femmina, questo voglio. La tua robbba. Mi serve. La terra la vuole e io sono la terra. Il tuo passaggio nel tunnel, il tuo godere e gustare una donna, una ... , un'amante altro non sono che rituali, processi, teatrini perché tu, la tua ...  mi dia, e io la passi alla terra.

Questo ti dico prendendo, carpendo e stingendo laggiù in fondo, che è un quassù e ora, mentre il tutto si fa intenso e vuole la sua soluzione, qualcosa di nuovo mi sospende, s'impone e si fa ascoltare. Qualcosa che è sempre stato qui e ora dice, a modo suo, l'avverto mentre a occhi chiusi ti parlo in silenzio. T'ho sempre detto che non mi potrei dare così, se non amo. Questo il mio potere e il mio danno, la mia resa. Perdente, sempre, di fronte al cuore che vince. Non tu, lui, il cuore che tiene di me qualcosa che non è mio.

Non sarebbe un tunnel di senso se non fosse abitato da una sostanza che non si vede e non si sente ma la fa da padrone. Amo, o meglio, è sempre un: Ti amo.

Ma non lo dirò, questo lo senti da te, piuttosto tiro fuori la puttana che sono e a voce alta, altro dico: «Entra qua, sfondami. Prendi, apri. Portami via». Fammi sprofondare nelle sabbie mobili di un cuore, il tuo, che non so chi è né so dov'è. Come quando mostri quello che non vorresti mostrare a me, quello voglio. Quando prendi senza ritegno. Quella forza che di solito controlli ma che ti sovrasta, che t'aspetti sempre di agire da un'altra parte, in una storia nascosta e oscura. Quella voglio. È la mia terra questa.

Qui voglio schizzi ... , dal fondo sconosciuto e insidioso che m'attira. Questo voglio sentire e vedere di te, che è un me. «Vieni, lascia. Rovesciati qua, allaga, riempi. Vieni. Ti voglio».

Parole che escono e fanno l'attrito laggiù e qui nei cervelli. Spingi, e pesi, ti butti, non sai e ti dai. La fusione.

Io, gracile vinta bambina amaranto, capelli e occhi neri, vestitino innocente divengo una zolla, un buco, un antro dove le forze più scure trovano il senso. Fecondi la mia terra, quella che dalla tua pazzia lucida e lungimirante hai inciso con segni, forze e trame che tu sai. Ora anch'io le vedo e lo so, accesa, profanata, consapevolmente presa su un altare di carne.

Risalirò quella scala, aprirò la porta e il sole di fuori mi colpirà.

Tornerò alle mie strade e ai miei orti, alle compagne e alla fontana. Ma dirò. Anche solo parlando cantando e danzando, mostrerò i segni. Sarò sigma e vibrazione solo perché ciascuno avverta che in fondo a se stesso, nella parte più ardua e avvincente di sé, questo è.

 

 

 
 
 
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"Qui la Forza è intesa nella sua accezione di “eros” vissuto e osservato nella situazione della sessualità ma, come dice l’autrice alla fine del libro, essa, resasi percepibile e presente nelle modalità, nelle espressioni dei corpi e della sessualità, è sperimentabile e gustabile in ogni aspetto della natura, della persona, della vita sulla Terra e nel cosmo.

 

 

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