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MALGOVERNO: LE TRISTI EREDITA'

Post n°281 pubblicato il 11 Maggio 2008 da varese.cittanuova
 

Pd/L’ombra del governo-ombra

Alla rapidità con cui Berlusconi forma e presenta il suo governo, il Partito democratico reagisce con vera e propria crisi politica che ne scuote gli assetti interni e ritarda la formazione del cosiddetto “governo ombra”. La ripetizione dell’esperimento condotto nel Pci di Berlinguer è ostacolata dalle tensioni che si sono accumulate nel partito e che qualche osservatore vede come la premessa per la nascita di correnti. Tutto è in discussione: la segreteria Veltroni è precaria, le alleanze scricchiolano o saltano, la stessa strategia del partito appare incerta e le diverse opzioni alimentano un confronto sempre più aspro.

Ombre nuove e vecchi duelli – Veltroni vorrebbe che nel simulacro di governo entrassero, per renderlo meno vecchio, esponenti di spicco del Pd, ma i dirigenti di punta e qualche ex- ministro si sono già defilati. Hanno detto “no” D’Alema, Parisi, Lanzillotta, Bersani. Soltanto Piero Fassino si è detto disponibile a fare il ministro degli Esteri.

Gli attacchi più serrati a Veltroni e alle sue tattiche vengono dal gruppo che si stringe intorno a Massimo D’Alema. Nulla di nuovo, sono vent’anni che i due dirigenti duellano, tutte le metamorfosi dal Pci al Pd sono state segnate da questa rivalità irriducibile.

Non è soltanto una lotta per l’esercizio della leadership, è un contrasto netto sulla strategia del partito sonoramente sconfitto dalle elezioni di aprile. Massimo D’Alema riscopre l’unità delle sinistre come elemento indispensabile per dare un po’ di tonicità all’opposizione. Veltroni vede in questa proposta la negazione, anzi la bocciatura della scelta fatta alla vigilia del voto per la strategia del Pd. Il segretario non smania dalla voglia di riaprire un dialogo con quelle frange della sinistra radicale che non hanno lesinato attacchi e ironie al mediocre esordio del partito finto nuovo.

L’eterno scontro sulle poltrone – Alle polemiche sulla linea e sulle prospettive del partito si mescolano i contrasti più prosaici sulle poltrone. Francesco Rutelli, dopo la Waterloo romana, sgomita perché vorrebbe presiedere la commissione per il controllo dei servizi, che spetta all’opposizione così come la presidenza della commissione di vigilanza sulla Rai. Per quest’ultimo incarico, Veltroni vorrebbe Gentiloni, ma Rutelli teme una trappola perché l’incarico a Gentiloni, che fa parte della sua corrente, potrebbe determinare l’assegnazione ad altra componente del Pd del controllo sui servizi.

È la commedia degli inganni, dato che la designazione di Gentiloni consentirebbe a Veltroni di sottrarsi al pressing di Di Pietro, che punta proprio all’assegnazione a un suo compagno di partito della Vigilanza sulla Rai.

Ed è proprio Di Pietro il più rumoroso fra quanti polemizzano con l’ex pm. Da quando è entrato in crisi il fragile asse con Veltroni (niente gruppo unico alla Camera e al Senato) i “no” Di Pietro si sono fatti più frequenti.

Ecco, questo è il quadro. La minoranza degli italiani che ha votato Pd sta scoprendo che il partito sedicente nuovo e riformista ha concentrato in sé i vizi, la propensione alle correnti e alle risse interne che caratterizzavano le rissose formazioni della Prima Repubblica.

Pd/I veleni di D’Alema, il silenzio di Veltroni

Mentre la grande stampa riconosce le novità e lo smalto di questo governo non deve sfuggire quanto accade nella opposizione, vittima di un vero e proprio sconvolgimento mascherato soltanto dall’attenzione verso l’esecutivo.

Diciamo questo per fornire strumenti di comunicazione a quella parte di classe dirigente del Popolo della Libertà che per anni è stata sottoposta ad ogni genere di critica dagli abili polemisti della sinistra militante e dalla classe giornalistica che, nella stragrande maggioranza, per quella parte simpatizza.

Gli esempi di queste ore sono numerosi: c’è un’intervista di Massimo D’Alema a due stadi – prima sul Tg3, poi sulla rivista Italiani ed Europei – che salva Veltroni ma demolisce la sua linea politica…

D’Alema spiega che il Partito Democratico ha sbagliato la politica delle alleanze: un’accusa pesantissima perché significa che ha sbagliato quelle che ha fatto (Di Pietro e Radicali) ma soprattutto quelle che ha mancato. E qui il riferimento sembra alla debolezza strutturale di un Partito Democratico che, nel migliore dei casi, cioè al 35-36%, da solo non potrà mai andare da nessuna parte!

Veltroni tace imbarazzato ed ecco che gli si apre un altro fronte su un tema gestionale delicato nei poteri di bilanciamento della opposizione: la Presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. Il Pd è ancora intontito dalla batosta elettorale e annaspa sulla creazione poco convinta del governo-ombra quando l’ex magistrato Di Pietro sferra il suo ultimo attacco e pretende la guida di quella commissione per un professionista del giustizialismo come Leoluca Orlando.

Veltroni tace una seconda volta e per lui parlano, pressoché inascoltati, Follini e Gentiloni cioè due diretti aspiranti a quella stessa carica che provano ad opporsi alla richiesta dell’ex pm. Un modo confuso, pasticciato e inconcludente di procedere che i giornali nascondono per non infierire su un malato grave.

Ma non è finita. Resta il caso-Pannella, geniale distruttore di macerie che ha organizzato il primo convegno “correntizio” dopo la Waterloo elettorale. E lo ha fatto strizzando l’occhio agli alleati rifiutati dal Pd, cioè a quella Sinistra Arcobaleno e alla componente più massimalista degli ex Ds, lasciando intendere che i Radicali non si accontenteranno di reggere il gioco di Veltroni a qualunque costo.

Pannella ha fatto di più: ha violentemente accusato D’Alema di criticare Veltroni in modo subdolo dopo aver atteso la sua sconfitta. Secondo il leader radicale, le osservazioni dell’ex ministro degli Esteri sull’isolamento strutturale del Pd incapace di costruire alleanze che lo portino in maggioranza, doveva essere denunciata molti mesi fa. È vero ma non è stato solo D’Alema a tacere e lo stesso Pannella fa finta di dimenticare che l’incoronazione frettolosa di Veltroni e la sua aspirazione a costruire un Pd a vocazione maggioritaria, si è determinata per il disastro del governo Prodi.

Insomma in tutta la sinistra, quella che è scomparsa dal Parlamento per volontà degli elettori e quella del partito Democratico, il fuoco, o meglio il veleno della polemica, sta diventando una abitudine. Dobbiamo tenerne conto per rafforzare la nostra posizione di maggioranza.

Malgoverno/Sanità, ultima stangata di Prodi

L’ultima stangata del governo Prodi è stata firmata un attimo prima di passare la campanella del consiglio dei ministri a Silvio Berlusconi. Porta la data dell’8 maggio, infatti, la lettera inviata alle Regioni Lazio ed Abruzzo di aumentare, oltre il tetto massimo, l’addizionale Irpef regionale; così da ripianare il deficit sanitario.

Se Marrazzo e Del Turco non lo faranno entro un mese, il governo (Berlusconi) dovrà inviare un commissario ad acta, e mettere sotto “tutela” le due regioni.

Il “buco” da coprire con l’addizionale Irpef di Asl ed ospedali del Lazio è di 125,2 milioni. Più grave il “rosso” da coprire dell’Abruzzo (anche perchè comprende una quota del 2006 e perché ha meno abitanti): 232,7 milioni. Risorse da recuperare in breve tempo, con conseguente stangata per i contribuenti delle due Regioni.

Ma non è finita. Sempre fra il 7 e l’8 maggio da Palazzo Chigi sono partite lettere ad altre tre Regioni: Piemonte, Puglia, Calabria. L’obbiettivo è sempre lo stesso: avvertire i presidenti che i loro deficit sanitari sono da allarme rosso. Senza ancora chiedere l’introduzione di nuove addizionali Irpef, anche se un invito del genere era nell’aria. E dovranno ripianare le perdite con mezzi propri.

Il Piemonte registra un “rosso” per 91,2 milioni; la Puglia per 49,2 milioni; la Calabria per 126,8 milioni.

Piccola coincidenza. Le cinque Regioni a cui Prodi, in vario modo, ha chiesto di ripianare i deficit sono tutte controllate dalla sinistra.

Occupazione. Fino a ieri il costo del lavoro era in testa alle preoccupazioni degli imprenditori, ma ieri il Rapporto Unioncamere 2008 ha definitivamente certificato per la prima volta il “sorpasso”: il primo ostacolo alle assunzioni, per le imprese italiane, oggi è l’eccessivo peso fiscale. I due anni del governo Prodi hanno dunque fatto il miracolo alla rovescia: l’oppressione tributaria è diventato il maggiore freno alle assunzioni e si conferma come punto dolente della mancata crescita dell’economia del Paese.

Nei precedenti Rapporti le industrie chiedevano un minor costo del lavoro, ora indicano nel fisco il peggior nemico della spinta a creare nuovi posti di lavoro. Le imprese sarebbero disponibili ad assumere, ma denunciano tutta una serie di ostacoli alla libertà di intraprendere, tra i quali anche l’assenza di infrastrutture, la difficoltà di reperire personale formato, una burocrazia oppressiva e barocca.

Però, con una percentuale che va dal 46 al 52 per cento, mettono sotto accusa in particolare la pressione fiscale. Nei precedenti rapporti, prima della cura Visco, quelle percentuali erano rispettivamente del 31% nel 2006 e del 38% nel 2007. Sono dati indiscutibili, che confermano come il governo Prodi abbia creato le condizioni grazie alle quali le imprese “dichiarano di essere intenzionate ad assumere ma solo in condizioni di contesto diverse, in primo luogo una minore pressione fiscale e un minor costo del lavoro”.

Quest’ultimo aspetto preoccupa ancora gli imprenditori ma, come fanno notare il ricercato di Unioncamere, “va segnalato che, con riferimento alle previsione di assunzioni nel 2008, quest’ultimo fattore è sopravanzato per la prima volta da quello relativo al carico fiscale”.

Il Rapporto poi smentisce perentoriamente gli avversari della legge Biagi, laddove segnala che le imprese sono intenzionate a “fidelizzare” i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, anche se chiedono una migliore formazione. Chiedendo in cambio, tra l’altro, la disponibilità a orari più flessibili, oltre alla passione per l’attività scelta e precedenti esperienze specifiche. Pur in periodo di crisi economica, quasi il 30% delle imprese prevedono di assumere personale nel 2008. Un dato raccolto ancora imperante il governo Prodi. Il che la dice tutta su quanto non ha fatto e avrebbe potuto fare per sostenere la crescita del Paese. I primi provvedimenti del governo Berlusconi vanno incontro a queste esigenze e fanno ben sperare.

 
 
 
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