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Gita alla Grande Muraglia (1)

Post n°10 pubblicato il 31 Agosto 2014 da Sognatricediviaggi

C'erano una volta due italiani, una russa, tre tedeschi e due australiani.

No, non è l'inizio di una barzelletta datata, ma è l'inizio della mia gita alla Grande Muraglia, organizzata con l'ufficio del turismo di Pechino ubicato in Piazza Tienanmen.

Dovete sapere che la Muraglia è l'unico luogo in cui non potete arrivare autonomamente usando solo mezzi pubblici. Questo vale per tutti i siti accessibili da Pechino in giornata. Arrivati a un certo punto è sempre necessario affidarsi a un taxi e non volevo perdere un giorno a districarmi tra improbabili pullman e treni sovraffollati.

Lunga 6430 kilometri (no, non mi è scappato uno zero in più), costruita per difendere l'impero Ming dai Mongoli, è in molti tratti caduta oppure in rovina.

E', per un discreto pezzo, vicina a Pechino (sono circa 60 Km per Badaling e 80 per Mutianyu). La parte più avventurosa è Jinshanling, luogo in cui si può fare trekking sulle rovine della muraglia.

A Badaling non ci volevo andare: è il sito turistico più battuto e la certezza di trovarmi in un bazar tipo fiera dell'est non mi entusiasmava affatto. 

Ero quasi rassegnata a Badaling quando solo riuscita a trovare questa gita a Mutianyu, insieme alle tombe Ming, luogo che per i cinesi riveste una grande importanza storica.

Partenza ore 7 dal mio albergo: sono molto curiosa, sia per la meta, sia per la compagnia.

Il pomeriggio prima mi è toccato telefonare alla nostra guida. Tornata dal solito tour sfiancante a piedi trovo una busta sotto la porta della camera che mi invita a chiamare la signora per accordarci per il giorno successivo.

Per fortuna c'è Skype: altrimenti non oso immaginare quanto poteva costarmi una chiamata, anche se urbana fatta da uno dei più begli alberghi della città.

Per sfortuna, in seguito alla chiamata a un numero cinese, mi hanno bloccato l'account Skype per diversi giorni...

In ogni caso, alle sei e mezza sono già pronta: scarpe da trekking, pantaloni corti, maglietta, sciarpetta da aria condizionata, zaino, felpa che non si sa mai, scorte di acqua.

Attendo fiduciosa davanti alla porta dell'albergo il pulmino: mentre mi bevo un tazzone gigante di caffè da Mac Donald, che è proprio a fianco al mio albergo, ripenso ai bei pullman lussuosi che ho visto passare per la città carichi di turisti.

Chissà se sarà così anche quello che sta per passarmi a prendere... Mentre fantastico sulla mia unica giornata cinese servita e riverita senza sbattermi su e giù per i mezzi, vedo che gira nel parcheggio un pulmino scassatissimo che risale almeno all'epoca del Grande Balzo in avanti (anni '60). Mi dico: - Speriamo che non sia quello...-.

E, secondo voi, quale poteva essere? Quello, no?

Il corrispettivo su gomma dell'aereo cubano con tanto di galline volanti tra i passeggeri e vetri non esattamente pressurizzati che ho preso da Holguin a l'Avana, mi aspetta oggi per trascinarmi sulla Grande Muraglia.

Sedili sfondati, coperture sfilacciate, posti piccoli...

La guida, una signora cinese gentilissima, dopo aver recuperato i vari partecipanti nei rispettivi alberghi, inizia a tediarci con spiegazioni lunghissime in un'inglese cantilenante e ipnotico. 

Ma si tratta per lo più di una serie di spiegazioni sulla giada: perchè, signori, ci tocca la visita a una fabbrica di giada. Dopo 40 minuti di questa noia mortale sulla giada, che pare essere in Cina simbolo di potere e affezione, dovremmo esserci convinti a comprare almeno un braccialetto o un amuleto di giada.

Oddio, penso, no... Mi sono alzata alle 6 per essere portata a spasso come nelle vecchie gite per pensionati di una volta? Con dimostrazioni di pentole e materassi vari?

Ebbene sì: alle 8 in punto siamo davanti alla miglior fabbrica di giada di Pechino (e come no). Veniamo abbandonati nelle mani di una venditrice famelica di turisti da spennare. Le spiegazioni sulla lavorazione della pietra sono banali, e gli operai in vetrina per la dimostrazione di come si lavora la giada una bufala (si mettono al tornio solo quando arriviamo, prima passano tutto il tempo a messaggiare con il cellulare).

Finita la spiegazoncina, veniamo lasciati liberi nello shop. Liberi un corno: non faccio in tempo a entrare che mi sento subito il fiato sul collo della venditrice, che mi placca mostrandomi dei belissimi pezzi. Ammetto che nella maggior parte dei casi siano belle opere, ma il gusto è molto diverso dal nostro. Non mi viene nemmeno da pensare di andare in giro con un Buddha di giada al collo, suvvia...

In un primo momento penso che, ci fosse qualcosa di poco costoso e carino, come un paio di orecchini a bottoncino, potevo anche prendermeli. 

Ma non c'è nulla di così semplice. Tutto è molto lavorato e grosso. E, particolare non trascurabile, tutto è carissimo.

Sfuggire allo zelo delle venditrici è quasi impossibile: alla fine, io e la ragazza russa con cui sto facendo il giro decidiamo che l'unica soluzione è quella di uscire dalla fabbrica. 

Così, dopo aver superato anche l'ostacolo del bar, in cui ci propongono mille cose da bere e mangiare, ci troviamo sedute sotto al sole su un muretto di cemento ad aspettare gli altri viaggiatori. 

- Hai preso qualcosa? -

- Io no, tu? - 

- Nemmeno io... - 

- Sono belli, ma che prezzi...- 

Piano piano vediamo anche gli altri compagni di spedizione, alcuni di erano rifugiati in bagno per non essere più oggetto delle pressanti attenzioni delle commesse.

Questo non ha impedito loro di comprare nuovi souvenir di dubbio gusto, come deliziosi qipao sintetici con fantasia di dragoni oro...

Fantastici, direi. 

Manca solo la guida. Per fortuna arriva e possiamo salire sul pulmino. Il caldo è già notevole e c'è uan strana cappa di umidità e nebbia che proprio non mi so spiegare.

Finalmente è venuto il momento di ripartire per le Tombe Ming.

 

 

 
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