2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"L'ultimo sopravissuto" di Sam Pivnik

Non festeggio più il mio compleanno. E' da tempo che non lo faccio, esattamente dal primo settembre del '39 (13 anni), il giorno in cui la Germania invase la Polonia, Non ricordo se ricevetti dei regali, ma presumo di si. Erano tempi duri, ma mia madre era abituata a fare magie con le esigue finanze familiari e i miei genitori avrebbero fatto di tutto per non darmi una delusione. Mi ricordo che era un venerdì, una calda giornata d'estate, e il cielo sopra Bedzin era sereno e senza  nuvole ... io e i miei amici stavamo giocando giù in strada. Chi c'era con me? Non me lo ricordo con esattezza ... molto probabilmente qualcuno di noi aveva portato un pallone. C'era sempre qualcuno con il pallone, ma per qualche motivo quel giorno era diverso. Qualunque cosa fosse non aveva niente a che fare con noi ragazzi, eppure ci ritrovavamo immersi in una strana atmosfera. Stava succedendo qualcosa giù alle enormi caserme dell'esercito ... Tante persone si incamminavano in quella direzione, si muovevano rapide sui marciapiedi in gruppi di due o tre, parlando sottovoce e con le facce serie, gli occhi lucidi. E noi li seguimmo ... Adesso sapevamo che la guerra stava per spingersi fino a Bedzin e niente sarebbe più stato lo stesso.

Quel giorno di settembre, in un certo senso, fu il primo della mia vita adulta. Solo il giorno prima giocavo a calcio e salutavo i soldati con la mano. Ora vedevo lunghe file di profughi, persone disperate, senza casa e senza volto, che avrebbero riempito le strade di tutta Europa per i successivi 6 anni. Era come l'esodo di cui parlavano mio padre e il rabbino ...

Non avevamo altra scelta che adattarci, scendere a compromessi con un nuovo modo di vivere che, come realizzammo immediatamente, aveva spazzato via per sempre quello precedente.

Una volta quella gente aveva abitato accanto a noi, gli uomini avevano ordinato i loro abiti alla bottega di mio padre, le donne avevano chiaccherato dei loro bambini con mia madre, c'erano negozianti da cui eravamo soliti fare acquisti e ragazzini che avevano tirato calci a un pallone  insieme a me. Ora si davano da fare per accaparrarsi i mobili e i nostri miseri averi, come iene che smembrano una preda cercando di prendere i pezzi migliori. Riconobbi la nostra polizia locale e i pompieri, ci stavano radunando nella fila come si fa con il bestiame.

Guardai quegli uomini che cantavano, le loro facce ingrigite e spaventate sotto il cappello nero. Gli occhi, però, gli occhi brillavano di ottimismo: stavano ricevendo conforto dalle parole che recitavano. "Sapevano"che Dio ci avrebbe aiutati. Non era sempre stata la sua promessa? Avrebbe trovato un modo, ci avrebbe inviato un segno. Ma non lo fece.

Che genere di posto era questo, dove le persone venivano picchiate senza motivo solo per aver fatto una domanda, dove dei pazzi col pigiama a strisce ti sussurravano di mentire sulla tua età ?

L'alba arrivò, identica a tutti gli altri giorni: le grida dei Kapò, la visita alle latrine, il lavatoio, l'appello, il pane, un pezzo di salame,una tazza di "caffè". Non ci avrebbero ucciso, non quel giorno ...

Nei campi di concentramento nessuno sognava, ma ora i sogni li facevo, e spesso si trattava di incubi. Come ho già detto, per alcuni di noi la guerra non sarebbe mai finita. Nei mesi e negli anni che seguirono cominciai a rimettere insieme i pezzi di quanto ci era accaduto nei campi. Una gran parte della vicenda rimane ancora sconosciuta e tale rimarrà per sempre; specialmente l'irrisolvibile interrogativo di come un popolo sommamente civilizzato come quello tedesco si fosse potuto far sedurre da un pazzo criminale, al punto da permettere che accadesse l'inimmaginabile. 

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