2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"La dama e l'unicorno" di Tracy Chevalier

Post n°49 pubblicato il 07 Marzo 2019 da Vilma66
 

Nicolas des Innocents                                                                                                               Non dorme più con suo marito, ho pensato. Gli ha dato delle figlie, la sua parte l'ha fatta. E neanche troppo bene: niente maschi. Ora lui l'ha allontanata da sè, e per lei non è rimasto nulla. Non era mia abitudine muovermi a compassione per le signore dell'aristocrazia, con la pancia piena, al calduccio accanto al focolare, fra damigelle pronte a servirle. Però in quel momento Geneviève de Nanterre mi faceva pena. Perchè pensavo a come sarei stato io nel giro di dieci anni, dopo lunghi viaggi, inverni rigidi, malattie, da solo in un letto freddo, pieno di acciacchi, le mani deformi ormai non più capaci di reggere un pennello. Cosa ne sarebbe stato di me, quando non sarei stato più di alcuna utilità per nessuno? Allora la morte mi sarebbe parsa la benvenuta. Mi domandavo se non fosse per caso questo che aveva in mente la signora.

"L'ho dipinta così in vostro onore, Madame, perchè non volevo che gli arazzi parlassero solo di seduzione, ma anche dello spirito. Osservateli in questo senso, a partire dalla dama che indossa la collana, e potrete seguire il cammino della seduzione dell'unicorno. Ma se fate il tragitto al contrario, vedrete la dama che si congeda da ciascuno dei sensi, fino a togliersi la collana per riporla nello scrigno: l'abbandono della vita materiale. Non capite che l'ho fatto per voi, Madame? Guardando la dama che regge i gioielli, non sappiamo se li sta indossando o se li ha appena sfilati dal collo. Può far sembrare entrambe le cose. Questo è il segreto che ho nascosto per voi negli arazzi". Geneviève de Nanterre ha scrollato la testa. "La vostra dama  dunque è indecisa, non sa prendere partito tra spirito e seduzione. Io invece ho fatto la mia scelta e, purtroppo, qui non la vedo rispecchiata con sufficiente chiarezza. Tiens, è meglio che questi arazzi rappresentino la seduzione dell'unicorno, in fondo sono destinati a mia figlia. A lei la seduzione non dispiace di certo". Mi dispiace davvero. Pensavo di essere furbo, ma questa volta la mia furbizia mi aveva giocato un brutto tiro.

Claude Le Viste                                                                                                                                                                          Da un pò di tempo Maman sembra avercela con me, e non riesco proprio a capire cosa sia a infastidirla tanto. Anche lei mi dà sui nervi, non fa che sgridarmi perchè rido troppo o cammino troppo svelta, oppure perchè ho il vestito impolverato o l'acconciatura in disordine. Mi tratta come una bambina, però vorrebbe che mi comportassi come una donna. Non mi lascia uscire quando voglio: dice che ormai sono troppo grande per andare alla fiera di Saint-Germain-des-Pres di giorno e troppo piccola  per poterci andare di sera. Non sono troppo piccola, le altre ragazze di quattordici anni  la sera vanno a vedere lo spettacolo dei jongleurs. Molte di loro sono già fidanzate. Se protesto Maman dice che sono impertinente, che sarà mio padre a decidere quando e con quale uomo mi sposerò. Mi sento così frustrata. Se devo comportarmi come una donna, dov'è il mio uomo?

Con mio grande sollievo, ho visto subito che Maman non era bella quanto me. La sua veste era meno elegante della mia e assai più semplice. E non soffiava alcuna brezza in quel disegno, la bandiera non era increspata, e il leone e l'unicorno sedevano mansueti, invece di ergersi rampanti. Insomma, ogni cosa pareva immobile. L'unico gesto era quello di Maman che estraeva una collana dallo scrigno che una delle sue damigelle le porgeva. Ora non mi importava più che anche lei fosse ritratta negli arazzi, il confronto era di gran lunga a mio favore.

Me lo sono ritrovato addosso senza neppure avere il tempo di rendermene conto. E d'un tratto la sua lingua affondava nella mia bocca mentre con le mani mi strizzava i seni. Che strano, evevo sognato quel momento fin dalla prima volta che l'ho visto, ma ora, col suo corpo sopra il mio, quel turgore che mi sfregava sul ventre con impeto, la lingua umida nell'orecchio, ero soprattutto sorpresa: tutto pareva molto diverso da come l'avevo immaginato. Da una parte mi piaceva: avrei voluto che spingesse ancora più forte e senza tutti quegli strati di stoffa a separarci. Le mie mani volevano toccare ogni parte del suo corpo, stringere quei glutei sodi come ciliegie, misurare le spalle possenti. A un tratto la mia bocca ha incontrato la sua, ed è stato come addentare un fico maturo. Però trovavo un poco scioccante quella lingua bavosa che mi saettava nella bocca, il suo peso che mi schiacciava togliendomi il respiro, le sue mani che toccavano parti di me che nessun uomo aveva mai sfiorato.  Nè mi ero aspettata che avrei pensato così tanto, stando insieme ad un uomo. E invece con Nicolas trovavo parole per ogni cosa: perchè fa così? Ho l'orecchio tutto bagnato. Oppure: la sua cinta mi morde il fianco, e ancora: mi piacerà? Pensavo anche a mio padre, al fatto che eravamo sotto il tavolo del suo studio, al valore che sembrava attribuire alla mia verginità ... "Sei sicuro che dovremmo farlo?" ho mormorato quando Nicolas ha iniziato a mordermi i seni attraverso la stoffa del vestito.

Non avevo mai dormito sulla paglia prima di adesso. Punge e fa rumore e sento la mancanza delle soffici piume del mio letto. Di sicuro papà sarebbe furioso, se vedesse sua figlia giacere sulle stoppie. Quando ero andata da lui nello studio non mi aveva parlato di conventi, mi aveva solo ricordato che porto il suo stesso cognome, chiedendomi di obbedire a Maman in tutto e per tutto. Giusto, ma non credo proprio che mi volesse chiudere dalle monache, a dormire sulla paglia e a spaccarmi i denti con un pane duro come i sassi.

Geneviève de Nanterre                                                                                                                                                                     Dopo un pò hanno bussato alla porta ed è entrata Claude. Aveva gli occhi rossi e mi sono chiesta cosa le avesse detto suo padre. L'avevo pregato di non rivelarle la meta del nostro viaggio, per cui non poteva essere quello il motivo delle sue lacrime. Si è subito avvicinata e si è gettata in ginocchio. "Perdonatemi, Maman, farò qualunque cosa mi chiediate". C'era paura nella sua voce e perfino una certa sottomissione, eppure conservava un sia pur lieve accenno di sfida. Invece di tenere gli occhi bassi, in segno di rispetto, mi guardava in tralice, come un uccellino che cerchi una via di fuga, stretto tra le grinfie di un gatto. Le monache avrebbero avuto il loro bel daffare con lei.

Georges de la Chapelle                                                                                                                                                                Non avevo mi conosciuto un artista così geloso del proprio lavoro. Doveva ben sapere che i disegni cambiano un pò quando il cartonista li ingrandisce su tela o carta per creare il modello. E' inevitabile che un bel disegno perda parte della propria grazia, una volta ingrandito. Ci sono sempre vuoti da colmare: allora bisogna aggiungere qualche personaggio, oppure alberi, riempire gli spazi vuoti del disegno in modo che l'arazzo risulti ovunque ricco e vivace.

Aliènor de la Chapelle                                                                                                                                                                         Loro non potrebbero concepire il mondo senza la vista, mentre per me è esattamente il contrario. Gli occhi per me sono soltanto protuberanze, due cose che possono muovere, come la mascella quando mastico o le narici. Io dispongo di altri mezzi per conoscere la verità. Per esempio, conosco benissimo gli arazzi su cui lavoro. Riesco a sentire ogni sporgenza dell'ordito, ciascun segno della trama... Sento i colori. A volte mi chiedo se la vista renderebbe il miele più dolce, più intenso l'aroma della lavanda, il sole più caldo sul viso. "Mi piacerebbe toccare il vostro volto per conoscervi ancora meglio". Avevo parlato come una sfacciata: non ho mai chiesto neppure a Philippe di lasciarmi toccare il suo volto, eppure siamo cresciuti insieme. Ma Nicolas viene da Parigi, deve essere abituato all'impudenza...Si è infilato senz'altro fra le fragole, schiacciando la menta e la melissa e le fragole ancora acerbe con gli stivali. Mi si è inginocchiato davanti e gli ho posato le mani sulla faccia.

Mi ha adagiata su un'aiuola di margherite, garofani, non-ti-scordar-di-me e aquilegie. Non mi importava di scchiacciarli, solo per i mughetti che mi dondolavano davanti al viso ero dispiaciuta. E' così difficile farli crescere e durano tanto poco, e com'è dolce il loro profumo. Mi sono spostata di lato, allontanandomi dalle campanelle. Sono finita con la testa su un ciuffo di melissa, che mi sfregava la fronte e le guance con le sue foglie fresche e pungenti. Per fortuna, anche se calpestata, la melissa non tarda a risollevarsi. Che buffo, avevo quasi perso la speranza di andare con un uomo, e ora che succedeva stavo lì a pensare  alle mie piante... Ciascuno dei miei sensi era eccitato, tranne uno. Michiedevo come sarebbe stato se avessi anche potuto vedere.

Philippe de la Tour                                                                                                                                                                                    Mia moglie è una donna silenziosa. Non che mi dispiaccia, le donne silenziose non perdono tempo a spettegolare, e difficilmente sono vittime delle maldicenze altrui. Tuttavia mi piacerebbe che parlasse un pò di più, almeno con me. Quando ci siamo sposati ha aperto bocca solo per rispondere alle domande del prete. Non diceva mai nulla del bambino che aveva in grembo, nè di Nicolas. Non mi ha mai ringraziato. Una volta le ho detto che ero felice di averla salvata. "Mi sono salvata da me", ha ribattuto voltandomi le spalle. Non vivevamo ancora a casa dei miei genitori, ci saremmo trasferiti solo alla fine del lavoro. Di notte Aliènor doveva cucire gli arazzi, non poteva certo venire a letto con me. Benchè ci fossimo già inginocchiati davanti al prete di Notre-Dame-du-Sablon, non avevamo ancora mai fatto le cose che avevo imparato da quella puttana, l'estate precedente. Aliènor era troppo grossa e non se la sentiva ancora. Tutto a tempo debito, mi dicevo. 

 

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