2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"Il muro"di William Sutcliffe

Post n°53 pubblicato il 19 Ottobre 2020 da Vilma66
 

La vita, come probabilmente sapete, è piena di alti e bassi. C'è sempre un prezzo da pagare per la perfezione. Nell'istante in cui la mia scarpa colpisce con forza il pallone, la strada vuota nella quale stiamo giocando smettte di essere vuota. La macchina dellla sicurezza svolta l'angolo, ma la mia palla è già in volo e non c'è niente che possa fare per riportarla indietro.

Diamo uno sguardo alla palizzata. Assomiglia più ad un muro: legno massiccio, alta due volte me, nessuno spiraglio per sbirciare dentro.  Questo cantiere è praticamente l'unico posto ad Amarias che non è nuovo di zecca. Mentre penso al mio pallone oltre la palizzata, mi viene in mente per la prima volta quanto sia strano che tutti chiamino questo posto "cantiere", quando nessuno ci costruisce un bel niente.

Una volta potevo scegliere tra un sacco di persone, ma qui c'è solo David. Gli altri ragazzi di Amarias non mi picciono e io non piaccio a loro. Pensano che sia un tipo strano, quando sono loro a essere strani. In questa città strano è normale e normale è strano.

Nella testa mi sorgono due voci. Una è in fibrillazione e mi dice che questo è il terrreno di avventura, la migliore palestra di arrampicata, il miglior nascondiglio segreto che io abbia mai visto. Vuole che salti subito giù ed esplori quelle rovine. L'altra mi trattiene. E' una voce più silenziosa, sembra quasi che non abbia parole, ma è più potente e mi fa rimanere immobile in cima alla recinzione. E' una sensazione che non riesco del tutto a capire, ha qualcosa a che fare con la roba che spunta dalla casa demolita, con l'evidente rapidità con la quale questo posto è stato trasformato da casa a cumulo di macerie. E' come se da quelle macerie si alzasse un gelo inquietante. C'è un che di violento nell'aria, come un cattivo odore.

All'improvviso ho la bocca secca e impastata. Mi sento come se avessi spiato per caso la madre di un mio amico, nuda. Sembra quasi un oltraggio starsene seduti qui a fissare questa casa sventrata che è l'esatto opposto di tutto quello che la mia città dovrebbe essere. Ma non riesco a distogliere lo sguardo.

Il Muro è stato costruito per impedire alle persone che vivono dall'altra parte di far esplodere le bombe e tutti dicono che ha funzionato a meraviglia. La maggior parte della gente che lavora nei cantieri di Amarias viene dall'altra parte, quando si va in città con la macchina è facile riconoscerli, ma altrimenti, anche se vivono così vicino non sembra che esistano davvero. O meglio, si sa che esistono, perchè il Muro e i posti di guardia e i soldati sono lì a ricordarlo di continuo, ma è come se fossero quasi invisibili.

Per un istante stranamente prolungato, ci guardiamo: la ragazza affacciata sulla strada, io accovacciato dietro la moto. Con gli occhi, la prego di non denunciarmi. Porto un dito alle labbra, proprio mentre sento i passi dei quattro che mi superano correndo, così vicini che alcuni granelli di terra sbattono contro i raggi della ruota. Mi schiaccio contro il terreno, sperando che i ragazzi  continuino a correre. La ragazza li osserva andarsene, senza abbassare lo sguardo sul mio nascondiglio nemmeno una volta. Dopo che il rumore dei passi si è affievolito fino a svanire, lei china il capo e mi regala una specie di sorriso. Io la guardo, troppo distrutto e confuso per restituirglielo. Mi fa cenno di salire ... Ha un viso aperto e carino, con labbra grandi e piene e incisivi prominenti, come se la sua bocca fosse stata pensata per una testa leggermente più grande. Nei suoi occhi, attorno al perimetro delle grandi iride castane, c'è un anello di macchioline nere, come il sito di una minuscola esplosione. Sono gli occhi di qualcuno che pensa in fretta. Mi dice qualcosa che non capisco.

Lei mi prende il bicchiere e le nostre dita si sfiorano. E' uno strano abbinamento: queste mani adulte e quella pettinatura infantile. 

Non saprei dire se è quello che mi aspettavo di vedere. Finora non ho mai prestato particolare attenzione ai ceckpoint, al modo in cui la gente passa da una parte all'altra del Muro, quindi non avevo in mente una visione alternativa a questa. Mentre osservo, però, provo una sensazione raggelante che mi stringe lo stomaco. E' già abbastanza strano starsene seduto qui a guardare, sapendo quante volte sono passato in macchina senza il minimo ostacolo. Più strano è sapere che presto non sarò soltanto uno spettatore. Non passerà molto prima che anch'io sia un soldato, forse proprio uno di quei soldati, seduto in un bunker a prova di bomba, ad azionare un tornello elettrico o a camminare su quelle passerelle sopraelevate con un fucile puntato su una fila di persone in gabbia. Chi dice no, va in prigione.

Con tutta la concentrazione che si concede a un bel brano musicale, ascolto l'unico suono che è possibile avvertire: il fruscio dell'aria che si muove appena tra le foglie di ulivo. Non ricordo l'ultima volta che mi sono sentito così bene: la gioia di essere solo, tranquillo, in un posto segreto, circondato dal nulla, senza nessuno che sappia dove sono e senza la possibilità che qualcuno mi trovi e che mi dica cosa fare. Inspiro a fondo l'aria calda, assaporando il suo profumo asciutto e fragrante. Questo è l'odore della libertà.

Anno dopo anno io ho aspetttato che mia madre mi portasse via e ormai è chiaro che non succederà mai. L'unico modo che ho per andarmene è farlo da solo. Mentre osservo la macchia di vegetazione che si allunga verso Amarias, capisco per la prima volta che non ho ragione di essere spaventato. Non devo temere di partire da solo, perchè se dovessi rimanere, se dovessi tornare a casa, non sarei meno solo. Mia madre si è sbarazzata di me. Da adesso in poi, qualunque cosa faccia, dovunque vada, sarò da solo. Non c'è niente che mi leghi a questa casa. Sono libero di andarmene. Se riuscissi a tornare al villaggio vicino al mare, potrei incontare qualche persona che si ricorda ancora di me. Forse qualcuno mi prenderebbe con sè, una famiglia che conosceva bene papà quando era vivo ...

La mamma è qui tutti i giorni, anche se l'ospedale è molto lontano da casa, fuori dai Territori. In sè dovrebbe darmi fastidio averla nella stanza tutto il tempo, invece non è così. Legge per me, cambia il canale della tivù, mi tiene compagnia e non mi dice mai cosa devo fare. Ma forse è perchè non c'è niente che possa fare.

Quasi non credo ai miei occhi. Capisco subito cosa vuol dire, ma è come se non riuscissi a fare domande, nè a controllare che stia succedendo davvero, per paura di esserrmi sbagliato. Osservo ogni suo movimento, le mascelle serrate, il modo insolitamente affrettato in cui piega i miei vestiti, e sento crescere la speranza che la mia idea sia giusta, che quello che ho desiderato ardentemente fin da quando ci siamo trasferiti qui si stia alla fine realizzando. Solo quando ha chiuso la lampo della valigia, la mamma solleva lo sguardo.

Sono come un orco e un eroe mischiati insieme. Un Orcheroe: una creatura senza gambe semi-mitologica che si spinge su due ruote giganti e mangia vivi tutti quelli che  vengono sorpresi a non sorridergli. La leggenda dell'Orcheroe narra che fu creato da un proiettile magico di rimbalzo spedito come punizione nella schiena di un ragazzo che era andato dove gli era stato detto di non andare e aveva cercato di aiutare alcune persone che gli era stato detto di non aiutare.

 

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