Creato da zattera68 il 25/05/2011

UN SOGNO INFINITO

Alla ricerca dei modi migliori di vivere una vita a volte limitata

 

 

COLITE ULCEROSA...

Post n°6 pubblicato il 04 Agosto 2011 da zattera68
 

Che cos'è la colite ulcerosa?


La colite ulcerosa è una malattia a decorso protratto che interessa l'apparato gastro-enterico e, assieme alla malattia di Crohn, rientra tra le "malattie infiammatorie croniche intestinali". Nella colite ulcerosa vi è una importante infiammazione che interessa soltanto il grosso intestino, il colon, localizzandosi sempre e comunque nel tratto terminale, ovvero la regione del retto e del sigma. Va detto ancora che la si definisce proctite quando l'infiammazione è soltanto localizzata al retto-sigma, colite sinistra quando l'infiammazione colpisce tutto il colon e colite totale quando tutto il colon è coinvolto.

Quanto è frequente in Italia?


Non abbiamo dati ufficiali, ma si calcola che globalmente la colite ulcerosa e la malattia di Crohn colpiscano oltre 100.000 persone in Italia. Si è cercato di calcolare quante persone potrebbero essere colpite ogni anno e si ipotizza un'incidenza pari a 8,1 nuovi casi per 100.000 abitanti, considerando la popolazione adulta, distribuita in modo pressoché uniforme in entrambi i sessi.

Come si manifesta, come riconoscerla?


Il sintomo guida è la radicale modificazione dell'alvo, ovvero scariche diarroiche ma con feci miste a sangue e muco, che sono tanto più frequenti quanto la malattia è più severa . Infatti la colite ulcerosa può esordire in forma lieve ma anche con un attacco acuto particolarmente grave. Nei casi di localizzazione rettale (proctite) può comparire anche un quadro di stipsi.

Perché c'è diarrea con muco e sangue?


E' molto importante capire cosa scatena queste scariche diarroiche, ovvero, a quale tipo di sofferenza va incontro la mucosa intestinale. Si tratta di processi infiammatori della mucosa che comprendono, in certi casi, vere e proprie ulcerazioni, che provocano il sanguinamento e il versamento del muco nel lume dell'intestino. Nelle forme più gravi sono presenti disturbi generali, ovvero: febbre, aumento della frequenza cardiaca (tachicardia), anemia, perdita di forze e di appetito, diminuzione delle proteine circolanti e squilibrio di importanti sostanze come potassio, sodio e cloro. Insomma, tutto l'organismo entra in sofferenza.

Come diagnosticare la colite ulcerosa?


La diagnosi della malattia viene fatta quando sono riconosciute alcune condizioni:

 

  1. per prima cosa occorre documentare l'infiammazione a livello rettale;
  2. In secondo luogo bisogna escludere che quelle lesioni non siano state provocate da una sostanza particolare, quali gli antinfiammatori non steroidei, un'infezione o qualunque agente fisico o chimico;
  3. Terzo punto, è necessario essere sicuri che l'infiammazione sia persistente e protratta.

Il primo punto richiede il ricorso all'esame endoscopico, ma limitato al sigma, quindi eseguibile con il sigmoidoscopio flessibile o rigido. Con questo strumento lo specialista vede subito se la mucosa è infiammata e di che tipo sono le lesioni. Può, altresì, fare una biopsia della mucosa. L'esame istologico confermerà poi la presenza dell'infiammazione. Se con la sigmoidoscopia si sono già ben delimitati i confini delle lesioni, ovvero se si vede che non vanno al di là del sigma, si può evitare la colonscopia.

Altrimenti quest'ultimo esame è necessario per stabilire bene le altre localizzazioni, definendo così, anche l'intera; estensione dell'infiammazione. In alternativa si può ricorrere dall'esame radiologico, il clisma opaco a doppio contrasto e in taluni casi anche all'ecografia. Per il secondo punto gli esami fondamentali sono la ricerca di parassiti o di altri agenti infettivi nelle feci, o il prelievo di sangue per escludere la presenza di infezioni recenti. Per il terzo punto la biopsia è di aiuto a identificare la natura dell'infiammazioe; nel caso della colite ulcerosa la lesione cronica si automantiene nel tempo.

Come si cura la colite ulcerosa?


Oggi possiamo dire che la malattia viene curata in modo preciso, sicuro e affidabile: l'esperienza accumulata in questi anni, grazie anche a continui scambi di informazioni e di risultati ottenuti con questo o quel farmaco, tra esperti di tutto il mondo, ha fatto sì che siano stati messi a punto protocolli farmacologici validi nelle varie forme della malattia. Si sono evitate così le gravi insidie degli attacchi acuti, che nel passato potevano anche essere mortali. Si sono anche stabiliti criteri utili alla decisione di eseguire un eventuale trattamento chirurgico. Per quanto riguarda strettamente la prevenzione, dobbiamo distinguere tra prevenzione della fase acuta e prevenzione delle recidive.

Come si cura la fase acuta?


Nel caso che la malattia esordisca con un attacco severo, vale a dire con più di sei scariche giornaliere feci muco-sanguinolente e disturbi generali, occorre sempre il ricovero in ospedale. Qui gli specialisti sottopongono il malato ad un trattamento intensivo, con alte dosi di cortisone, della durata di circa 7-10 giorni. Sono somministrati anche liquidi, plasma ed elettroliti, nonché sostanze ad alto contenuto calorico.

In oltre la metà dei casi, dal 50 al 70 per cento, la risposta ottenuta è molto buona; viene così evitato l'intervento chirurgico e, soprattutto, il rischio di mortalità è stato del tutto azzerato. Tra le proposte farmacologiche di quest'ultimo periodo, per la fase acuta va segnalata la possibilità di usare anche farmaci immunosoppressori, come la ciclosporina, sempre per via endovenosa.

Come si curano gli attacchi lievi o moderati?


In queste forme le scariche non superano mai le 5-6 al giorno, la malattia è generalmente limitata al retto-sigma, estendendosi al massimo al colon di sinistra; qui rispetto al passato c'è stata una vera rivoluzione terapeutica che ha messo in secondo piano la somministrazione di cortisone per bocca e localmente. E così oggi si tende decisamente a privilegiare il trattamento locale, ovvero l'uso di farmaci somministrati per via rettale. Primi tra tutti i clismi, quindi le supposte, a cui si sono aggiunte proprio di recente preparazioni a base di schiuma.

Il principio attivo più frequentemente usato è il 5-ASA, ovvero la parte attiva della molecola salazopirina, che agisce localmente sulla mucosa del colon. Questo nuovo indirizzo di cura, che è nato proprio in Italia, offre oggi la possibilità di controllo degli attacchi, almeno nell'80-90 per cento dei malati; resta così una piccola percentuale di pazienti, non oltre il 15 per cento, che ha ancora bisogno di cortisone per via sistemica. Va aggiunto però che un piccolo gruppo di pazienti, quelli con colite distale refrattaria, può non rispondere a questa terapia "standard". In questi casi si opta per la somministrazione contemporanea di cortisone e 5-ASA o di immnunosoppressori o per l'impiego protratto nel tempo di 5-ASA.

Come si prevengono le ricadute?


Anche qui c'è stato un vero e proprio affinamento terapeutico. La molecola usata nel passato, ovvero la salazopirina, che si era dimostrata in grado di prevenire le ricadute della malattia, ma che aveva numerosi effetti collaterali, è stata sostituita dalla nuova generazione di composti, costituiti appunto dalla sua parte attiva, ovvero il 5-ASA. Si tratta di preparazioni che, assunte per bocca, liberano il principio attivo soltanto dove è effettivamente utile, cioè nel colon. Tutto questo ha contribuito a curare meglio e con maggiore sicurezza per lunghi periodi la stragrande maggioranza dei pazienti con colite ulcerosa.

E l'intervento chirurgico?


L'intervento chirurgico può essere effettuato o come terapia alternativa in caso di fallimento della terapia medica, nelle forme severe, oppure come scelta terapeutica nel caso di impoverimento della qualità di vita o scarsa risposta alla terapia medica. Non va più vissuto, comunque, come un evento drammatico in quanto, grazie ai perfezionamenti della tecnica chirurgica, deve essere considerato come un valido strumento terapeutico in grado di eliminare la malattia.

L'intervento chirurgico può essere effettuato secondo una tecnica tradizionale, cioè anastomosi ileo-retto che, come è ben comprensibile dalla parola, prevede l'asportazione del colon malato e l'abboccamento dell'ileo con un piccolo tratto residuo di retto. Siccome il retto è la porzione di intestino sempre colpita, è ovvio che si debba continuare per lunghi periodi con terapie locali e controllo della mucosa rettale.

L'altro intervento, di più recente introduzione, consiste, invece, nella ricostruzione di una nuova tasca rettale con la mucosa dell'intestino tenue, mediante il suo abboccamento con il margine anale (anastomosi ileo-ano). Quest'ultimo intervento presenta il vantaggio di favorire l'eliminazione di ogni area affetta da malattia anche se una percentuale fortunatamente piccola di pazienti può sviluppare una nuova condizione flogistica della nuova ampolla.

Questo quadro, tuttavia, viene comunque ben controllato da un modesto approccio di terapia medica.

C'è rischio di cancro?


Questo problema è stato probabilmente eccessivamente enfatizzato negli anni precedenti, in quanto si riportavano i dati riferiti a casistiche caratterizzate dall'osservazione dei malati clinicamente più compromessi. Negli ultimi studi compiuti su una popolazione malata, si è visto che il problema è di poco superiore a quello della popolazione di controllo, non affetta dalla malattia. Negli anni passati sono stati suggeriti o eseguiti dei controlli periodici con colonscopie e biopsie.

La loro efficacia per la prevenzione della displasia grave, quadro preneoplasico, sembra oggetto di discussioni. Probabilmente l'incidenza di forme tumorali si è notevolmente ridimensionata in quanto si cura sempre più e meglio il paziente. Le cure mediche, infatti, riducono il numero degli attacchi e la loro severità e, probabilmente, viene così ridotto lo stimolo indotto dall'infiammazione. L'intervento chirurgico elimina poi quelle situazioni considerate a rischio, quali l'insorgenza in età giovanile, le forme molto attive estese e spesso recidivanti. Ecco perché in alcuni studi il problema della degenerazione maligna viene ritenuto simile a quello della popolazione generale.

 
 
 

ANEMIA

Post n°5 pubblicato il 01 Agosto 2011 da zattera68
 

Sto soffrendo di anemia in questo periodo, è abbastanza comune da riscontrarsi in chi soffre di malattie infiammatorie intestinali, vuoi perché si verifichino perdite ematiche, vuoi per un carente assorbimento di questo elemento attraverso l'alimentazione, da parte delle pareti intestinali. allora bisogna ricorrere ad una terapia di ferro. La terapia dell'anemia è una terapia marziale, cioè di somministrazione di sali ferrosi per bocca, lontano dai pasti.
Nelle gastriti atrofiche si somministra solfato ferroso, che non necessita di acido cloridrico per essere assorbito.
La via endovenosa o intramuscolare va riservata solo ai pazienti che non tollerano i sali ferrosi per bocca o nei casi di malassorbimento.
Gli effetti collaterali di questi farmaci antianemici sono abbastanza frequenti e consistono in turbe digestive come bruciori di stomaco, crampi addominali e diarrea. In questi casi, basta semplicemente diminuire temporaneamente il dosaggio per dar modo al soggetto di adattarsi al farmaco.
La risposta alla terapia marziale deve sempre essere monitorata, iniziando con una conta reticolocitaria che, già in quinta-settima giornata, deve mostrare un aumento dei reticolociti.
Ad eccezione di quei pazienti con una perdita di ferro cospicua e continua, la correzione dello stato anemico può essere raggiunta in circa 2 mesi.
Una volta corretta l'anemia, si deve continuare la terapia per altri 6 mesi, allo scopo di ripristinare le riserve del ferro. Quanto alle lesioni epiteliali, quelle riguardanti le unghie e la lingua si risolvono entro 3-6 mesi, ma già dopo 2 settimane si osservano segni di miglioramento.

 
 
 

CORTISONE E NUOVI ANTINFIAMMATORI...

Post n°4 pubblicato il 27 Giugno 2011 da zattera68

Sto prendendo il cortisone in questo periodo, non è la prima volta, ma l'altro giorno guardando su internet ho trovato questo articolo e mi è sembrato interessante, contiene alcune informazioni che non conoscevo. Ho scoperto che gli antinfiammatori si suddividono in due categorie: non steroidei (Fans, farmaci antinfiammatori non steroidei, il più noto dei quali è l'aspirina) e steroidei (i cortisonici). L'uso degli antinfiammatori è stato limitato sin dall'origine dai problemi gastrici che il loro uso comportava, per esempio un rischio di ulcera gastrica aumentato di dieci volte circa. Infatti i Fans tradizionali bloccano la produzione di prostaglandine, responsabili del dolore e dell'infiammazione, inibendo la cicloossigenasi, l'enzima che controlla la produzione di prostaglandine. In tal modo bloccano anche le funzioni positive delle prostaglandine, per esempio il controllo della produzione del muco gastrico che protegge lo stomaco. Dalla scoperta di P. Needleman che esistono due cicloossigenasi (1, o Cox1, e 2, o Cox2) e che solo la seconda è responsabile dei processi infiammatori (mentre la prima è quella che controlla gli aspetti positivi delle prostaglandine, come la secrezione del muco gastrico) è nata una seconda famiglia di Fans (celecoxib, rofecoxib), meno gastrolesivi. I nuovi prodotti (identificati con nomi commerciali come Vioxx, Celebrex, Artilog e Solexa) sono mutuabili attualmente solo per casi cronici; per l'acquisto è comunque necessaria la ricetta medica. In genere hanno costi più alti e, dopo qualche anno di impiego, si è rilevato che i minori effetti collaterali sono controbilanciati da una minore efficacia.
Negli USA (2002) è stata scoperta anche una terza variante dell'enzima Cox (Cox3) coinvolta nella genesi del dolore e della febbre. La scoperta spiega soprattutto perché il paracetamolo non ha funzione antinfiammatoria, ma è ancora prematuro pensare che possa dare origine a una terza generazione di farmaci.

La grande famiglia dei nuovi antinfiammatori

È molto istruttiva la debacle che le case farmaceutiche hanno dovuto subire con gli antinfiammatori di seconda generazione (rofecoxib, colecoxib, etoricoxib, parecoxib, valdecoxib). Vediamo i passi.

  • Scoperta dei due tipi di cicloossigenasi.
  • Tentativo di sfruttare le proprietà del secondo tipo per immettere sul mercato farmaci che non avessero problemi di gastrolesività.
  • Sponsorizzazione di ricerche in tutto il mondo per promuovere i farmaci.
  • Le ricerche, stiracchiando i dati, mostrano che i nuovi farmaci sono sì un po' meno potenti, ma danneggiano un po' meno lo stomaco.
  • Il 30 settembre 2004 la Merck Sharp & Dohme ritira volontariamente dal mercato mondiale i medicinali a base di rofecoxib (in Italia Vioxx, Arofexx, Coxxil, Dolcoxx, Dolostop e Miraxx) a causa di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari gravi, osservato nel corso di una sperimentazione clinica condotta per una indicazione terapeutica (poliposi recidivante in pazienti con storia di adenoma del colon-retto) diversa da quelle approvate a livello internazionale.
  • Nel 2005 la Pfizer ritira dal mercato europeo il Bextra (valdecoxib), sempre per gravi effetti collaterali.
  • L'Agenzia italiana del Farmaco rinnova l'invito a non usare farmaci antinfiammatori di seconda generazione ancora in commercio (Artilog, Celebrex, Solexa, Algix, Arcoxia, Tauxibin, Dynastat) in chi ha problemi cardiovascolari (infarto, ictus), è obeso, ha il colesterolo alto, è un forte fumatore, ha problemi alle arterie o alle vene delle gambe.

La speranza di avere farmaci potenti e senza effetti collaterali sembra dunque svanita. I coxib saranno comunque impiegati in particolari importanti patologie, ma non potranno diventare un punto di riferimento per la terapia antinfiammatoria generica.
L'uso - Trascurando l'azione antipiretica (posseduta da aspirina, nimesulide, piroxicam, ketoprofene), gli antinfiammatori vengono normalmente assunti per alleviare il dolore (cefalee, dolori mestruali, mal di denti, mal di schiena ecc.) o per contrastare infiammazioni (muscoli, tendini, malattie reumatiche ecc.). È da rilevare che alcuni farmaci come il paracetamolo che hanno azione antipiretica non hanno nessuna azione antinfiammatoria. Le controindicazioni riguardano le patologie gastriche, l'insufficienza renale o epatica, la gravidanza, l'allattamento e le allergie individuali.
L'abuso - Se gli antinfiammatori sono da considerare in occasione di patologie acute, il loro impiego in patologie croniche deve essere attentamente valutato. È veramente ottimistico pensare di risolvere un mal di schiena con pesanti assunzioni di antinfiammatori. Poiché hanno anche un effetto antidolorifico, possono mascherare il dolore illudendo di un'improbabile guarigione. Ciò è particolarmente grave per lo sportivo che può sovraccaricare una parte malata ritenendola erroneamente guarita, aggravando quindi la situazione. È buona norma usare gli antinfiammatori per 2-3 giorni poi sospenderli e verificare il reale effetto (cioè il miglioramento). Alcuni medici sostengono che tale periodo è troppo limitato, ma è voluto: se una patologia richiede una somministrazione di antinfiammatori per 20 o più giorni (ammesso che il paziente la tolleri) forse è talmente grave che il soggetto deve prendere in considerazione altre forme di cura (nel caso di una patologia sportiva un naturale periodo di stop); non è detto poi che una patologia curata con tre settimane di antinfiammatori associati a uno stop non abbia semplicemente sfruttato l'effetto tempo del riposo.
Da ultimo è da rilevare che le pomate e i cerotti a base di antinfiammatori danno risultati trascurabili rispetto ai prodotti orali (che già di per sé non è detto che funzionino). Sono spesso un'attenzione psicologica del soggetto verso sé stesso, un po' come il cane che si lecca continuamente la zampa malata.
La scelta - Oltre il 60% dei soggetti risponde alla terapia con antinfiammatori, ma la risposta è individuale nei confronti dei singoli farmaci. Nella scelta dell'antinfiammatorio si deve considerare il principio attivo (non il nome commerciale!) e il suo dosaggio. Poiché il problema maggiore è la gastrolesività, nella tabella seguente (nostre esperienze mediate dalla valutazione del dott. S. Migliorini, Correre, Dicembre 2002) si è tenuto conto non solo dei vantaggi, ma anche delle controindicazioni. Altri farmaci (come meloxicam e ketorolac) hanno indicazioni specifiche.

 AntinfiammatorioAntidolorificoAntifebbrileEffetti collaterali
Aspirina*********
Celecoxib**** ****
Diclofenac***** **
Ibuprofene****** **
Indometacina****** ****
Ketoprofene***********
Naprossene**********
Nimesulide*************
Paracetamolo**********
Piroxicam****** ****

 

 
 
 

Prevenzione...

Post n°3 pubblicato il 24 Giugno 2011 da zattera68

Prevenzione malattie infiammatorie intestinali, in aiuto arriva l'olio d'oliva... sembra...

la Digestive Disease Week Conference , è stata presentata una ricerca secondo la quale, un equilibrato consumo di olio di oliva aiuta a prevenire alcune malattie intestinali come la colite ulcerosa.

Secondo una ricerca della University of East Anglia (Gran Bretagna), diretta dal dottor Andrew Hart e presentata alla Digestive Disease Week Conference, la conferenza internazionale sui disturbi digestivi svoltasi a New Orleans, in Louisiana, una dieta piena di acido oleico, sembrerebbe che sia particolarmente efficace per prevenire l'insorgenza della colite ulcerosa.
Questo disturbo si manifesta con dolori addominali, diarrea e calo del peso corporeo. Ancora oggi non si conoscono le cause che portano alla comparsa di questa malattia e le cure a base di farmaci sono utili ad attenuarne i sintomi senza però intervenire all’origine della patologia. Per questo motivo, visti i risultati ottenuti in questa ricerca, è molto importante per i ricercatori sviluppare una dieta utile a prevenire la colite ulcerosa.

Il team del dottor Hart ha lavorato con un campione di 25 mila persone, età compresa tra i 40 ed i 65 anni, tutti inseriti nello studio EPIC (European Prospective Investigation into Diet and Cancer, durato dal 1993 al 1997).
Per tutta la durata dell'osservazione, i volontari hanno tenuto un diario delle loro abitudini alimentari. Alla fine dell'esperimento (anno 2004) si è raggiunto alla conclusione che i soggetti che abitualmente usavano olio di oliva, avevano ben il 90% delle probabilità in meno di sviluppare la patologia intestinale.

Il dott. Andrew Hart, coordinatore della ricerca, ha spiegato che “l’acido oleico sembra aiutare a prevenire lo sviluppo della colite ulcerosa bloccando alcuni agenti chimici dell’intestino che aggravano l’infiammazione che è alla base della malattia. Stimiamo che circa la metà dei casi di colite ulcerativa potrebbero venire evitati con l'assunzione di quantitativi maggiori di acido oleico. Due o tre cucchiai di olio di oliva al giorno potrebbero avere un effetto protettivo”.
E’ importante ricordare che l’acido oleico è un grasso monoinsaturo, presente nell'olio di semi e nell'olio di colza, ma particolarmente abbordante nell'olio d'oliva.

Fonte: University of East Anglia

 
 
 

UN TARLO CHE ROSICCHIA IL CERVELLO...

Post n°2 pubblicato il 14 Giugno 2011 da zattera68

Sono nuovamente qui a raccontare la mia storia, a piccole dosi, quando ne trovo il coraggio, già perchè dico che per vivere in questa mia situazione ci vuole un gran coraggio; la storia di persona affetta da una patologia cronica, una MICI che sta per malattia cronica infiammatoria intestinale. Purtroppo i chirurghi in uno dei diversi interventi subiti, si è portato via una parte di ileo importante per l'assorbimento delle sostanze nutritive e così, oltre alle conseguenze di una colectomia totale (non sto qui a spiegarvi cosa sia, solo chi sarà veramente interessato potrà, da solo, approfondire l'argomento) subita all'età di diciasette anni, mi ritrovo ad avere anche problemi di malassorbimento, che non mi permettono di mettere su peso nello stesso modo degli altri esseri umani più o meno sani. Questo è un tarlo che mi uccide giorno per giorno, lasciando spazio a brandelli di felicità che durano poco, a volte ore, a volte giornate dipende. Per il resto il tutto comporta una forma di depressione così detta reattiva, che viene curata, naturalmente, ma che da sola non basta a farmi mettere su i chili di cui avrei bisogno. Pensate sono alto 1 metro e sessantanove e peso cinquantuno chili e 100 grammi ad oggi, essendo al di sotto del peso forma, che dovrebbe essere di sessanticinque chili circa, di ben 14 chili.

Questo mi fa sentire diverso dagli altri, ho smesso di lavorare perchè primo non avevo energie sufficienti per portare avanti un'attivivtà lavorativa quotidiana, secondo andavo incontro a periodi frequenti di malatta che non facevano altro che aumentare il mio monte ora di assenze, così anzichè ricevere una lettera di licenziamento, me ne sono andato io. Vivo di pensione di inabilità al lavoro. Questo mio post vuole essere solo uno sfogo, con chi? Non so, con chi passerà di qua e non avrà perplessità o timore nel leggere lo sfogo sul web di una persona che soffre dentro oramai da un anno, per il lavoro, più di due anni per le condizioni di salute. Sto provando anche con la medicina omeopatica, ma non sto ottenendo i risultati che immaginavo. Inizialmente sembrava avessimo trovato la strada giusta, ora tutto sembra tornato ad un anno fa.

Chissà magari qualcuno passando di qui potrà offrirmi un consiglio, uno spunto di riflessione su qualcosa che a me sfugge... ahimè... non si sa mai... la vita riserva sempre sorprese, soprattutto quando non ce le aspettiamo! Buona serata a tutti.

 
 
 

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